Il dibattito – si fa per dire: in realtà il consueto starnazzare – sulla cosiddetta proposta di riconoscere un vitalizio ai politici mostra ancora una volta da un lato l’incapacità dell’informazione a informare e dall’altro l’incapacità dei cittadini a comprendere, causata da quella che più volte abbiamo definito l’illusoria conoscenza offerta dalla Rete globale che invece, oltre a partorire luoghi comuni, consolida e rilancia errori grossolani trasformandoli in bugie con le gambe lunghe (per citare Pirandello).

Prima di proseguire va detto subito che la proposta è stata ritirata, proprio a causa dell’onda starnazzante che ne ha travisato il senso.

 

Tanto per cominciare non tutti hanno compreso – e non tutti hanno spiegato – che la proposta, avanzata da tre deputati del Partito Democratico (Marialuisa Gnecchi, Oriano Giovannelli e Lucia Condurelli) , riguardava non tutti i politici ma soltanto coloro che, eletti in amministrazioni locali, comunali, provinciali o regionali, non avevano già un lavoro prima di essere eletti.

E, per giunta, soltanto coloro che una volta eletti vengono nominati assessori o sindaci (tra l’altro va ricordato che si può essere nominati assessori anche senza essere stati eletti, in quanto scelti dal sindaco o dal presidente della Giunta).

Il primo punto, perciò, è che la proposta non riguardava tutti “i politici”, come è stato demagogicamente e populisticamente sostenuto. Ma soltanto gli amministratori.

In sostanza, osservava la proposta (non a caso Marialuisa Gnecchi è una funzionaria Inps), succede che se l’amministratore è un dipendente di qualcuno, privato o pubblico che sia, al momento della nomina si mette in aspettativa non retribuita ma l’amministrazione pubblica per la quale lavora come sindaco o assessore è obbligata a versare i contributi pensionistici al posto del datore di lavoro originario. Così che, a mandato finito, il lavoratore riprende il suo posto e il suo stipendio e, al momento della pensione, non si troverà con dei “buchi” nei versamenti che potrebbero, se sono… profondi, compromettere la possibilità di ricevere l’assegno pensionistico. In pratica, si chiedevano i tre parlamentari, perché creare una disparità di trattamento… futuro pensionistico tra coloro che hanno la fortuna (oggi si tratta di fortuna) di avere un lavoro già prima di essere nominati e quelli che invece non ce l’hanno? I primi infatti riprenderanno il loro posto di lavoro e riceveranno anche la pensione, quando sarà. I secondi invece non solo saranno di nuovo senza lavoro ma, magari, non avranno nemmeno più il tempo di “costruirsi” la pensione.

Non si trattava, dunque, di riconoscere alcun vitalizio a nessuno, ma semplicemente di mettere sullo stesso piano la… vecchiaia di tutti gli amministratori, ossia di coloro ai quali (questo è il principio ispiratore della democrazia) noi tutti abbiamo affidato l’incarico di amministrare e amministrarci.

Pochi sanno, ma nessuno si preoccupa di saperlo, che soltanto ai parlamentari spetta un assegno vitalizio, che per giunta è cumulabile con eventuali pensioni riconosciute dall’Inps per i lavori prestati prima dell’elezione. A tutti gli altri politici il vitalizio non spetta. Gli spetta, è chiaro, lo stipendio legato alla carica che ricoprono, più o meno alto a seconda della grandezza dell’amministrazione locale o regionale. Ma quando la carica viene revocata, tutti a casa. Come è giusto. La differenza sta nel fatto che se va a casa un impiegato comunale che ha lavorato anche solo un mese e poi ha fatto il consigliere per 30 anni,  prende comunque la pensione. Se invece va a casa un disoccupato, non gli spetta più niente e continuerà ad essere disoccupato, nonostante – può anche succedere – si sia magari distinto come buon amministratore e abbia fatto tante buone cose.

Liquidare la proposta, come è stato fatto, come un ennesimo regalo alla “casta” non ha senso ed è frutto soltanto dell’ormai consolidata abitudine a considerare i politici tutti ladri o, nella migliore delle ipotesi, persone che hanno accumulato tanti di quei vantaggi e privilegi dall’incarico ricoperto che ci manca pure che gli dobbiamo dare la pensione.

E’ evidente (dovrebbe essere evidente) che questo modo di ragionare è stupido. Perché non porta da nessuna parte. Sarebbe come se una famiglia che avesse la sua unica casa in montagna, decidesse di non riparare il tetto perché tanto vorrebbe vivere al mare. Il risultato sarà non già una famiglia che ha coronato il suo sogno di vivere al mare, ma una famiglia senza casa.

E visto che siamo in tema, ci sembra opportuno fare il punto anche sullo stipendio dei parlamentari, di cui tanto e così tanto spesso si parla. Anche in questo caso pochi, di coloro che parlano soffiando nel magmatico megafono di Internet o starnazzando nei melmosi girotondi, si preoccupano di andare a dare uno sguardo al sito della Camera dei Deputati, dove è riportato il trattamento economico. E’ vero che nel riportare le varie voci il sito non è proprio chiarissimo (e questo non è certo un caso…), ma una media intelligenza, con l’aiuto di una calcolatrice tascabile, può porre rimedio all’apparente difficoltà di comprensione. Tutto sta a leggere con attenzione e far funzionare una ventina di neuroni: più di quanti ne servano, purtroppo, per sms, mms, msn, skype, twitter, google, wikipedia, facebook, isole dei famosi e porte a porte.

Allora: l’indennità dei parlamentari, che dal 2006 è stata ridotta del 10 per cento, ammonta a 5.486 euro netti al mese. Il lordo invece è di 11.701 euro: da questa cifra vanno sottratti 3.899 euro di tasse, 784 euro di versamenti previdenziali che servono a finanziare l’assegno di fine mandato, 526 euro di assistenza sanitaria e 1.006 euro che vanno accantonati per pagare il famoso (o famigerato) vitalizio, questo sì vitalizio e non pensione in quanto si può aggiungere all’eventuale pensione.

Attenzione: tutti i numeri che… stiamo dando devono essere aumentati di circa il 2,5 per cento per i senatori.

Inoltre, ai 5.486 euro netti mensili si aggiungono: 4.000 euro di diaria che vengono ridotti di 200 euro per ogni assenza dalle votazioni (anche qui, occhio: non si vota tutti i giorni in Parlamento e comunque il parlamentare si considera presente se nel giorno di votazioni partecipa ad almeno il 30 per cento delle sessioni di voto previste per quella giornata); 4.190 euro di rimborso spese tutto compreso, 250 euro di rimborso spese telefoniche e 1.100 euro di spese di trasferimento dalla residenza all’aeroporto che diventano 1.300 se l’aeroporto dista più di 100 chilometri dalla residenza. A conti fatti, un parlamentare percepisce, netti, 15.026 euro al mese. Inoltre a tutti vengono consegnate tessere autostradali, ferroviarie e marittime che assicurano passaggi gratuiti sulle tratte nazionali.

Alla fine del mandato, i parlamentari ricevono un assegno (una specie di liquidazione) pari a 9.360 euro per ogni anno trascorso in parlamento e la frazione superiore a sei mesi si calcola come un anno (se si scioglie il Parlamento dopo 6 mesi e 1 giorno si calcola un anno, dopo 1 anno, 6 mesi e 1 giorno si calcolano 2 anni e così via).  Ad esempio chi si fosse trattenuto a Montecitorio una sola legislatura, riceverebbe come assegno di fine mandato 31.208 euro. Questo assegno viene però finanziato totalmente con i 784 euro al mese trattenuti dall’indennità lorda (ogni anno vengono infatti trattenuti in totale 9400 euro che per 5 anni fanno 47mila euro).

Infine, quando il parlamentare compie 65 anni (e non è più in Parlamento) riceve il vitalizio: un assegno che va da un minimo del 25 per cento a un massimo dell’80 – la percentuale cresce all’aumentare degli anni trascorsi come rappresentante del popolo – dell’indennità netta di base, cioè 5.486 euro. Mediamente gli assegni vitalizi si aggirano sui 3.500 euro netti al mese. Una spesa che viene – in questo caso soltanto in parte – finanziata dal versamento dei 1.006 euro al mese durante il mandato.

Il vitalizio viene sospeso se l’ex parlamentare è eletto al Parlamento europeo oppure riceve una carica pubblica retribuita con più di 2.200 euro al mese (significa che se per la carica pubblica l’ex parlamentare percepisce 1.199 euro può continuare a prendere i suoi 3.500 di vitalizio ma deve, in questo caso, rinunciare a tutta o ad una parte della pensione che non si può cumulare con altro reddito come quello della carica pubblica).

Conviene ribadire che i 3.500 euro, di media, netti al mese a titolo di vitalizio si aggiungono alla pensione eventualmente maturata se il parlamentare, quando è stato eletto, si è messo in aspettativa dal suo posto di lavoro. A differenza di quanto accade nelle amministrazioni locali, infatti, dove solo chi è assessore o sindaco percepisce i versamenti pensionistici a cura dell’amministrazione (i semplici consiglieri sono meno impegnati e possono continuare a lavorare, solo che hanno diritto a giorni di permesso retribuiti corrispondenti alle riunioni del consiglio), i parlamentari hanno tutti diritto all’aspettativa (se avevano un lavoro) e tutti hanno diritto ai versamenti pensionistici a spese dello Stato.

E questo fa capire come discutere di un (falso) vitalizio a sindaci e assessori, ignorando i veri vitalizi per giunta cumulabili con le pensioni, sia un magnifico e inquietante prodotto di Internet.

Quando si scambiano i ruoli e i destinatari dell’informazione diventano informatori di se stessi, si produce una potente eterogenesi dei fini che trasforma il falso in vero.

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