Dopo Hollywood e Bollywood, la Cina sta per diventare il terzo più grande produttore di film al mondo e il suo mercato cinematografico registra una crescita rapidissima. Secondo il Guójiā Guǎngbō Diànyǐng Diànshì Zǒngjú, un organo esecutivo del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare a cui è affidato il compito di amministrare e supervisionare le imprese statali che si occupano di televisione, radio e cinematografia, gli incassi al botteghino della Cina, nella prima metà del 2010, sono stati pari a 780 milioni di dollari, con un aumento dell’80% rispetto ai primi sei mesi del 2009, per poi raggiungere alla fine dell’anno il nuovo record di 1,5 miliardi di dollari.

 

I film prodotti in Cina sono essenzialmente di tre tipi: commerciali, di propaganda e d’autore. Per quanto il processo di selezione e distribuzione a cui le pellicole sono sottoposte, sia simile per tutti e tre i generi, gli obiettivi che spingono le produzioni e i rapporti che si stabiliscono con il governo a seconda del progetto cinematografico in questione, variano in modo considerevole. Nonostante queste pellicole siano molto apprezzate all’estero, per esempio solo nel 1995 i film cinesi hanno ricevuto 48 premi in varie rassegne internazionali, molte di loro difficilmente vengono mostrati in Cina perché, secondo quanto affermato dall’ex Ministro della Propaganda del Pcc, Ding Guangen, “i personaggi principali spesso incarnano figure ignoranti, barbare e prive di senso di umanità, il che mette in cattiva luce gli alti ideali, le convinzioni e l’eccellente lavoro compiuto dal Partito Comunista”.

 

Fare film in Cina non è un’ impresa semplice, molti registi, cinesi e non, si lamentano di come sia difficile lavorare in un Paese monopartiticochinese_odyssey_2002 basato sulla propaganda, un Paese in cui il cinema, come anche la stampa, deve sottostare a rigide regole che spesso rasentano il ridicolo. Lo scorso 30 marzo il governo ha emesso un nuovo regolamento che, oltre a bandire le scene di fumo e vietare sceneggiature con trame di spionaggio e crimine ritenute non consone all’ideologia di Stato, limita ulteriormente la libertà di espressione e pensiero “scoraggiando” tutti quei film fantasy basati su viaggi nel tempo, storie mitiche o superstizioni che possono in qualche modo contrastare con la grande tradizione del Paese. Perciò, un considerevole numero di film realizzati in Cina appartiene all’industria underground e illegale del Paese e viene mostrato quasi esclusivamente all’estero o attraverso dvd pirati.

La censura e le restrizioni imposte dal governo riguardanti sia le sceneggiature dei film che l’importazione di pellicole e dvd, hanno portato allo sviluppo e alla rapida diffusione di un mercato pirata, il mercato dei “video on demand”, su richiesta, che i produttori vendono illegalmente al di fuori delle sale cinematografiche. Nonostante le sue dimensioni, il mercato cinematografico cinese rimane ancora uno dei meno sfruttabili per Hollywood e per l’intera film industry in generale. Di fatto il monopolio sulla distribuzione di film stranieri in Cina è detenuto dalla China Film Group, la casa di produzione e distribuzione più grande e importante del Paese, che permette a soli venti blockbuster stranieri di essere distribuiti nell’arco di un anno nel territorio. A causa di ciò circa due anni fa i rappresentanti commerciali degli Stati Uniti hanno intimato alla Cina di aprire le proprie frontiere ai film d’oltreoceano, sostenendo che il mercato cinematografico e quello musicale, (anche grandi music store, come quello di Apple o Itunes, sono considerati sostanzialmente fuorilegge), fossero illegalmente tenuti distanti da imprese e contenuti non-cinesi, violando gli obblighi sottoscritti dal Paese con l’adesione all’Organizzazione Mondiale per il Commercio (World Trade Organization) nel 2001. L’Omc ha accolto la richiesta statunitense affermando che la Cina avrebbe dovuto, entro marzo 2011, trovare delle soluzioni per adeguarsi alle regole dell’Organizzazione e non avrebbe più potuto appellarsi. Dal canto suo, il governo cinese si è rifiutato di commentare la sentenza, trincerandosi dietro un imbarazzante silenzio, sostenendo solo di non liberalizzare il settore per “motivi morali”. I termini dalla sentenza non sono stati rispettati, e il governo ha affermato che la Cina non si sarebbe precipitata a fare cambiamenti. Alcuni elementi lasciano tuttavia pensare che con un po’ di tempo la pressione per il cambiamento verrà dall’interno della Cina stessa. D’altro canto tutti i nuovi multiplex che sono stati costruiti devono essere riempiti e gli azionisti delle imprese appena arrivate sul mercato pretenderanno una crescita su base trimestrale.

Cinafilm1Mentre produttori e registi asiatici prendono decisioni in materia di finanziamento, casting, cinema_cinese_1304418171co-produzioni e distribuzioni, nel tentativo di mantenere al meglio ed ampliare la propria posizione all’interno del complesso mondo cinematografico, la maggior parte degli studios americani incrementa le produzioni in loco e un numero sempre crescente di attori americani viene scritturato per film cinesi. La strategia delle società straniere è infatti quella di stabilire una presenza massiccia in Cina in modo da essere ben posizionati quando il boom scoppierà. Gli studios americani prevedono di investire 150 milioni di dollari all’anno nel settore cinematografico cinese. La Miramax, la Warner Brothers, la Sony Columbia Pictures, la Time Warner, la Disney, tutte queste grandi case di produzione e distribuzione americane, oltre ad aver investito nella costruzione di numerosi multiplex, hanno già finanziato e prodotto molti film in Cina, ma più che di film mondiali e blockbuster, spesso si è trattato di produzioni locali, di film cinesi rivolti ad un pubblico cinese. Procedendo di questo passo, non sorprenderebbe la notizia che qualche compagnia locale riesca, prima o poi, ad acquistare uno di questi grandi studios hollywoodiani, proprio come è accaduto per la Columbia Pictures, acquisita nel 1989, dalla Sony, per 3,4 miliardi di dollari. Ma non sono solo gli studios americani a voler operare in Cina, anche numerose società asiatiche nutrono lo stesso interesse, in particolar modo Hong Kong, che attraverso co-produzioni, che vedono la collaborazione di società hongkoghesi con registi cinesi e viceversa, ricordano le loro radici. La distribuzione rimane dunque, il ramo più redditizio della cinematografia cinese. Degli incassi ottenuti ai botteghini, il 50% va al proprietario del cinema, il 25% alla casa di produzione e il 25% al distributore (prima era 30% al distributore e 20% per lo studio). Ogni volta che si spostano, i film devono ottenere una nuova autorizzazione. Il denaro pagato per riceverla va ai distributori che spesso ne ritardano volontariamente la consegna per intascare un maggior numero di tangenti. I finanziamenti sono davvero consistenti, arrivano da fondi istituzionali, da fondi creati per sostenere e alimentare l’ambito culturale, dagli introiti derivanti dalle quotazioni in borsa di altre due grandi case di distribuzione e produzione cinesi, la Bona Film Group e la Huayi Brothers Media Corporation, alle quali ben presto si aggiungerà anche la China Film Group. I finanziamenti giungono anche da settori che nulla hanno a che fare col mondo del cinema, ma che vi investono solo nella speranza di aumentare il proprio capitale e infine un ruolo fondamentale è giocato dalle star, attori famosi o registi di grido alzano la posta. Il problema non sta dunque nel trovare fondi per fare film, quanto nel riuscire a fare un buon film, non è ancora ben chiaro infatti il motivo per cui si continui a finanziare un numero elevatissimo di film di scarsa qualità che restano nelle sale solo per pochi giorni rivelandosi una serie di investimenti in perdita.

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