E’ assolutamente fuorviante quella congettura secondo cui l’attuale crisi economica sarebbe il risultato di occulte trame internazionali, cioè di un complotto “demo-plutocratico” ed “ebreo-massonico” ordito su scala mondiale.
E’ un’interpretazione nazista molto in voga, in quanto è accreditata non solo presso settori che fanno tradizionalmente capo all’estrema destra, ma incontra consensi anche presso frange riconducibili all’antagonismo ideologico abitualmente apostrofato come “rosso-bruno”.
Capita di avere frequenti scambi di opinione con sedicenti compagni, i quali sono convinti che la crisi economica sarebbe stata causata intenzionalmente dai padroni delle grandi banche e dai signori dell’alta finanza, esponenti di comitati d’affari e di potere: si tratta di mostruose società bancarie e finanziarie come la famigerata Goldman Sachs, il turpe Club Bilderberg, l’abominevole Commissione Trilaterale e così via. Sono teorie che suggestionano un particolare tipo di utenti del web e un’ampia percentuale dell’opinione pubblica, forse perché quel genere di tesi sembra corrispondere alla realtà delle cose. Sembra, ma la realtà non è mai come risulta dalle circostanze apparenti.
Di norma, le insinuazioni dietrologiche attingono a fonti di natura fascista o cripto-fascista. Infatti, sono promosse soprattutto da parte di formazioni politiche che si richiamano apertamente all’ideologia fascio-leghista. Tuttavia, nell’attuale fase storica, la confusione ideologica è tale che simili deduzioni riscuotono simpatie anche a sinistra, in ambienti politici che si ispirano alla storia e alla cultura della “sinistra antagonista”.
Probabilmente, il motivo che spiega il successo di tali illazioni risiede nell’immediatezza e facilità di comprensione che derivano dal loro carattere semplicistico. Non a caso tali asserzioni si limitano a cogliere solo i dati esterni dei fenomeni, ma non riescono a penetrare in profondità, non vanno a ricercare le cause e scoprire l’origine dei processi.
Al contrario, la visione dialettica del materialismo storico consente di investigare al di là delle manifestazioni esteriori, oltre la fenomenologia più superficiale, cioè l’insieme degli aspetti epifenomenici, per desumere le contraddizioni nascoste sotto un cumulo di orpelli e forme artificiali e che costituiscono le cause reali di un determinato fenomeno.
Riprendendo il tema iniziale, cioè la crisi economica, il pensiero marxista non pretende di porsi in termini esaustivi, ma è in ogni caso superiore rispetto ai comodi stereotipi, alle banali percezioni e persuasioni comuni, alle teorie complottiste di matrice fascista o cripto-fascista, e rispetto alle idee ufficialmente sponsorizzate dalle élite capitaliste.
L’analisi marxista non si accontenta di registrare ed esaminare i fenomeni superficiali, ma indaga a fondo i processi, per sviscerare le dinamiche delle crisi che sono un elemento storico ricorrente. In tal senso, muovendo da informazioni e indizi rilevati costantemente, il metodo marxista permette di esplorare a fondo i fenomeni di crisi che sconvolgono periodicamente il capitalismo, fornendo una versione estremamente rigorosa e razionale che è senza dubbio più attendibile rispetto alle concezioni pseudo-scientifiche, ai luoghi comuni, alle vulgate nazional-popolari e alle ottuse dietrologie.
L’impianto teorico-scientifico di scuola marxista, più esattamente marxiana, procede a rilevare e indagare un complesso di fatti e cicli storici ricorrenti configurabili come “leggi”, intese in chiave non meccanicistica o deterministica, ma in un’ottica comprendente la totalità delle contraddizioni immanenti nella realtà storica, tra cui il fenomeno più frequente e rilevante è la “caduta tendenziale del saggio di profitto”.
Il saggio di profitto è semplicemente il valore medio deducibile dall’insieme degli utili capitalistici individuali. E’ la stessa concorrenza tra i singoli capitalisti che finisce per ottenere un esito opposto alle intenzioni, perciò invece di aumentare, i profitti crollano.
Si evince che l’eventualità della crisi è insita nell’anarchia che caratterizza il modo di produzione capitalistico. Per tale ragione profitti e salari tendono a diminuire, almeno in termini relativi, cioè in rapporto all’inflazione, non come valore monetario nominale. Ma la causa ultima delle crisi che investono periodicamente l’economia capitalista, risiede nell’impoverimento progressivo dei lavoratori, i quali formano la massa dei consumatori.
La radice nascosta delle crisi capitaliste affonda nel problema del sottoconsumo, nella contrazione crescente dei consumi di massa, che agisce in contrasto con la tendenza del mercato ad estendere l’area dei consumatori. Pertanto, anche l’attuale crisi è generata da fenomeni di sovrapproduzione e sottoconsumo che si ripetono ciclicamente nella storia del capitalismo moderno. Ciò significa che il modo di produzione capitalistico, al di là della fenomenologia superficiale, racchiude in sé le cause latenti della crisi, che si annidano nelle incongruenze irrazionali e strutturali che sono connaturate al sistema.
L’unica alternativa per scongiurare eventuali scenari catastrofici è quella di una fuoriuscita globale da un capitalismo destinato al collasso. Ciò significa restituire valore al lavoro collettivo, rilanciando la centralità del lavoro produttivo in un assetto di autogestione dei lavoratori. Non basta appropriarsi dei mezzi produttivi, né rovesciare il quadro dei rapporti di forza, ma occorre rivoluzionare il modo di organizzare e gestire la produzione stessa. Le aziende capitaliste sono nate per ricavare profitti privati, non per soddisfare le istanze vitali delle persone. E’ la loro natura intrinseca ad essere viziata.
Pertanto, bisogna riconvertire le imprese alla produzione di beni di prima necessità, cosicché il valore d’uso recuperi il primato sul valore di scambio e l’autoconsumo delle unità produttive locali, autogestite politicamente, si imponga sui falsi bisogni consumisti indotti dal mercato, evitando di subordinare i diritti umani alle aride leggi del profitto.