L’approvazione della Legge di Stabilità, quella che un tempo veniva chiamata legge finanziaria, rappresenta l’ultimo atto del governo tecnico, l’epilogo di questa avventura durata oltre un anno.

Il provvedimento adottato non ha avuto lo stesso impatto dell’omonimo presentato nel dicembre scorso: non si tratta infatti di una manovra “correttiva”, poiché i saldi complessivi sono rimasti invariati rispetto alle previsioni del Documento di Economia e Finanza di aprile. Nonostante questo, le misure approvate hanno comunque suscitato malumori e sospetti, specie nei confronti di alcuni interessi particolari che spesso trovano spazio nei provvedimenti concernenti il bilancio dello Stato. Insinuandosi silenziosamente tra le Commissioni parlamentari, i cosiddetti “lobbysti” riescono a promuovere le proprie istanze, approfittando del caos e della fretta per infilare diverse norme nel caos di commi e sottocommi che man mano di delinea.

Al di là dei contenuti, infatti, l’illeggibilità del documento rimane uno dei punti più critici, sia sotto il profilo tecnico che della trasparenza nei confronti dei cittadini. Nel caso specifico del testo approvato in questi giorni, inizialmente composto da un solo articolo con 343 commi e già definito “illeggibile” a suo tempo dal presidente Napolitano, il maxiemendamento ha portato all’approvazione di 211 nuovi sottocommi, rendendolo se possibile ancora più sibillino.
Inoltre, la gran parte delle norme rimandano a provvedimenti precedenti, di cui vengono spesso modificati solo alcuni termini ed il valore dei finanziamenti. Il risultato finale è costituito da un lungo insieme di parole e soprattutto numeri, in cui comprendere in che modo saranno spesi i soldi dei contribuenti è impresa quanto mai ardua. Tale impostazione non contribuisce certo a rafforzare il già labile rapporto tra società civile ed istituzioni, mentre lascia campo libero all’interpretazione dei media, anch’essa non immune ad influenze politiche. In altre parole, sarebbe opportuno per il futuro che ognuno possa costruirsi il proprio parere indipendente sull’operato di bilancio del governo, attraverso la predisposizione di un documento snello e di facile lettura.

Sul piano degli interventi specifici, la misura più consistente riguarda il finanziamento per la costruzione della linea ad alta velocità tra Torino e Lione, con uno stanziamento di circa due miliardi per 15 anni, che esprime di fatto la volontà di tutto l’arco parlamentare di portare a termine l’opera. D’altro canto, si registra una forte riduzione dei finanziamenti all’università pubblica, incrementati di solo 100 milioni a fronte dei 400 richiesti dal Ministro Profumo, che aveva messo in guardia sulla condizione di instabilità economica degli atenei italiani: a causa di questa scelta, uno su due sarà costretto ad aumentare le tasse d’iscrizione per evitare il fallimento. La discrepanza tra le misure è fortemente indicativa della scarsa attenzione politica nei confronti delle tematiche relative alla formazione, agli investimenti in capitale umano, alla competitività del nostro sistema educativo, nonostante i buoni propositi espressi a parole in diverse circostanze.

Alcuni incrementi sono previsti per i finanziamenti all’editoria ed alle televisioni locali, per un ammontare di circa 60 milioni complessivi, mentre è stato risolto il caso relativo alle non autosufficienze ed in particolare per i malati di SLA, attraverso il ripristino di un fondo pari a 40 milioni. A far discutere sono inoltre le norme per la proroga delle concessioni demaniali fino al 2015 per i porti turistici, che godono di un regime estremamente favorevole, insieme ai concessionari di lidi: una revisione di questi capitoli era stata chiesta a gran voce, al fine di correggere le evidenti disfunzioni fiscali e gestionali.
Salta invece la misura che prevedeva l’obbligo di montare gli pneumatici invernali su strade ed autostrade, che avrebbe determinato una sorta di tassa aggiuntiva per le famiglie italiane. All’appello manca anche la norma sul divieto, da parte delle Regioni, di applicare la maggiorazione oltre lo 0,5% sull’addizionale IRPEF sui redditi più bassi, che slitta al 2014.

Una valutazione specifica è richiesta sulla normativa in materia di gioco d’azzardo, soggetta a modifiche e concessioni ampiamente discusse e soprattutto molto confuse. Da un lato, infatti, la Legge di Stabilità introduce misure volte a preservare i consumatori dall’eccessiva e spesso ingannevole esposizione pubblicitaria: i fornitori del servizio dovranno avvertire gli utenti in merito ai rischi di dipendenza ed alle reali probabilità di vincita. Dal 1° gennaio non sarà poi possibile trasmettere le relative pubblicità nel corso di programmi televisivi prevalentemente rivolti ai giovani, vietando inoltre l’impiego di minorenni a fini promozionali.
Tali provvedimenti cozzano con il mancato slittamento della normativa prevista dalla manovra Tremonti del 2011, per cui da gennaio potranno partire le gare per la creazione di circa 1000 sale da gioco per il poker live, anche se non esiste ancora un regolamento specifico per disciplinare lo svolgimento di questa attività. Il tema è quanto mai controverso, poiché ad una valutazione morale viene opposta una ragione di tipo fiscale. La tassazione sul gioco, infatti, ha assunto negli anni un peso notevole sul bilancio dello Stato, al quale difficilmente si vorrà rinunciare, mentre svolgerlo in sale fisicamente presenti sul territorio consentirebbe di limitare il ricorso alla versione in rete, fonte di innumerevoli casi di evasione fiscale.

Il Senato ha infine approvato la versione definitiva della riforma costituzionale volta ad introdurre il pareggio di bilancio, chiudendo un processo iniziato durante gli ultimi mesi del governo Berlusconi. Durante l’iter parlamentare il testo ha subito numerose modifiche, specie per quanto riguarda le norme accessorie, in tema di attribuzioni tra Stato ed Enti Locali.
Nello specifico, è stato confermato il passo indietro sul federalismo fiscale, ampiamente documentato proprio su questo giornale, per cui il governo avrà la responsabilità sull’armonizzazione dei bilanci di Regioni, Province e Comuni, limitandone di fatto l’autonomia in materia di conti pubblici. A margine, ma non per importanza, va sottolineato il decadimento della riorganizzazione delle Province: il decreto-legge che ne ordinava i criteri di accorpamento non è stato infatti convertito nei tempi previsti, generando un mancato risparmio per le casse dello Stato di circa 500 milioni l’anno.

In questa finanziaria, d’altra parte, mancano proprio le voci di riduzione dei costi della politica, tante volte sbandierati ma mai presi seriamente in considerazione da nessuna delle parti. Il governo Monti si chiude dunque senza alcun sacrificio da parte della classe eletta, mantenendo inoltre intatta la stessa legge elettorale, perdendo una grande occasione per razionalizzare un sistema evidentemente degenerato. Se un governo tecnico non è riuscito nell’impresa, tagliare questi costi sarà ancora più difficile per il prossimo esecutivo, anche se il tema sarà probabilmente al centro dell’imminente campagna elettorale.

legge stabilità, approvata il 21 dicembre 2012

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