L’Organismo Unitario dell’Avvocatura, la rappresentanza politica forense, conferma la riunione di domani alle 15 a Roma del Comitato di Azione contro la chiusura di 1000 uffici giudiziari e per la difesa di una giustizia di prossimità e annuncia la presentazione di altri due ricorsi il 9 novembre al Tribunale Amministrativo di Basilicata ed Emilia Romagna.
Intanto Maurizio de Tilla, presidente Oua, ricorda l’importante decisione del Tar della Sardegna che ha definito le ragioni del ricorso presentato come “rilevanti e meritevoli di approfondito esame” e che per questa ragione ha ritenuto “di fissare sollecitamente la definizione del giudizio di merito essendovi i presupposti per apprezzare favorevolmente le esigenze dei ricorrenti”.
 Il tutto il prossimo 23 gennaio. Si confermano così le questioni di incostituzionalità e le motivazioni esposte dall’Organismo Unitario e suffragate dal parere richiesto dallo stesso de Tilla al costituzionalista Giuseppe Verde.
Ma il presidente Oua sottolinea anche che un primo importante appuntamento è già il 12 novembre, in quella data, infatti, il giudice di Sulmona ha fissato un’ udienza su un altro ricorso dei dipendenti del Tribunale costretti dalla chiusura a ricollocarsi in altre sedi. Nel frattempo il magistrato ha sospeso gli effetti degli atti.
 De Tilla, quindi, ritorna agli aspetti di manifesta incostituzionalità del provvedimento del Governo: «L’art. 1, comma 2, della legge n. 148/2011 (che regola la revisione della geografia giudiziaria) ha introdotto nel decreto legge n. 138/2011 un contenuto completamente eterogeneo rispetto al suo contenuto originario che non concerneva affatto la riorganizzazione territoriale dell’amministrazione della giustizia. Il che sottolinea l’evidente incostituzionalità della normativa. Va, in proposito, richiamata la recente sentenza n. 22/2012 della Corte Costituzionale, secondo la quale la semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge oggettivamente o teleologicamente unitario non vale a trasmettere, per ciò solo, alla stessa il carattere di urgenza proprio delle altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità. E la Consulta specifica che l’inserimento di norme eterogenee all’oggetto o alla finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed i provvedimenti provvisori con forza di legge, di cui all’art. 77 Cost.».
«Nella legge n. 148/2011 – continua il presidente Oua – viene meno la costituzionalmente necessaria coincidenza fra oggetto del decreto-legge e oggetto della legge di conversione. E questa situazione si rivela ancor più grave se si considera che nel caso di specie, facendosi ricorso all’istituto della delega legislativa, si riassegna all’esecutivo un ampio potere legislativo vertente fra l’altro su un tema centrale e delicatissimo quale quello dell’accesso alla giustizia.
A prescindere, inoltre, dall’oggetto della delega, il potere delle Camere, nell’esercizio dell’ordinaria potestà legislativa, di apportare emendamenti al testo del decreto-legge, non può giungere a spezzare la “sequenza tipica profilata dall’art. 77.”, pena la produzione di una “alterazione dell’omogeneità di fondo della normativa urgente, quale risulta dal testo originario”. In altre parole, il Parlamento in sede di conversione del decreto-legge non può “spezzare il legame essenziale tra decretazione d’urgenza e potere di conversione”. Se ciò avviene, è palese la violazione dell’art. 77, per l’uso improprio, da parte del Parlamento, di un potere che la Costituzione gli attribuisce, con speciali modalità di procedura, allo scopo tipico di convertire, o non, in legge un decreto-legge».
«Vi sono, inoltre ulteriori  ragioni di illegittimità costituzionale della normativa – conclude de Tilla – per effetto della irragionevolezza intrinseca dell’art. 1, comma 2, della legge n. 148/2011. La dubbia ragionevolezza dell’intera “operazione” posta in essere dalla delega è rappresentato dalla inidoneità di tale operazione (ristrutturazione della geografia giudiziaria) rispetto allo scopo alla stessa assegnato (risparmio sulla spesa pubblica). Proprio il rapporto della Commissione studi del Ministero dichiara che il risparmio (non immediato, ma solo a regime)  sarà pari per l’intero territorio nazionale a soli 76 milioni di euro. Ma un semplice confronto fra tale somma con i costi che la chiusura di ogni singolo tribunale comporta (costi diretti e indiretti, ivi compresi anche quelli connessi all’indotto e ai disagi sociali,  dimostra come tale operazione finisca per costituire in realtà un autentico fallimento economico giacché a fronte di un risibile risparmio (a regime) si determinano costi (diretti e indiretti) ben maggiori! Un assurdo. La scelta migliore è quella di rivedere tutto il provvedimento con l’obiettivo di trovare strumenti più adeguati per un migliore e più efficace funzionamento della macchina giudiziaria e al fine di non andare incontro a una decisione di incostituzionalità della Consulta».

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