Come sta la giustizia? Male grazie, l’unica classifica che riusciamo a scalare in Europa è quella riguardante la lentezza dei procedimenti giudiziari: ora siamo al terzo posto.

 
C’è stato il famosissimo “resistere resistere resistere” del Procuratore milanese Francesco Saverio Borrelli durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario del 2002, ci sono state le costituzioni alzate dei magistrati mostrate in segno di protesta contro le leggi ad personam del governo Berlusconi, ci sono state le “disertazioni”; il 28 gennaio 2010 si parlava addirittura di magistrati in assetto di guerra contro il ministro Alfano. Ogni anno però si è sempre parlato di Giustizia in ginocchio, di sistema al collasso.
Durante l’inaugurazione dello scorso anno (29 gennaio 2011) la parola ricorrente era organizzazione: “costruire una moderna organizzazione giudiziaria. L’allora ministro Brunetta dichiarava che “l’80% dei problemi della giustizia italiana è di natura organizzativa, all’obsolescenza delle macchine e delle tecnologie va sommata l’obsolescenza culturale delle persone”. A quel tempo veniva da rispondere: l’obsolescenza culturale delle persone non si combatte con i tagli al sistema scolastico, altrimenti è ovvio che avremo scuole sempre più vecchie e studenti sempre peggio formati destinati a diventare adulti dall’obsolescenza culturale.
In Italia “la giustizia è troppo lenta e macchinosa, troppo lontana dalle aspettative di chi ad essa chiede regolazione certa delle controversie e sicurezze nella vita di tutti i giorni. Sappiamo tutti che occorrono ulteriori riforme, oltre a quelle già attuate, per fare fronte ad una domanda di giustizia in continua crescita”. A dichiararlo non è Lupo nel 2012, ma il Procuratore generale della Corte di Cassazione, Francesco Favara, l’11 gennaio 2002. Il Pg chiedeva riforme coordinando due principi costituzionali sanciti dalla riforma dell’articolo 111 della Costituzione, sulla durata ragionevole del processo e sul giusto processo. Se non si coordinano questi due principi, avvertiva Favara dieci anni fa, si rischia che 2nuove regole estranee o non essenziali ai fini della garanzia del giusto processo, producano un ulteriore e non giustificato appesantimento delle procedure. IN questa prospettiva, sempre secondo Favara, le riforme devono essere studiate in relazione ai benefici che si intendono conseguire, ma anche ai costi che esse comportano in termini di efficienza”.
Sono passati dieci anni ma forse nessun legislatore si è mai letto attentamente (soprattutto seriamente) la relazione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2002.

Dieci anni di riforme organiche della giustizia
Se vogliamo analizzare una riforma organica della giustizia dobbiamo risalire al cosiddetto pacchetto Flick. Alle elezioni del 1996, l’Ulivo (coalizione di centrosinistra) si era presentato con un programma ben definito sulla giustizia: norme per sveltire i processi e renderli più efficienti, norme anticorruzione per rafforzare la lotta ai fenomeni come quelli di tangentopoli, norme per riequilibrare il potere dell’accusa e della difesa e rendere la magistratura maggiormente indipendente dal potere politico. Vinte le elezioni, il Guardasigilli Giovanni Maria Flick presentò subito un pacchetto di riforme che riscossero maggioranze bulgare perché furono votate anche dal Polo di centrodestra. I “dissidenti” già durante la campagna elettorale ritenevano il programma sulla giustizia dei due schieramenti troppo simile, segno evidente, però, che l’emergenza era la stessa e che per fronteggiarla servivano le stesse misure. Fu così approvata dal Parlamento la riforma dell’articolo 111 della Costituzione (in soli 9 mesi nonostante la procedura rafforzata prevista per le leggi costituzionali), alla quale però il Guardasigilli Flick voleva dare seguito con un altro “pacchetto” di riforme. La storia, poi, è andata come tutti sappiamo.
Durante la campagna elettorale del 2001, la Casa delle Libertà presenta un programma con cinque strategie di governo, la terza riguarda la Giustizia, la sicurezza e l’immigrazione, mentre uno dei paragrafi è interamente dedicato all’ordinamento della magistratura. Si parla esplicitamente di separazione delle carriere tra giudici e procuratori. A marzo del 2002 il Consiglio dei ministri approva la riforma dell’ordinamento giudiziario, poi passata alla storia come riforma Castelli, dal nome del Guardasigilli, Roberto Castelli (Lega Nord). L’approvazione definitiva arriverà più di tre anni dopo, il 20 luglio del 2005 nel corso dei quali il testo subirà molte modifiche, mentre passerà alla storia il forte divario tra il ministro della giustizia Castelli e l’allora sottosegretario Michele Vietti (Udc) oggi vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura che lottò per apportare le modifiche più incisive in materia di disciplinare, formazione e accesso. Il progetto originario prevedeva una forte legislazione in campo disciplinare, riformava tutte le magistrature, da quella ordinaria a quella contabile per passare anche a quella amministrativa. All’epoca si diceva che mentre i magistrati ordinari protestavano apertamente (famoso il dibattito che si svolse in quegli anni tra il segretario dell’Anm, Edmondo Bruti Liberati e il Guardasigilli Castelli e l’intervento di quest’ultimo al Congresso Anm di Venezia del 2004) i magistrati amministrativi lavoravano in silenzio “dentro” gli uffici giudiziari. Il risultato è la legge che ancora oggi rimane: Delega al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della Giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l’emanazione di un testo unico.
In quegli anni di maggioranze bulgare per il centrodestra, furono studiate dalle rispettive commissioni insediate a via Arenula riforme del processo civile, del codice e del processo penale. Di queste però solo quella del civile arrivò in parlamento sotto forma di maxiemendamento ad un decreto legge, una cosa abnorme che obbligò anche il presidente della Repubblica Ciampi ad intervenire sul “malcostume” del ricorso al maxiemendamento. Non fu mai presentata la riforma preparata dalla commissione Dalia sulla riforma del processo penale, arrivò invece la ex Cirielli sulla prescrizione, nota come una delle leggi ad personam di Berlusconi.
Gli anni successivi saranno poi caratterizzati dalla breve apparizione del Guardasigilli Mastella, al quale toccò portare avanti qualche decreto legislativo che il precedente governo Berlusconi in cinque anni non era riuscito a concludere; si stempera la gerarchizzazione delle procure e dal disciplinare scompaiono alcuni reati e la separazione delle funzioni, perchè nel frattempo la separazione netta delle carriere era diventata delle funzioni, ma la legge non riuscì ad entrare in vigore prima del 28 ottobre 2006, data entro la quale i magistrati avrebbero dovuto scegliere. Anche in questo caso, la storia poi è andata a finire come sappiamo
Nel 2008 torna Berlusconi a Palazzo Chigi e ritorna il tema della separazione delle carriere che il premier “promette” agli avvocati penalisti da almeno dieci anni. Si farà la riforma della conciliazione, il decreto di ferragosto, quindi arriverà Monti. L’inaugurazione dello scorso anno era tutta volta alla riforma costituzionale promessa (quasi minacciata) da Berlusconi e dal ministro Alfano. Di separazione delle carriere e riforme costituzionali non si è più parlato, poi è arrivato Monti e la protesta si è spostata sul fronte degli avvocati.

Il Clima è Cambiato?

Il primo presidente della Cassazione Ernesto Lupo non ha messo il punto interrogativo davanti alla frase nel suo intervento perchè, ha detto, la politica ha posto la sua attenzione nei confronti della giustizia come servizio ma, ha aggiunto, manca ancora un “piano organico per la giustizia”.
Un piano organico della giustizia lo stiamo aspettando da un decennio, nel frattempo scaliamo le classifiche più brutte: arriviamo dopo il Burundi per quella della legalità, siamo terzi in Europa per lunghezza dei procedimenti.
Chiamiamo l’Europa in causa per avere una giustizia più efficiente ma ci perdiamo un pezzo di richiamo perché la stessa Europa non ci chiede solo una giustizia più celere ma una giustizia di qualità. Ecco perché, secondo il nostro modesto parere anche tutte le misure messe in campo da agosto ad oggi (una mole di lavoro senza precedenti per Palazzo Chigi) non sempre vanno nella direzione giusta. Si perderà la giustizia di prossimità (io per esempio dovrò riversarmi nel caos di Roma, mentre adesso avrei un giudice di pace a soli 7 chilometri da casa) perché bisogna risparmiare, razionalizzare le risorse e combattere l’eccessiva litigiosità. Prima di arrivare in un’aula di tribunale dovrò comunque Conciliare, pagare e affidarmi a decisori privati nella speranza che siano stati formati bene (da scuole di formazione non proprio indipendenti), dovrò pagare 10.000 euro in caso di richiesta di sospensione di una sentenza. Insomma, prima di ricorrere ad un giudice ci penserò due volte e se dieci anni fa lo facevo per la lentezza del sistema, adesso lo faccio anche perché non ho le risorse sufficienti. Siamo sicuri che le riforme tendono a migliorare il sistema giustizia?

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