Il procedimento tributario non giustifica il diniego all’ostensione della cartella esattoriale.  Atti in mostra perché il contribuente ha diritto di difendersi.

L’inaccessibilità agli atti sancita dall’articolo 24 della legge n. 241/1990, infatti, va racchiusa temporalmente alla fase di pendenza del procedimento tributario mentre quella che segue la conclusione del procedimento con l’adozione «del procedimento definitivo di accertamento dell’imposta dovuta sulla base degli elementi reddituali che conducono alla quantificazione del tributo» deve ritenersi libera in una interpretazione costituzionalmente orientata, scrivono i giudici del Consiglio di Stato nella sentenza 26 settembre 2013 n. 4821.

Tutela giurisdizionale – Il caso esaminato da Palazzo Spada riguarda una società che, dichiarando di non aver mai ricevuto le notifiche corrispondenti alle cartelle di pagamento, aveva avanzato richiesta per la visione di ogni atto notificato. Una richiesta conclusasi con un silenzio rifiuto da parte di Equitalia che aveva portato la Srl a proporre un ricorso giudicato inammissibile dalla società di riscossione per tre motivi: in primo luogo perché tardivo (31 giorni), poi perché inerente tutte le cartelle emesse e inserito nell’ambito di un procedimento tributario.
In questo contesto si inserisce il lavoro di valutazione del collegio giudicante di secondo grado che nella sentenza richiama una serie di principi applicabili in via generale a procedimenti analoghi.

La notifica del ricorso – In causa è chiamato l’articolo 116 del Codice di procedura amministrativa: al primo comma dispone che si possa proporre ricorso per l’accesso entro 30 giorni da quando si viene a conoscenza della determinazione della controparte o della formazione del silenzio. La notifica entro quel lasso di tempo però, per interpretazione costituzionalmente orientata da parte della stessa Corte costituzionale, ha “scadenze” diverse per chi propone ricorso e chi, al contrario, lo riceve.
Semplificando al massimo, la Consulta scinde i due momenti per evitare che un ricorso, scritto e inviato nei termini, si annulli per via di una qualsivoglia lungaggine in fase di consegna. Il notificante perfeziona il ricorso nel momento in cui consegna il plico all’ufficiale giudiziario (nei 30 giorni successivi alla conoscenza della determinazione della controparte); per il notificatario invece il ricorso è perfezionato solo quando arriva legalmente a conoscenza dell’atto.

L’accesso nel procedimento tributario – Il concessionario della riscossione, per Palazzo Spada, avrebbe dovuto dare la possibilità di accedere alle cartelle esattoriali a fronte del timore espresso dalla controparte di esporsi ad una azione di pignoramento, considerando l’asserzione di non aver mai ricevuto le corrispondenti notifiche. La preclusione prevista dalla legge del 1990 non può perdurare oltre la conclusione del procedimento e l’adozione del provvedimento finale perché l’emanazione dell’atto chiude il procedimento tributario in sé.
L’interesse del contribuente a visionare gli atti sui quali sono state avviate le procedure di riscossione è riconosciuto anche in via legislativa, tanto che il “riscossore” ha l’obbligo di conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella e del relativo incartamento. Il riferimento normativo è al Dpr n. 602/1973 che introduce, oltre all’obbligo della conservazione della cartella, anche quello dell’esibizione a richiesta del contribuente: «dal momento che la cartella esattoriale costituisce presupposto della iscrizione di ipoteca immobiliare, la richiesta di accesso – si legge nella sentenza – è strumentale alla tutela dei diritti del contribuente in tutte le forme consentite dall’ordinamento giuridico ritenute più rispondenti ed opportune».

Diritto di difesa – La limitazione introdotta da Equitalia, insomma, infrange i principi costituzionali che garantiscono la tutela giurisdizionale e il principio, di rango costituzionale, di razionalità. Senza vedere le cartelle esattoriali, il contribuente dovrebbe costruire la propria difesa solo dopo quella che il Collegio giudicante definisce una «defatigante ricerca delle copie delle cartelle».  Una ricerca non necessaria.
Consiglio di Stato, sentenza 26 settembre 2013 n. 4821

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