Guardare il Festival di Sanremo è un obbligo morale, partiamo da questo. Da ragazzo ho peccato e ho saltato qualche edizione impegnato com’ero a fare l’adolescente ricercatore di percorsi alternativi della coscienza (che suona molto meglio di quello che state pensando voi). Poi però sono tornato sulla retta via e l’ho sempre consultato.

Consultare il Festival è il termine più appropriato perché Sanremo è come l’Oracolo di Delfi. E la bestia da sacrificare siamo noi. Ma il compenso vale sempre il sacrificio. Perché scopri la direzione che ha preso il paese nel modo in cui viene rappresentata l’unica cosa che ormai sa fare: mettersi in scena e cantare. Ma è lo spettacolo in sé che fornisce i vaticini più interessanti e il buon Fazio, genuino come un biscotto industriale interpretato da Banderas, è la perfetta incarnazione del futuro che ci aspetta. Un sipario che non si alza, un intoppo, una difficoltà che crea immediatamente attesa attorno all’evento. Un pistolotto sul treno in bilico sulla riviera, simbolo delle ferite dell’Italia martoriata e stock, il primo accenno, la prima profezia. Riassumo alla meno peggio: “e se ci unissimo per cucire le ferite di questa Italia nella più grande opera pubblica”… il “new deal”  sanremese è servito. Ormai i programmi di governo li scrivono gli autori, che diciamoci la verità sono più di vent’anni che assistiamo ad una farsa è anche giunto il momento di farla scrivere a chi fa questo di mestiere così la infiocchetta per bene. 

Ma…si odono urla, concitazione in sala. E’ Grillo? Il temuto capopolo della setta delle “cinque stelle di Beppe” è riuscito nell’intento di rovinare la festa? No, sono due operai napoletani che non vedono lo stipendio da mesi e sono appesi ad una balaustra. E qui l’Italia trattiene il respiro. Per la precisione però mezza Italia che comunque trattiene il respiro si chiede come caspita abbiano potuto eludere i controlli ed arrivare fin dentro il teatro  sulla suddetta balaustra visto che a Sanremo ci vuole un apposito passi anche per andare in bagno, ce lo ha appena spiegato il bravo Pif nell’anteprima del festival affidata al suo talento da “testimone”. L’altra mezza Italia, quella disfattista e disillusa pensa che quei due poveri cristi siano in scaletta e che sia un omaggio nemmeno tanto velato ai 60 anni di tv e a Pippo Baudo che salvò un disoccupato quarantenne nel Sanremo 1995.

Il dramma in diretta dura qualche minuto tra urla, strepiti e promesse di lettura di una missiva scritta con l’inchiostro della disperazione e poi riparte il pistolotto sulla ricostruzione e si intravede di nuovo la speranza…perché noi italiani abbiamo dentro una grande dote… sì, quella di farci prendere per il culo con una tale ripetitività e spirito di gregge da far davvero invidia ai lemming suicidi. Ma parte o non parte questo festival? Potrebbe, ma prima di ascoltare le canzoni in gara, termometro dei pensieri del paese (perché se riflettiamo, i cantanti sono come i poeti, persone sensibili che hanno la capacità di esprimere concetti in maniera nobile e persino alta attraverso un arte popolare come il canto) rendiamo onore ad uno dei più grandi cantautori italiani, Fabrizio De Andrè, con una delle sue canzoni più toccanti “Creuza de ma”…e chi la canta? Ligabue. E vabbè ma allora ditelo. Siete autolesionisti. Vi piace talmente farvi del male che alla fine dell’esibizione più surreale mai vista su di un palco dite al commosso Ligabue (emozionato per aver cantato per la prima volta una canzone diversa dall’unica che ha mai cantato in vita sua)…allora ci rivediamo sabato. L’ho detto che stiamo parlando del festival della canzone? Io ho constatato solo che alle 22.24, dopo due ore, avevo ascoltato 4 canzoni, quindi due cantanti. Perché per il geniale “regolamento Fazio” ogni cantante partecipa con due canzoni, così di due almeno una... Ancora una volta Sanremo è lo specchio del paese.

Vieni sottoposto ad una dose massiccia di merda cosicché la meno peggio sembra brillare di luce propria. Vi ricorda qualcosa? Della qualità delle canzoni è difficile parlare, del resto come fare a ricordarle quando vengono disperse in un mare di intermezzi e di “numeri” interessanti come Letizia Casta che canta e balla “Ma ndo vai?” di Alberto Sordi (perché la banana è sempre la banana) oppure Raffaella Carrà, una nuova proposta di soli settantanni che ha cantato un medley in playback per promuovere il suo album uscito a novembre? Quello che è certo è che, come tutti gli anni, sono sottoposte ad un potente incantesimo. Orribili al primo ascolto diventano poco più accettabili al secondo per diventare gradevoli alla fine della settimana. Quando si ascoltano per la centesima volta nella puntata sanremese di Domenica In sono diventate stucchevoli ma ormai il miracolo è fatto. Le linee guida per il paese sono state fornite. E si può pensare già a quello del prossimo anno, che condurrà Bonolis. Giusto per garantire la continuità con lo splendido ventennio appena trascorso. 

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