Pubblicate le motivazioni della sentenza 220/2013 con le quali la Consulta ha bocciato il riordino delle Province: i decreti legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, dicono i giudici delle leggi. Ma il legislatore era stato “preallertato” più di una volta in Parlamento.
I tanti dossier, non ultimo quello sul decreto del Fare, mettono sempre in guardia il legislatore sui punti deboli dei progetti di legge. A Palazzo Madama più di una volta il servizio studi ha pubblicato studi dettagliati sui progetti di legge più importanti mettendo in evidenza le criticità dei decreti legge.
Ora la sentenza pubblicata venerdì riporta testualmente che “I decreti-legge traggono la loro legittimazione generale da casi straordinari e sono destinati ad operare immediatamente, allo scopo di dare risposte normative rapide a situazioni bisognose di essere regolate in modo adatto a fronteggiare le sopravvenute e urgenti necessità. Per questo motivo, il legislatore ordinario, con una norma di portata generale, ha previsto che il decreto-legge debba contenere «misure di immediata applicazione» (art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri»). La norma citata, pur non avendo, sul piano formale, rango costituzionale, esprime ed esplicita ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa del decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012), che entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo, in quanto recanti, come nel caso di specie, discipline mirate alla costruzione di nuove strutture istituzionali, senza peraltro che i perseguiti risparmi di spesa siano, allo stato, concretamente valutabili né quantificabili, seppur in via approssimativa.”
Se il legislatore avesse letto (non attentamente, sarebbe bastata anche solo un’occhiata) quanto riportato nel Dossier 397 della XVI legislatura sul decreto salva Italia, alle pagine 44 e 45 avrebbe trovato scritto:
“La relazione sarà proposta per la prima volta entro 60 giorni dalla data dell’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame. La decorrenza della fattispecie è legata ad un termine che potrebbe apparire in contraddizione con i requisiti di necessità ed urgenza imposti dalla Costituzione per i decreti-legge, almeno per una dottrina secondo cui “più diffusa è (…) l’opinione secondo cui il decreto-legge, essendo finalizzato a fronteggiare contingenze straordinarie ed imprevedibili, non potrebbe (…) contenere misure che non siano immediatamente efficaci”7: vi si cita anche, a supporto, l’articolo 15, comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 4008, secondo cui il decreto-legge deve contenere misure di immediata applicazione.
Il legislatore avrebbe così preso posizione a favore dell’interpretazione restrittiva, secondo cui non sarebbero ammissibili nel decreto-legge disposizioni non immediatamente operative: lo afferma un autore, il quale peraltro ricorda che l’interpretazione più permissiva era sostenuta da vari commentatori. Almeno per uno di essi, si trattava però del diverso caso in cui “l’urgenza è consistita unicamente nell’opportunità di predisporre gli adempimenti e gli strumenti necessari per meglio attuare una certa misura, anche a distanza di mesi dall’applicazione della relativa disciplina”: lo stesso Paladin proseguiva, infatti, dichiarando che “in definitiva, l’immediatezza è dimostrata unicamente dal momento – coincidente con il giorno della pubblicazione oppure con il giorno successivo – nel quale cominciano a vigere gli atti governativi di cui si discute: mentre sarebbero sicuramente illegittimi i decreti che dilazionassero la loro entrata in vigore al di là del tempo tassativamente fissato dal terzo comma dell’art. 77”. Utile, per comprendere l’alternativa in cui la dottrina si dibatte sul punto, è anche soffermarsi sul contesto dell’intervento decretizio.”

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