E’ appena terminata la prima stagione di un format importato dall’America che ha una struttura ben precisa: prendi un imprenditore discusso, ma discusso proprio (in Usa il “grattacielaro” Donald Trump), metti in palio un posto di lavoro in una delle sue aziende, un posto con uno stipendio importante e dai all’imprenditore la facoltà di comportarsi come un capitano d’industria degli inizi del secolo scorso, quindi ti può insultare e ti può licenziare in qualsiasi momento, metti alla prova degli aspiranti schiavi adoratori del mito del self made man e avrai “The apprentice”.

In Italia di imprenditori discussi ne abbiamo un bel po’ ma chi è stato scelto per impersonare lo spietato “Boss”, colui che pronuncia alla fine di ogni episodio il tanto desiderato (per noi sadici che vediamo) “You’re fired”?… Flavio Briatore. Sì, proprio lui e già dalla scelta si può intuire come il format abbia preso nella versione italiana una piega all’amatriciana. Lo spot recita: “un manager discusso (e fin qui, se leggiamo la sua biografia, la discussione c’è eccome e c’è pure un buco di 14 miliardi di lire nella società da lui gestita), odiato e invidiato”(e compare Elisabetta Gregoraci, bella e ruspante come la cipolla di Tropea, suo paese d’origine, ripulita dalla calabresità di superficie ed oramai perfettamente calata nel ruolo di “sposata di successo” con domicilio a Montecarlo); con queste caratteristiche Briatore dovrà scegliere il migliore tra 16 “promesse del business”…

E a vedere le 16 promesse si intuisce che non siamo sull’orlo del baratro come ci dicono già da qualche anno ma siamo nella merda fino al collo. Dalla premessa può sembrare che il format sia brutto… e invece no! E’ stata più che altro un’occasione mancata ma allo stesso tempo un piacevole diversivo: interessante, godibile, folcloristico, linguisticamente all’avanguardia. Ho appreso infatti che esiste una nuova lingua, il Briatorese che si esprime così: “Andiamo nella bodrum! (sala riunioni, Boardroom), Perché il bidnes è sempre bisins!(il business è sempre il business), Eleggiamo il tinlider (teamleader), Come faccio a scegliere una persona tra di voi una persona che io mi fido”.

Inutile dire che il personaggio Briatore è stato un successo, il suo farfugliare e il suo “sei fuori” (usato per eliminare il candidato fallimentare ad ogni puntata) sono già diventati dei tormentoni anche perché, furbescamente, il programma è stato mandato in onda in chiaro su “Cielo”. La parodia di Crozza/Briatore che elimina i concorrenti “Gesù” e “Babbo Natale” ne ha sancito la consacrazione a macchietta simpatica e lascio perdere le implicazioni sociologiche sul perché ci possa essere simpatico l’inventore del “Billionaire”.

Il programma ha un innegabile pregio: si entra in contatto con alcune delle realtà imprenditoriali più importanti ad operare nel nostro paese. Le puntate che hanno visto i concorrenti confrontarsi con “Giochi preziosi” o “Panasonic”, così come quella del caffè “Mokarabia”, sono state divertenti per la novità di vedere in tv l’industria e alcuni dei suoi meccanismi. Meraviglie della legge sull’inserimento di prodotti commerciali nei programmi TV, ho potuto vedere in faccia il signor Preziosi, l’amministratore delegato di Panasonic Italia e il giovane Gianluigi Cimmino di Carpisa e Yamamay senza il microfono di una noiosa intervista combinata ma all’interno di un contesto diciamo verosimile. Il vero limite infatti sono stati i meccanismi del programma, un po’ troppo superficiali, ma almeno non è stato il solito programma pronto a sbirciare il culo sodo di una smutandata in cerca di un futura ospitata dalla D’Urso.

Non so dire se un maggior approfondimento avrebbe giovato perché il materiale umano era piuttosto scadente e al di là del sorriso che può strappare il “boss” Briatore che fa un cazziatone ai concorrenti definendoli tutti delle capre, anzi, meno, perché almeno le capre fanno latte, formaggio e lana, capisci di trovarti in una terra di mezzo tra esigenze di intrattenimento e, forse, purtroppo, una reale mancanza di materia prima.

Quando in finale trovi il simpatico Matteo Gatti, bravo ragazzo, grande venditore, sincero nell’entusiasmo di chi ama il suo lavoro ma ignorante come solo in tv ti può capitare di incontrare   e dall’altra parte il laureato ventinovenne trader bancario, stratega e un po’ infame ma che nelle ultime tre puntate scopri essere orfano perché il padre “è venuto a mancare per la crisi”, hai la sensazione di trovarti all’interno di una sceneggiatura come tante altre già viste nel campo del reality spicciolo. L’unica vera nota dolente è che per l’ennesima volta ci si è affidati ad un format “VECCHIO” del 2004 e constatare che siamo una provincia talmente lontana dell’impero che un programma impiega 8 anni per arrivare fin qui, fa un po’ male. Con questo Andalù vi saluta e va in cerca di altri “bidnes”.

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