Sarkozy si presenta all’elettorato con il suo ritratto mezzo busto e di tre quarti, lo sguardo è deciso, romantico e pieno di speranza oltre l’orizzonte. Sullo sfondo il mare appena increspato con le luci di una nuova alba. Lo slogan è “la France forte”. La Francia forte. Potrebbe essere un ottimo cartellone per vendere cioccolatini o pacchetti vacanze con la foto del manager incorporata.

Le modifiche (che non sono tardate ad arrivare) più votate sui social network sono quelle che hanno ingrandito la fotografia, collocato il presidente su un pedalò con una paperella di plastica a prua e con su scritto: “Costa Crociere”.
Sottinteso il “ ramer” che in francese significa “remare” ma anche faticare oltre misura per ottenere qualcosa, e poi fallire, e compresa anche la frase di Mélenchon su François Hollande che lo aveva paragonato a un “capitano di pedalò”.

Lo spin ideatore della campagna del presidente uscente è Jean-Michel Goudard, 72 anni, fedelissimo di Sarko, con tanto di ufficio all’Eliseo. Ex pubblicitario, vincitore delle presidenziali con Chirac e Sarkozy, è socio dell’agenzia pubblicitaria RSCG creata nel 1975 con Bernard Roux, Jacques Séguéla e Alain Cayzac.

sarkozyLibération riporta il ritratto (inquietante) che ne fa un funzionario dell’Eliseo: “ la grande qualità di Goudard è la sua capacita di semplificare le questioni complesse oltre misura. Gli fa orrore entrare nei dettagli”.

Così Goudard, animato da tanta (eppur vincente) profondità, dopo sei mesi ha tirato fuori uno slogan che mira al paese e non al candidato, e al paese che vorrebbe sembrare resistente di fronte alla crisi. Ma ancora una volta si tradisce la politica securitaria al centro della campagna politica precedente. Del resto le scivolate di Sarko per rosicchiare voti a Marine Le Pen si susseguono, come testimoniato dalla recente la frase: “La France maîtresse chez elle”, cioè “ padrona a casa sua”. Un concetto questo che unifica il pensiero della destra di tutto il nord europa Italia compresa in un unico partito xenofobo anti immigrazione, identitario. Le sfide fondamentali , di nuovo, sono quelle dell’esclusione dell’altro, pescando le cause della crisi in uno stato sociale a favore degli immigrati.

Inoltre, lo slogan della “Francia forte” ricalca quello di Giscard D’ Estaing che nel 1981 sempre in un contesto di crisi economica era passato al secondo turno con: “ C’è bisogno di una Francia forte”.

Ma il comune denominatore, di ogni slogan in campo per le attuali presidenziali francesi, e che in Italia è fin troppo noto, è quello di vendere la politica come se fosse un prodotto di consumo sul mercato.

Vendere un candidato come una scatola di cioccolatini o una vacanza, si ritiene, che abbatta il margine di rischio. Per cui è la comunicazione politica nel suo insieme a essere in crisi di pari passo alla politica che inonda i media di parole vuote e sempre più povere. E sicuramente in questa fioritura sloganistica uno dei messaggi che passano è che sia la politica a adattarsi alla formula e non il contrario. Non esattamente quello che serve per creare consenso in un elettorato che ha perso appunto il desiderio della politica.

Ma ancora più triste è la frase scelta dal candidato socialista Hollande: “ Il cambiamento è adesso”. Creata dall’agenzia BDDP è stata giustificata così: “ l’idea è che la volontà di cambiamento, la voglia di cambiare passa attraverso François Hollande”.
Quale frase più sfruttata che quella del cambiamento?
In Italia non c’è candidato anche alla presidenza del circolo del tennis che non abbia lanciato la roboante sfida del cambiamento. E forse bisogna essere italiani e conoscere il Gattopardo e anche le promesse tradite fino all’ultimo, per sospettare subito di fronte a uno slogan simile.

Rispetto al passato recente, dove l’universo mediatico era assai limitato, la comunicazione politica è oggi frammentata in più parti e resa fluida e pervasiva. Inoltre in Francia le spese per le campagne e l’affissione sono strettamente inquadrate (contrariamente all’oscenità dei cartelloni abusivi in Italia) e si valorizza enormemente la piccola storiella video , sulla linea della storiella della pubblicità con l’uomo che arriva dalla casalinga col prodotto anti calcare, e sulla linea anche del memorabile spot Ashley ‘s Story della campagna del 2004 in America a favore di Bush Jr. Rimane comunque prevalente l’uso dello slogan che sbaraglia ogni complessità.

Erik Neveu nella “ Communication politique” ( ed. Presse universitaires du Mirail) osserva che lo slogan anche se segno della decadenza della politica mantiene la sua forza all’interno della comunicazione per le sue qualità pedagogiche e mnemotecniche:
“Uno slogan riuscito inchioda l’avversario , condensa una promessa centrale, suggerisce un disegno collettivo. E questo si vede proprio attraverso i social network che   modificando una frase, giocando con le parole, alterando la grafica, riassumono in una frase il bilancio di chi sta lasciando il posto.”

Resta da chiedersi se è così sicuro che delle ricette che sembravano infallibili fino a qualche anno fa possano continuare a produrre risultati nell’era dei social network, anche perché avvicinarsi a questi con lo stesso metodo pervasivo e perentorio della pubblicità studiata a tavolino, è spesso una battaglia persa. E questo perché la politica non sa più pensarsi se non in termini manipolatori, che sono il contrario dei principi ispiratori dei social network.
In Italia resterà nella storia la fallimentare campagna di tesseramento del Pd che per rimandare al linguaggio della rete, ha invaso le strade di criptici manifesti con “conosci Faruk?”

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