“Una travagliata vicenda”. Così Giorgio Napolitano ha definito la nomina del nuovo governatore di Bankitalia, ratificata dalla Presidenza della Repubblica solamente il 25 ottobre scorso, a pochissimi giorni dallo scadere del mandato dell’ex governatore Mario Draghi, chiamato a guidare la Banca Centrale Europea. La scelta del suo successore si è infatti rivelata un lungo braccio di ferro tra le forze politiche della maggioranza.

Tre i candidati che avevano animato il tavolo delle discussioni: Fabio Saccomanni, Vittorio Grilli e Lorenzo Bini Smaghi, tutti estimabili professionisti dalle forti e divergenti personalità. Alla fine l’indicazione del primo ministro, Silvio Berlusconi – cui spettava per legge effettuare la scelta – si è orientata sul vicedirettore generale di Bankitalia, Ignazio Visco, che ha raccolto apprezzamenti trasversali. La candidatura di Visco è stata comunicata a Palazzo Koch giovedì 20 ottobre, ottenendo il parere favorevole del Consiglio superiore della Banca d’Italia riunitosi lunedì 24, giorno limite per completare la procedura secondo le regole previste. Il decreto è poi passato al Consiglio dei Ministri, ed infine al Capo di Stato. Fin qui la cronaca che riguarda il vertice di un istituto nevralgico in un momento particolarmente delicato nella vita economico-finanziaria del Paese che ha fatto registrare pochi giorni dopo un crollo del 7% della Borsa di Milano.

 

 

Le debolezze italiane secondo gli osservatori stranieri

banca_italia_2È dall’inizio di settembre che si discuteva delle sorti di Bankitalia e più volte Napolitano aveva ricordato l’esigenza di preservare sia l’autonomia sia il prestigio dell’istituto, evitando nomine troppo politiche e ritardi eccessivi nell’iter previsto dalla legge. Lo stallo sulla nomina, per altro- che si è protratto veramente fino all’ultimo giorno utile – è stato visto dall’estero come l’ennesima prova della debolezza del governo Berlusconi: in un suo articolo di qualche settimana fa, Bloomberg Businessweek ha parlato addirittura di “paralisi politica” e “incapacità” del Premier di trovare un governatore super partes.

Come da prassi, Draghi, in qualità di governatore uscente, aveva segnalato a Berlusconi un nome, da inserire nella rosa dei candidati: in questo caso, Fabio Saccomanni, già direttore generale di Bankitalia. Saccomanni fu chiamato proprio da Draghi a ricoprire quel ruolo, sin dal suo primo anno di insediamento (2006): ha dunque condiviso con l’ex governatore la politica di rigore nei confronti del sistema bancario che l’istituto ha portato avanti negli ultimi cinque anni. Una linea dura, costellata di commissariamenti delle banche gestite con metodi poco trasparenti e da ricapitalizzazioni, ma che ha permesso di evitare grossi fallimenti durante l’attuale crisi finanziaria e ha allineato le banche italiane ai requisiti severi dell’accordo di Basilea 3 (2010). Con Saccomanni erano dunque assicurati tanto una soluzione di continuità con la direzione precedente, tanto – visto il rapporto di intima e reciproca fiducia – dei buoni rapporti con la Bce, adesso sotto la guida di Mario Draghi, del cui sistema la Banca d’Italia è parte integrante, in qualità di Banca Centrale dello Stato Italiano. Certezza poco apprezzata dal ministro delle Finanze, Giulio Tremonti. Innanzitutto, Tremonti ha da sempre guardato con occhio poco benevolo il ruolo della Bce nella gestione della crisi, ritenendo piuttosto unico e possibile timoniere, il Consiglio Europeo dei ministri. Per di più, l’ex governatore non aveva mai condiviso pienamente le scelte politiche del ministero. Draghi, già all’inizio di settembre, in qualità di futuro Presidente della Banca Centrale Euopea, aveva ricordato al ministro che il programma attivato dal suo predecessore Claude Trichet di acquisto bond italiani da parte della Bce, per sostenerne a breve periodo l’economia zoppicante, è un piano d’emergenza, e come tale, di durata limitata. Anche nel suo discorso di saluto alla Banca d’Italia, pronunciato il 26 ottobre scorso di fronte ad una platea gremita di personaggi del mondo finanziario e istituzionale, Tremonti compreso, Draghi ha invitato a “riconoscere i nodi e non sperare negli altri. È essenziale – ha aggiunto – affidarsi a se stessi, alla propria forza, alla propria storia, per salvarsi in Europa”.


Draghi, “Il più  tedesco dei tedeschi”

Non per niente, ha notato il Financial Times in un articolo del mese scorso, la prima sfida di Draghi come presidente della Bce sarà proprio quella di gestire dall’esterno la crisi italiana ed riuscire ad essere “più tedesco dei tedeschi”. La più grande divergenza tra Saccomanni e il suo rivale tremontiano, Vittorio Grilli, riguardava, per esempio, la questione degli Eurobond, i titoli di Stato garantiti da tutti i Paesi dell’eurozona, che per l’appunto ci salverebbero dalla spirale soffocante del debito pubblico. A differenza di Saccomanni, il direttore generale del Tesoro Grilli era più che favorevole alla loro istituzione, proprio come il suo ministro, che ad agosto scorso aveva dichiarato che i bond europei erano “una chance positiva, non solo un’idea finanziaria […] a condizione che ci sia da parte dei governi europei una più forte governance, bilanci più controllati”.

 

La Francia fra Tremonti e la Bce

banca-italia_3Allo scontro fra Tremonti e la Bce si sono poi aggiunte le pressioni dalla Francia. Sotto Trichet, infatti, operava come membro dell’esecutivo già un altro autorevole economista italiano, Lorenzo Bini Smaghi. La candidatura di Mario Draghi è stata sostenuta anche dai voti francesi e dunque ci si aspettava la cessione ad un transalpino del posto di Bini Smaghi, che aveva mostrato invece qualche reticenza. Nonostante il regolamento non si pronunci a tal proposito, sarebbe stato comunque impensabile che due poltrone su sei di un organo europeo fossero occupate da connazionali o che la Francia non avesse alcuna rappresentanza all’interno dell’organo esecutivo. Ad ogni modo, per prendere i famosi due piccioni, tra i ministri era stata ventilata anche l’ipotesi di candidare Bini Smaghi, essendo lui stesso un ex dirigente del Tesoro e di Bankitalia, sostanzialmente in linea con la visione di Draghi, sia rispetto alla politica sulle banche sia rispetto alla gestione della crisi, compresi gli eurobond, che avrebbero – secondo Bini Smaghi – effetti espansivi sul debito, la cui gestione invece dovrebbe essere molto più oculata. Tale soluzione però non appariva al Consiglio Superiore della Banca d’Italia e al Presidente Napolitano, di sufficiente “continuità e serenità”, così come quella di Grilli, davvero troppo compromessa politicamente.

 

L’ascesa del vicedirettore

Alla fine, “il gentiluomo napoletano”, così il Sole24ore ha definito Ignazio Visco, era l’unico che potesse mettere tutti d’accordo. Di certo, formalmente è sembrato “strano” che un vicedirettore scavalcasse un direttore generale. Da parte sua, però, Saccomanni si è dichiarato “onorato” di lavorare con Visco e i consiglieri hanno assicurato che “l’unità della Banca è intatta”. Visco era l’unica scelta possibile. Dipendente in Bankitalia da ormai dieci anni, e dunque un veterano dell’istituzione, era stato anche coinvolto a settembre dal ministero delle Finanze nell’elaborazione del nuovo “piano per la crescita”. Ha infatti partecipato più volte alle riunioni dell’Aspen Institute, il think tank presieduto da Tremonti, di cui evidentemente detiene la fiducia. Un elemento che ha pesato in suo favore.
banca_italia__2_bisLa sua impostazione, rispetto a Saccomanni, è più macroeconomica: dal 1997 al 2002 è stato Chief Economist e Direttore dell’Economics Department dell’Ocse, sovrintendendo all’attività di analisi delle economie e delle politiche dei Paesi industriali e ai progetti di ricerca sui principali problemi economici e finanziari mondiali. Ha quindi una grande familiarità con i conti pubblici e le manovre, che studiava anche per conto di Bankitalia. Al momento Visco ha lasciato trapelare poco delle sue nuove linee direttive (presiederà il suo primo vertice il 10 novembre), se non etichettando come “priorità assoluta”, la sostenibilità finanziaria e gli investimenti in settori “vitali”, quali l’istruzione e l’innovazione del capitale sociale. Per quanto riguarda il sistema bancario, Visco può contare sulla sua ex collega, il vicedirettore Anna Maria Tarantola, che sovrintende la Vigilanza Bancaria. Proprio in questi giorni, l’organo di controllo si è reso protagonista di una vicenda intricata con la Banca popolare di Milano, istituto tra i dieci più importanti in Italia. All’assemblea dei soci, la Vigilanza ha chiesto di nominare i nuovi componenti del consiglio di gestione fra professionalità esterne, che non abbiano mai ricoperto cariche in Bpm, e il candidato a Consigliere delegato – il direttore generale in carica Enzo Chiesa che ha seguito e gestito la procedura per la ricapitalizzazione della Bpm secondo gli aumenti prudenziali indicati dalla Banca d’Italia -, è rimasto tagliato fuori. Motivo della richiesta, come si legge dalla lettera inviata ai soci dal vicedirettore Tarantola, è quello di “promuovere il definitivo superamento delle passate logiche gestionali, a presidio della sana e prudente gestione”. Riguardo invece il rilancio dell’economia del Paese, nelle sue relazioni al Parlamento, Visco ha spesso sottolineato alcune contraddizioni del sistema fiscale italiano (l’unico nell’area europea, per esempio, ad aver abolito tassazioni come l’Ici); ma, a questo proposito, le decisioni più importanti spettano al ministero e alla volontà del parlamento di approvarle.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *