Il Consiglio dei Ministri delle Finanze (Ecofin) riunito a Bruxelles ha votato mercoledì 14 marzo il congelamento di fondi strutturali pari a 495 milioni di euro a partire dal 2013

La misura preventiva trova il suo fondamento legale nel Six-Pack entrato in vigore nel dicembre scorso: il pacchetto prevede, tra le diverse prescrizioni, l’applicazione di sanzioni economiche per chi non rispetta i vincoli imposti dal riformato Patto di Stabilità, tra cui il limite sul deficit. Nel caso specifico, l’Ungheria è accusata di aver corretto in extremis il proprio disavanzo pubblico (che nel 2011 è risultato essere inferiore al 3%, il linea con le prescrizioni) attraverso misure una tantum per un valore pari ad oltre il 10% del PIL. In sostanza, senza l’utilizzo di un artificio contabile, il deficit avrebbe potuto superare il 13%, dunque potenzialmente in grado di innescare una nuova crisi debitoria che l’Europa intende scongiurare ad ogni costo.

Non c’è dubbio che dietro tanta solerzia vi sia una buona dose di paura, peraltro ampiamente giustificata dagli ultimi eventi, nei confronti di un debito che potrebbe esplodere rapidamente. L’Ungheria, infatti, ha conseguito un rapporto debito/PIL del 76% nel 2011, peraltro in calo rispetto all’anno precedente, ma le stime della Commissione mostrano un progressivo peggioramento dei conti pubblici. Anche le agenzie di rating hanno confermato la tendenza negativa dei conti pubblici ungheresi: a gennaio Fitch ha declassato i titoli del debito, portandoli a livello BB+, ovvero “junk”, spazzatura. D’altra parte il Consiglio, su suggerimento della stessa Commissione, aveva già espresso un parere in merito a gennaio, invitando il governo magiaro ad adottare misure di riduzione della spesa pubblica e soprattutto procedure di bilancio più trasparenti. Ad ogni modo esiste ancora la possibilità che le sanzioni vengano ritirate: il governo magiaro ha tempo fino a giugno, quando avrà luogo l’ECOFIN definitivo sull’argomento, per introdurre nel sistema delle finanze pubbliche le correzioni prescritte dalla Commissione. In termini pratici all’Ungheria si chiede di migliorare il saldo primario, ossia la differenza tra entrate ed uscite, intervenendo a livello “strutturale” per fare in modo che le modifiche siano permanenti ed utili a riportare nel medio termine il debito su un sentiero di sostenibilità.

A pesare sulla situazione ungherese non sono solamente le questioni economiche. Durante lo scorso anno il primo ministro Orban, esponente della destra nazionalista a capo del partito Fidesz, è riuscito a varare la nuova costituzione, forte di una maggioranza di 2/3 in parlamento. Il nuovo testo, dal quale sparisce la definizione dello stato come “repubblica”, contiene secondo molti osservatori internazionali una svolta autoritaria. Le linee guida si fondano su concetti nazionalistici come l’orgoglio nazionale magiaro, per cui il popolo deve perseguire una specie di autarchia che ne garantisca l’integrità etnica. Vengono rafforzate inoltre le radici cristiane dello stato (reintroducendo il culto della Corona di Santo Stefano, simbolo della nazione utilizzato da tutti i regimi dittatoriali precedenti), non menzionando in alcun modo la tutela delle minoranze. Al di là delle valutazioni socio-politiche, che peraltro hanno fatto suonare un campanella d’allarme tra gli esponenti politici sia europei che americani, essendo l’Ungheria membro sia dell’UE che della NATO, l’impostazione nazionalistica si riflette anche sui temi economici. Sempre a gennaio Bruxelles ha avviato una procedura d’infrazione, con riguardo a tre specifiche disposizioni: la nuova costituzione, infatti, limita l’indipendenza della banca centrale ungherese, il cui governatore è un oppositore della politica autarchica governativa, in violazione del trattato istitutivo dell’Unione Europea. Le altre due norme riguardano l’indipendenza dei giudici, costretti al prepensionamento e soggetti a nomina governativa, e la nuova legge sui media, sottoposti ad un controllo preventivo palesemente illiberale.

Al momento la situazione sembra rientrata grazie alla marcia indietro del governo magiaro, che ha rivisto in particolare la posizione sulla banca centrale ed ha avviato un dialogo con il FMI per la concessione di aiuti finanziari volti ad alleggerire il peso del debito pubblico. Nonostante questo, sono in molti a pensare che le sanzioni per deficit eccessivo di mercoledì rappresentino un modo per colpire ulteriormente la credibilità di un governo particolarmente scomodo per le istituzioni europee. La discussione in Consiglio, infatti, è stata tutt’altro che unanime, vista la presenza di molte posizioni divergenti. A votare contro una risoluzione immediata sono stati i ministri delle finanze di Polonia, Repubblica Ceca, Austria, Lettonia e Regno Unito, per cui si è raggiunto il compromesso che accorda i tempi supplementari per l’Ungheria, almeno fino a giugno.

I malumori nascono dall’inevitabile paragone con la Spagna, il cui ministro delle finanze Guindos aveva annunciato direttamente a Bruxelles, poco prima delle decisioni sull’Ungheria, che il paese non avrebbe rispettato il limite sul deficit imposto concordato per il 2012 e fissato al 4,4%, ma che si dovrebbe arrivare al 5,8%. “Noi dobbiamo trattare tutti i paesi allo stesso modo”, ha dichiarato il ministro austriaco Maria Fekter, evidenziando appunto la presunta differenza di trattamento tra i due paesi. Il caso spagnolo sintetizza perfettamente le problematiche che investono l’adozione di norme comuni in Europa: nonostante i tentativi di rafforzamento della governance fiscale messi in campo, dal Six-Pack all’odierno Fiscal Compact, gli stati membri non avvertono la pressione necessaria affinché le regole siano rispettate sic et simpliciter. Difficilmente, infatti, i rappresentanti europei decideranno per una sanzione alla Spagna, già afflitta da uno spread che non riesce a far diminuire e da una disoccupazione giovanile che sfiora il 50%: l’importante è che venga rispettato il target del 3% per il 2013. La concessione di una proroga, inoltre, avverrebbe nel rispetto delle ultime normative, che prevedono la divergenza dagli obiettivi sul deficit nel caso di scenari macroeconomici sfavorevoli. Questa eccezione introduce sicuramente un forte elemento discrezionale all’interno del quadro decisionale, per cui potrebbe essere sempre possibile dimostrare che le difficoltà sul controllo dei conti pubblici siano la conseguenza di un contesto economico avverso.

Nonostante le dinamiche politiche che si dipanano all’interno delle istituzioni europee, è necessario sottolineare che la condizione spagnola è profondamente differente da quella ungherese, sia in termini di finanza pubblica che di prospettive economiche. Il caso potrebbe tuttavia rappresentare un (altro) precedente, per cui quando a sbagliare è una grande economia si è sempre pronti a chiudere un occhio.

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