“Occorre aumentare il tasso di “lucidità giuridica” del legislatore (Parlamento e uffici legislativi)” ha dichiarato il presidente dell’Associazione nazionale avvocati italiani Murizio De Tilla a margine dei lavori della VIII Conferenza nazionale dell’avvocatura.
Secondo l’analisi dell’Anai, eccesso di produzione normativa, complessità dei fenomeni sociali e della qualità non sempre adeguata dei testi legislativi, più spesso destinati alla comunicazione politica di quanto non lo siano alla disciplina dei rapporti giuridici, hanno portato la legge a perdere la sua potenza simbolica e la capacità di regolare efficacemente i comportamenti dei cittadini.
“Di fronte all’improvvisazione del legislatore – ha detto De Tilla – è spesso il cittadino comune a pagarne le gravi conseguenze”.
De Tilla inoltre sottolinea “che è una prassi diffusa in Italia l’assenza di una valutazione preventiva delle conseguenze di una legge: L’analisi di impatto della regolamentazione (AIR), introdotta nel sistema italiano – sulla base delle indicazioni dell’Unione europea relative alla Better regulation – già nel 1999, e rafforzata tra il 2001 e il 2011, è ancora scarsamente utilizzata.
In Italia manca quasi sempre la valutazione preventiva delle conseguenze di una legge. Di qui l’emanazione di leggi che provocano risultati disastrosi e negativi. Un esempio clamoroso è dato dalla normativa in tema di revisione delle circoscrizioni giudiziarie”.
“Infine è da segnalare che la giustizia funziona male anche perché la disciplina italiana della responsabilità del giudice è lacunosa e va modificata”.

LE PROPOSTE

AZZERIAMO LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA?
“Se si abolissero i TAR e il Consiglio di Stato il nostro PIL assumerebbe subito un cospicuo segno positivo”.
Questa la dichiarazione di questo politico in Italia si abusa comunemente della giustizia amministrativa. Ed allora è preferibile abolire del tutto i TAR e il Consiglio di Stato, meglio che la corruzione e l’illegalità si espandano, che far spendere soldi allo Stato per tutelare i diritti.
La macchina della giustizia amministrativa è costata nel 2012 205 milioni di euro. Il contributo unificato a carico del cittadino istante, che è sensibilmente aumentato, incide per le entrate per 15 milioni di euro. La particolarità è che l’avanzo di gestione, rispetto alle entrate di 223 milioni, è di 18 milioni di euro, che è più del contributo unificato.
I costi per i cittadini sono spontaneamente aumentati al punto da costituire un vero e proprio ostacolo all’accesso alla giustizia amministrativa. Andrebbe drasticamente diminuito il contributo unificato.

MANCA LA TERZIETÀ NELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA
Urge una riforma radicale del processo tributario che tuteli con maggiore incisività il contribuente sganciando strutture, personale e giudici dall’influenza (che esiste) dell’Amministrazione finanziaria (controparte favorita e imperante nella giustizia tributaria).
In proposito si discute molto se inserire nella delega fiscale la riforma del contenzioso tributario. In una proposta del CNEL si parla di rafforzamento e ampliamento della conciliazione (la mediazione è sub iudice), nonché di riqualificazione dei giudici e delle Commissioni tributarie.
Ma non si fa alcun cenno alla terzietà della giustizia tributaria che è viziata perché tutti i giudici e i dipendenti sono pagati da una delle parti in causa (il Fisco) che fornisce anche i locali delle Commissioni tributarie.
Un’organizzazione giudiziaria del contenzioso tributario che appare squilibrata a favore di una parte. Il che non avviene in altri Paesi d’Europa.

LA CONTRORIFORMA FORENSE: SERVE NUMERO CHIUSO NELLE UNIVERSITA’
C’è chi ha esaltato con enfasi la riforma dell’ordinamento forense, come riconoscimento all’avvocatura di una specificità quale deriva dalla funzione costituzionale (artt. 24 e 111 Cost.). La riforma è stata approvata alla fine della precedente legislatura ma il Governo attuale non è d’accordo e sta facendo un bieco ostruzionismo che si sostanzia in una vera e propria controriforma.
Basti considerare che il Ministro della Giustizia si è rifiutato di emanare il decreto legislativo per dare attuazione alla norma di delega sulle società tra avvocati, che escludeva i soci di capitale. Sui parametri la proposta dell’Avvocatura è stata declinata con una inaccettabile decurtazione che aggraverà ancora di più la situazione di crisi economica degli avvocati, e segnatamente delle colleghe e dei più giovani.

Il Governo si è attestato sulle posizioni di autoconservazione dei potentati universitari che rifiutano di adottare il numero programmato o il numero chiuso nelle facoltà di giurisprudenza finalizzati alla selezione dell’accesso alla professione forense, motivando la resistenza (fino a questo momento vittoriosa) con il rilievo che i finanziamenti statali sono legati proporzionalmente al numero degli studenti che diminuirebbe nel caso di restrizioni.
Siamo alla deriva democratica che si ha quando la politica viola i propri impegni di dare corso ad una riforma già approvata da gran parte delle forze politiche nella precedente legislatura.
I posti messi a disposizione dalle università per l’anno accademico 2013-2014 sono limitati e programmati solo per alcune Università.
Il numero chiuso è però limitato ad alcune discipline universitarie. Inflazione e sovraffollamento per le altre facoltà universitarie. In Economia e Legge possono accedere tutti.
Abbiamo più volte chiesto di estendere il numero chiuso a tutte le università e, in particolare, alle facoltà di giurisprudenza per calibrare gli iscritti anche in relazione agli sbocchi lavorativi. Il sovraffollamento dell’albo degli avvocati dipende dal numero spropositato di laureati in giurisprudenza. Il numero programmato per l’accesso agli albi dei laureati può essere anche programmato in uscita dall’Università.
Il sovraffollamento riguarda anche gli avvocati abilitati al patrocinio in Cassazione.
Ecco perché si pensa di limitare il ricorso per cassazione contro tutte le sentenze che potrebbe concorrere alla deflazione del carico giudiziario e determinare una selezione dei processi.
Si dice che in Italia ci sono troppi avvocati: per selezionare la professione la riforma forense è intervenuta ma in modo troppo leggero e solo parzialmente deflattivo. L’accesso – dopo un periodo transitorio – viene finalmente selezionato.

Ma il fenomeno distorsivo è dato dai 40 mila già patrocinanti in cassazione. Si poteva varare un criterio legale di revisione. Ci dicono che in Cassazione difendono frequentemente non più di 3-4 mila avvocati.
Non può avere alcun consenso la proposta di distinguere gli avvocati cassazionisti da tutti gli altri, configurando una specie di specializzazione e di incompatibilità.
Perché la verità è che i migliori cassazionisti sono proprio quelli che conoscono bene le problematiche dei giudizi di merito.

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