Il Consiglio dei Ministri di lunedì 30 aprile ha definitivamente varato il processo di Spending Review, allo studio dell’esecutivo Monti già da diverso tempo. Fino ad ora, infatti, il Ministro per i Rapporti col Parlamento ed il Programma di Governo, Piero Giarda, si è occupato di individuare le “anomalie” della spesa pubblica italiana, la cui crescita è ritenuta insostenibile nel medio-lungo periodo.

La revisione dei conti pubblici è costituita da un insieme di processi finalizzati all’individuazione degli sprechi ed alla razionalizzazione dei meccanismi erogativi, nell’ottica di un generale depotenziamento dell’influenza dello Stato.

L’esercizio è stato applicato da diversi governi nel mondo, anche se con modalità differenti per metodi e tempistica, con risultati spesso sorprendenti. Nel mese di febbraio il Servizio del Bilancio del Senato ha pubblicato un documento intitolato “La Spending Review nell’esperienza internazionale: una breve analisi”, contenente una panoramica degli schemi adottati nei vari contesti legislativi. Nel lavoro vengono messe in evidenza le caratteristiche fondamentali del processo, per poi analizzare le differenze sulla base di alcuni criteri, quali la periodicità o l’approfondimento. Una prima discriminante metodologica riguarda il tipo di analisi che l’esecutivo intende svolgere: la revisione funzionale incide sulla sfera dell’efficienza, per cui l’obiettivo è capire se le stesse politiche già in corso possono essere svolte con spese inferiori a quelle attuali, mentre la revisione strategica riguarda il profilo dell’efficacia, ovvero una valutazione della “convenienza” stessa delle azioni da portare avanti. Il secondo criterio, a differenza del primo, implica dunque una valutazione di “merito”, soggetta in quanto tale alla discrezionalità del personale responsabile della Spending Review. Le scelte sono quindi guidate dalle indicazioni del governo, che ha il potere di individuare quali siano le azioni meritevoli di essere finanziate e quali invece possono essere ridotte. Il documento del Servizio mostra la tendenza verso l’adozione di dell’analisi strategica: tra le esperienze descritte, infatti, Australia, Canada, Olanda, Giappone e Regno Unito hanno adottato tale impostazione, mentre solo la Finlandia ha implementato revisione funzionale, fondata più su meri criteri contabili che su scelte di politica economica.

Sul piano del raggiungimento degli obiettivi, alcuni governi hanno ottenuto buoni risultati in termini di contenimento dei conti pubblici. In Canada, dove la Spending Review è stata avviata a metà degli anni ’90, la spesa è stata ridotta del 10% in quattro anni, in modo congiunto rispetto al ridimensionamento del pubblico impiego, diminuito del 19% grazie al taglio di 45.000 dipendenti. Sorprendente anche la performance del Giappone, dove il processo iniziato nel 2009 (e non ancora concluso) ha già portato ad una contrazione del 40% sul totale dei programmi analizzati, che rappresentano un quarto della spesa pubblica complessiva. Per quanto concerne il Regno Unito, dove tali meccanismi esistono dai primi anni del 2000 ed hanno cadenza biennale, un report di valutazione del 2008 ha confermato la formazione di circa 21 miliardi di risparmio pubblico.

In tutte le situazioni analizzate, risultano determinanti soprattutto due profili: l’indipendenza di gestione del processo ed il livello di approfondimento dell’analisi. Affinché la Spending Review sia efficace, infatti, occorre che il personale incaricato della revisione sia il più possibile indipendente, specie rispetto ai processi politici. Per questo motivo la responsabilità è generalmente affidata a gruppi di lavoro guidati da singoli dirigenti, come in Olanda e Canada, piuttosto che ai Ministri, ai quali spetta la definizione della metodologia operativa e l’approvazione dei provvedimenti. Altrettanto determinante è il livello di approfondimento dell’analisi: partire dai singoli uffici, secondo un approccio bottom-up (ovvero dal basso verso l’alto), è diverso che studiare i ministeri, in quanto spesso solamente i singoli dirigenti conoscono a fondo la realtà circostante. A tal proposito l’intero processo non può che essere fondato sul principio di collaborazione, in modo da favorire il più possibile il flusso di informazioni tra i vari apparati.

Per quanto riguarda l’esperimento italiano, iniziato ufficialmente lo scorso lunedì, lo studio compiuto fino a questo momento ha messo in evidenza cinque anomalie implicite nei meccanismi di spesa pubblica. L’Italia, in base al cosiddetto “rapporto Giarda”, spende meno rispetto alla media dei paesi OCSE sul fronte dei servizi pubblici e del sostegno degli individui in difficoltà economica, mentre spende di più per consumi pubblici (stipendi, forniture e gestione della P.A.) e per le pensioni. Inoltre, i costi di produzione di tali servizi aumentano molto più velocemente rispetto al settore privato, denotando un malfunzionamento nei meccanismi di concorrenza. La struttura degli interessi ha poi determinato un incremento in alcune tipologie specifiche quali la spesa sanitaria, giunta al 37% del totale, mentre l’istruzione è scesa dal 23% al 17,7% negli ultimi vent’anni. Da ultimo sono evidenziate le criticità relative al rapporto centro-periferia, per cui tutti gli enti locali svolgono le stesse mansioni, indipendentemente dal numero di cittadini coinvolti, facendo lievitare i costi.

L’obiettivo generale promosso dall’esecutivo nel medio periodo è ambizioso: la spesa “rivedibile”, ovvero i capitoli sui quali potrebbero essere applicati dei tagli, è pari a 295 miliardi di euro, di cui quasi 100 solamente nella sanità ed altrettanti nel settore statale. La decisione approvata dal CDM non entra ancora nel dettaglio degli interventi, ma impone una serie di linee guida riguardanti “l’eliminazione degli sprechi” e “le innovazioni organizzative”, puntando comunque al mantenimento dei servizi attuali, in base ad un approccio funzionale. Un’analisi più approfondita è dedicata gli enti locali ed in particolare alle province, per cui le nuove riforme di accorpamento dovrebbero consentire la formazione di un cospicuo risparmio. Ulteriori provvedimenti saranno presi per quanto riguarda la riduzione degli uffici giudiziari, il sistema dei trasporti, la locazione di edifici scolastici e le prefetture. Il processo dovrebbe portare ad una riduzione complessiva della spesa pari a 80 miliardi: per il 2012 si prevedono tagli per 4,2 miliardi a partire da giugno, importo che potrebbe essere destinato per “evitare l’aumento di due punti sull’IVA previsto per l’ultimo trimestre”. La Spending Review sarà coordinata da Enrico Bondi, manager specializzato in crisi d’azienda (Montedison e Parmalat), coadiuvato dal prof. Francesco Giavazzi (economista alla Bocconi) per gli aiuti alle imprese e da Giuliano Amato, responsabile per la revisione del sistema pensionistico e del finanziamento ai partiti.

Una valutazione del processo sarà possibile solamente a distanza, quando i primi interventi diventeranno efficaci. In termini di problematiche, la Spending Review soffre di un dualismo implicito tra i presupposti di applicazione scientifica e la convenienza politica delle proposte messe in campo. Sotto tale aspetto, infatti, un governo tecnico gode di un “vantaggio”, in quanto scarsamente influenzato dalla ricerca continua del consenso tipica delle formazioni politiche tradizionali. D’altra parte, l’attuale esecutivo non potrà che dare avvio al processo, che dovrà essere poi proseguito anche nella prossima legislatura, sempre che le intenzioni razionalizzatrici rimangano invariate: nonostante i buoni propositi, dunque, il raggiungimento degli obiettivi è tutt’altro che scontato.

Spending review paesi a confronto dossier Senato
Spending review dossier Governo

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