Statua di Morgantina

Roma. Una tela di Luca Giordano sparisce dalla stanza del sindaco di Napoli, una Afrodite rubata in Sicilia viene recuperata dalla California, un Atleta vittorioso finisce erroneamente in Cassazione. Mentre i musei italiani tentano di fare i conti con i continui tagli ministeriali, le nostre opere d’arte non se la passano meglio, abbandonate come sono in gran numero negli scantinati o preda di scaltri ladri pronti a immetterle nei mercati internazionali.

 La Afrodite o Venere di Morgantina è ritornata in Italia proprio nel giorno dei festeggiamenti del 150° anniversario dell’unità del Paese. Fu trafugata nel sito archeologico di Aidone in provincia di Enna, tra il 1970 e il 1980, probabilmente a San Francesco Bisconti, un’area contrassegnata dalla presenza di sacelli arcaici (piccole aree recintate e senza coperture situate intorno a un altare) e da rinvenimenti di frammenti di statue in terracotta a grandezza naturale. Agli inizi degli anni Ottanta, tranciata in tre parti, Afrodite fu venduta dal ricettatore ticinese Renzo Canavesi al londinese Robin Symes che nel 1986 la rivendette al Paul Getty Museum. Venere, in tre mosse, dalla Sicilia si ritrova a Malibu. Un incauto acquisto quello effettuato dalla sede espositiva americana, che a lungo però non ha voluto intendere ragioni. Poi, soltanto dinanzi alle evidenze, arriva un’intesa, non la resa.

Statua di MorgantinaL’accordo siglato a Roma, il 25 settembre del 2007, tra il ministero dei Beni Culturali, l’assessorato regionale della Sicilia e il Getty che conclude la complessa vicenda giudiziaria e diplomatica, prevede la restituzione di 40 pregiatissime opere del catalogo statunitense in cambio del prestito a lungo termine di statue e di altri beni archeologici che il Belpaese si impegna a effettuare assieme all’allestimento di mostre congiunte e di ricerche e progetti di conservazione e restauro.

«Oggi inizia una nuova era – fu il commento dell’allora ministro per i Beni Culturali Francesco Rutelli -. Si chiude un negoziato lungo e complesso, ma soprattutto si apre la stagione della trasparenza nell’acquisto di materiali archeologici. Lo storico accordo tra l’Italia e il Getty definisce i confini della collaborazione scientifica su basi etiche che può mettere all’angolo i trafficanti internazionali di opere d’arte». Gli fece eco il direttore del museo, Michael Brand: «Sentiremo la mancanza di questi oggetti come parte delle nostre vite quotidiane, ma le ricerche condotte dai nostri studiosi hanno mostrato che la loro vera casa è l’Italia. La firma di questo accordo, insieme alla nostra politica di acquisizione più rigida, significa che possiamo lasciare alle nostre spalle tali questioni e concentrarci sulla costruzione di collaborazioni ancora più strette con l’Italia». Tutti soddisfatti? Sembra di sì, ma resta fuori dall’intesa la restituzione dell’Atleta vittorioso, una statua bronzea attribuita a Lisippo, ferma ancora in California.

In realtà, il museo americano ha dovuto riconoscere la fondatezza dell’azione del governo grazie soprattutto alle analisi dei periti italiani che hanno dimostrato che il tufo dal quale la Venere è stata ricavata proviene dall’area archeologica del fiume Irminio nel Ragusano.

La statua, riportata a Aidone dove verrà esposta dalla fine di aprile, è alta 2,20 metri e si presenta con il corpo panneggiato e con tracce di pigmenti rossi, blu e rosa. Per le parti nude – viso e braccia – è stato utilizzato marmo bianco dell’isola di Paros, nel cuore delle Cicladi. Per l’uso di diversi materiali, la tecnica utilizzata è quella definita “pseudo-acrolitica”, già sperimentata in Magna Grecia e soprattutto in Sicilia, anche per la realizzazione delle metope del tempio “E” di Selinunte (450 a.C.). Il rendimento del corpo e del panneggio rivela profonde influenze dello “stile ricco” e potrebbe essere stata scolpita in Sicilia da un artista attico della cerchia di Fidia. Il confronto più immediato con la Venere è quello con un’Afrodite dell’Agorà di Atene (risalente al 410 a.C. circa) e tuttavia, dopo l’identificazione della statua, da parte degli esperti del Getty Museum come “Probably Afrodite” gli studiosi hanno riconosciuto in essa Demetra o Kore. Campagne di scavo condotte negli anni Ottanta dalla Soprintendenza archeologica di Agrigento, allora competente per territorio, confermarono oltre che a Morgantina, la presenza di un’area sacra in località Cozzo Matrice, nei pressi del lago di Pergusa, dove le fonti storiche dello stesso periodo localizzavano il mitico rapimento di Kore da parte di Ades, dio degli Inferi.

Statua dell'AtletaDa Morgantina a Fano, da un capolavoro in marmo a uno in bronzo, da un’intesa internazionale a una questione di giustizia. La nota congiunta diffusa a Roma al momento dell’accordo del 2007, riporta che le due parti «concordano di rinviare ulteriori discussioni sulla statua di un giovane atleta vittorioso alle risultanze del procedimento legale in corso a Pesaro». In quello stesso anno, infatti, vengono riaperte le indagini sulle peripezie dell’Atleta vittorioso in seguito a un esposto dell’associazione culturale marchigiana Le Cento Città. La statua ripescata nel 1964 al largo di Fano, secondo la magistratura italiana è stata acquistata illegalmente dal museo statunitense. Il gip Lorena Mussoni decide di confiscare il bronzo, convinta che ci sia stato un reato di esportazione clandestina e contraddicendo il suo predecessore Daniele Barberini che aveva assolto il museo. Nell’ordinanza la Mussoni scrive che la statua deve essere rimpatriata perché è un bene inalienabile dello Stato italiano esportato clandestinamente. Si va, quindi, verso la restituzione senza condizioni. La fondazione Getty non ci sta, fa subito ricorso contro l’ordinanza giudicandola «viziata sia dal punto di vista procedurale, sia nella sostanza» e tiene a sottolineare che lo stesso tribunale aveva riconosciuto il reato prescritto, considerando il museo il proprietario in buona fede del bronzo, acquisto perfezionato per 3,9 milioni di dollari. È a questo punto che entra in gioco la Cassazione. Una scelta procedurale singolare, quella intrapresa da Stephen W. Clark, legale rappresentante del prestigioso museo d’oltreoceano, perché in effetti non è l’alta corte il suo riferimento. L’opposizione alla confisca doveva essere presentata direttamente al Gip di Pesaro. E la decisione della Cassazione non può far altro che sottolineare l’ingenuità del Getty e rinviare la pratica al tribunale marchigiano.

A Fano, intanto, si discute sull’assenza di un progetto di sistemazione. La Cassa di risparmio ha messo a disposizione in via temporanea il complesso di San Michele, ma già si sa che non può essere quella la collocazione definitiva. Il bronzo potrebbe finire altrove in Italia e Fano perderebbe il suo capolavoro. Secondo lo storico delle Cento Città Alberto Berardi «il rischio è che quando il Lisippo tornerà a Fano, perché tornerà ne sono certo, dovremo dire agli americani che non sappiamo dove metterlo, e magari che lo tengano ancora un po’ loro».

Più che una preoccupazione è un macigno che pesa sulla politica culturale nazionale e sulla gestione dei beni culturali.

Arma dei carabinieri, Rapporto tutela patrimonio artistico, Aggiornamento
Arma dei carabinieri, Rapporto tutela patrimonio artistico, 2010
Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza 6558 depositata il 22 febbraio 2011

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