La storia di Giacomo Frati, cardiochirurgo per dono di famiglia, può sembrare il classico caso di “calci in culo alla romana”, ma non è così. Anzi peggio.

La parola nepotismo assume un nuovo significato di fronte ai rapporti clientelari e al potere del sommo barone Luigi Frati, rettore dell’università La Sapienza e gran cortigiano onnipotente dell’arte medica.

A costui non serve un esercito del male per conquistare il mondo, gli bastano qualche firma e un paio di telefonate. Così fa svolgere il ricevimento di nozze della figlia Paola presso l’aula magna dell’università e sistema moglie, figli, nuora e cognato con stipendi da chef a cinque stelle. Da ultimo, poco prima dell’entrata in vigore della riforma anti raccomandazioni, con un colpo di stetoscopio riesce a piazzare il figlio a Latina, inventandosi un reparto tutto per lui.

Il malvagio dominio dell’imperatore dei malesseri si estende dalle istituzioni alle multinazionali farmaceutiche, per un giro di affari che manderebbe in tilt la calcolatrice di Tremonti. A questo punto l’erede al trono Giacomo, prima si fa esentare dai noiosi turni di notte, poi a 36 anni si ritrova a capo dell’Istituto Chirurgico Ortopedico Traumatologico di Latina.

Un carriera ben avviata, se non fosse che in un anno l’istituto ha presentato il più alto tasso di mortalità durante gli interventi rispetto agli altri ospedali di Roma. Il giovane Giacomo, che dal padre-padrino non ha preso la dote dell’omertà, si difende spiegando che il personale non era preparato e che lui stesso si è allenato con i manichini, anzi, sull’Allegro Chirurgo e sui peluche dei Simpson. Anche Mengele faceva pratica sui malati, con la differenza che Frati Junior percepirà una pensione al massimo consentito.

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