«L’Italia senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto… La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita», annotava J.W. Goethe nel Viaggio in Italia del 1817.
L’Italia è stato il primo Paese al mondo ad aver posto la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale tra i principi fondamentali dello Stato. Stiamo parlando dell’articolo 9 della Costituzione Italiana, approvata il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948. La Sicilia ha un altro primato, precedente ma rivelatosi rischioso, quello di aver avocato a sé il potere esclusivo su “turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio, conservazione delle antichità e delle opere artistiche, urbanistica, lavori pubblici e musei”. Stiamo parlando dell’articolo 14 del suo primo Statuto regionale approvato il 15 maggio 1946 con regio Decreto, quindi prima che fosse approvata la nostra Costituzione. Una tradizione, questa, che ha origini nel 1745 quando viene emanato l’Ordine del Real Patrimonio di Sicilia, a tutela dei boschi alle pendici dell’Etna e delle antichità di Taormina. Questo provvedimento è il primo esempio italiano di tutela congiunta di paesaggio e monumenti, tanto da essere giustamente considerato il diretto antecedente dell’articolo 9. Sempre in Sicilia nasce, nel 1778, la Regia Custodia delle Antichità di Sicilia, niente di meno che il precedente delle attuali Soprintendenze.

L’assessore plenipotenziario
Ma quando il 2 giugno 1946 nasce la Repubblica, in Sicilia era già iniziata una nuova forma di aggressione al territorio schiava di “interessi e irresponsabilità locali minaccianti il prezioso patrimonio nazionale siciliano”. Queste la paure di Concetto Marchesi, uno dei propositori e sostenitori dell’inserimento dell’articolo 9 nella Costituzione. Paure diventate realtà quando nel 1975, anno di istituzione del Ministero dei Beni Culturali, la Sicilia si rende autonoma da Roma attraverso due decreti (Dpr 635 e 637). È per questo motivo che il ministro dei Beni culturali ancora oggi non ha potere in Sicilia, dove invece le sue competenze sono detenute dall’assessore regionale. Questo vuol dire che un dipendente statale che lavora al museo di Messina non può essere trasferito in un’altra struttura statale del resto della penisola, perché è legato alla sua regione.
Quindi ricapitolando, in Sicilia a capo dell’amministrazione dei Beni Culturali c’è l’assessore regionale, da cui dipende un dirigente generale che coordina le “Strutture Intermedie Periferiche” o “Servizi” in cui è articolata la struttura amministrativa e gestionale. Molti di queste Strutture sono di recente istituzione.

sicilia_2I privati, le aste e le follie politiche
L’autonomia siciliana in fatto di tutela funziona o non funziona? Finché è rimasto in carica l’assessore ai Beni Culturali Antonello Antinoro era intenzionato a cedere integralmente ai privati la gestione del patrimonio siciliano. Anche il presidente della giunta Raffaele Lombardo, in carica fino all’autunno scorso, ipotizzava di cedere i siti archeologici in Val di Noto alla compagnia petrolifera russa Lukoil. Con la vittoria elettorale di Rosario Crocetta e l’insediamento della nuova giunta che vede come responsabile del Turismo Franco Battiato, le cose sembrano radicalmente cambiate. Restano però numerosi amministratori locali, come il sindaco di Agrigento, Marco Zambuto, assillati dal dubbio se sia meglio cedere i templi della “sua” valle al magnate russo Prokhorov o metterli all’asta da Sotheby’s. Dati alla mano, è evidente che l’autonomia è stata un vero fallimento e che le “soluzioni” adottate e proposte sono significative del degrado, etico e culturale oltre che politico, di chi le ha attuate. Per Francesco Merlo, editorialista di Repubblica, l’autonomia ha prodotto in Sicilia un ceto parassitario, senza uguali in Europa, che ha dato vita al più ricco Parlamento regionale d’Italia: costa 170 milioni di euro, due volte più del Lazio e cinque volte più della Lombardia. L’autonomia è “un delitto” denuncia Merlo “è lo strumento attraverso cui i siciliani vengono asserviti. Il 60 per cento dei beni culturali italiani si trova in Sicilia. Ad ogni passo ci sono siti archeologici, necropoli, cave, anfiteatri, templi, rovine islamiche e resti fenici, reperti dell’età del bronzo, testimonianze di sicani, saraceni, normanni, borboni e persino enclave dell’impero britannico. Ebbene solo l’Unesco riesce ogni tanto a mitigare gli orrori e gli scempi culturali della Regione che mantiene per esempio 1750 custodi (11 per sito contro i 4 della Toscana) ma abbandona, degrada e nel pomeriggio chiude i musei e i siti, compresa Selinunte che è il più grande parco archeologico del mondo. In Sicilia l’autonomia deve essere abolita per bancarotta economica, politica e morale. E bisogna cancellarla dalla Costituzione, come atto d’amore verso una terra meravigliosa, e liberare i siciliani da un baronaggio feudale che dissipa il più grande tesoro del Mediterraneo”. L’interferenza della Regione sulla tutela sembra aver avuto effetti devastanti, soprattutto alla luce di quanto sostiene Giuseppe Voza, storico Soprintendente a Siracusa, secondo il quale “l’abusivismo è stato dilagante, mostruosa l’industrializzazione e sconsiderata la gestione del territorio nel quale il patrimonio archeologico e monumentale è quasi totalmente abbandonato a se stesso”. Le Soprintendenze sono stata degradate a meri organismi politico-amministrativi, perdendo il loro originario ruolo di centri di ricerca e tutela. I funzionari subiscono la pressione dei politici. Il risultato è degrado e spreco. Ed è un risultato sotto gli occhi di tutti.
Uno dei dati emersi è particolarmente inquietante: se il personale è in esubero come è possibile che siti e musei siano chiusi al pubblico?

 

sicilia_3L’esubero del personale e i siti chiusi
Il 3 maggio 2012 l’ingegnere Giambattista Condorelli, progettista del piano regionale percorsi verdi, segnala sul sito del Governo che in Sicilia sono in servizio 1288 custodi di siti museali e archeologici, ma circa il 90% sono raggruppati nelle sole province di Trapani e Palermo. Questo vuol dire che a disposizione del resto della Sicilia, e questo “resto” è molto ampio e ricco dal punto di vista archeologico, c’è solo un 10%. In altre parole si verifica uno spreco di soldi sia nella zona Trapani-Palermo, in quanto sono pagati stipendi a personale chiaramente in esubero, sia nel resto della Sicilia dove invece la carenza di personale, causa di malcontento tra i visitatori, determina un mercato zoppicante e quindi una riduzione degli introiti. Facciamo un esempio. Il Museo del castello di Adrano, gioiello normanno della provincia di Catania, è visitabile solo in parte perché i due custodi non possono controllare contemporaneamente tutti i piani, quindi gli ultimi due piani non sono visitabili. Un castello per soli due castellani. Catania non è nuova a questo tipo di problematica. È noto a tutti infatti che per visitare i monumenti di età romana si debba prima telefonare per accertarsi della disponibilità dei custodi. In altre parole vuol dire che i custodi sono pochi e vengono spostati, in base alle prenotazioni, da un sito all’altro. Ovviamente immaginate quanto sia difficile riuscire a tenere aperti i siti durante le festività, quando bisogna far fronte anche alla turnazione dei dipendenti. Condorelli accusa il Parlamento regionale, reo di non intervenire imponendo una legge che agevoli la mobilità dei dipendenti sulla base delle richieste delle Soprintendenze e dei Parchi.

sicilia_4Visita turistica a Marsala
Conseguenza di questa situazione è quello che è successo a Marsala esattamente un anno fa. Fabio Morreale, presidente dell’associazione culturale Natura Sicula, chiede le dimissioni di Maria Luisa Famà direttrice del Servizio Parco Archeologico e Ambientale presso le isole dello Stagnone e delle aree archeologiche di Marsala e dei comuni limitrofi. Ma andiamo con ordine. Morreale il 17 dicembre del 2011 prenota con richiesta scritta al sindaco e alla Proloco una visita per i suoi associati all’ipogeo di Crispia Silvia, una camera funeraria del II secolo d.C. Il sito dipende dal Museo Archeologico Regionale Baglio Anselmi da cui dista 1 km.
Lo stesso biglietto è quindi valido per visitare ipogeo, museo e il retrostante parco archeologico di Capo Boeo dove si conserva un edificio residenziale romano-imperiale, la cosiddetta ‘insula romana’ scavata molti decenni fa, e un tratto del decumanus maximus scavato più di recente. Ufficialmente l’ipogeo, scoperto nel 1994 durante i lavori sotto una palazzina moderna, è visitabile solo il sabato mattina per carenza di personale. Il 7 gennaio 2012 Morreale si reca, come d’accordo, a visitare il monumento funerario ma il personale del Museo si rifiuta di portare lui ed il suo gruppo sul posto. Il motivo è semplice: manca il personale. Morreale non vuole sentire ragioni, vuole solo che il suo diritto, più che legittimo, di vedere l’ipogeo sia rispettato. Solo dopo estenuanti proteste il personale del Museo acconsente ad accompagnare il gruppo all’ipogeo. Da qui la richiesta alla direttrice Famà di “prendere provvedimenti risolutivi o dimettersi perché questo tipo di accoglienza non rende giustizia all’immagine della Sicilia, così come simili dipendenti del Museo inefficienti, raccomandati e abulici sono indegni di rappresentare il senso di ospitalità dei siciliani”. La presidente della Proloco, Bice Marino, ha subito spiegato che si è trattato di un disguido occasionale, legato alle sue precarie condizioni di salute che quel giorno non le hanno permesso di mostrare l’ipogeo. Altrettanto pronta è stata la replica della direttrice del Parco archeologico, Maria Luisa Famà, che oltre a spiegare che le limitazioni imposte a chiunque voglia visitare l’ipogeo sono le stesse da sempre e sono necessarie per preservare le particolari condizioni ambientali della camera funeraria, ha sottolineato, circa la lamentata mancanza di informazioni al pubblico sulla possibilità di visitare l’area archeologica di Capo Boeo, che sul tavolo della biglietteria è sempre posto un avviso in cui figurano i siti e gli orari delle visite. La direttrice Famà ha concluso facendo notare che nonostante la carenza di personale il 7 gennaio è stata assicurata la visita all’area, al Museo archeologico Baglio Anselmi e all’Ipogeo di Crispia Salvia. L’area di Capo Boeo all’epoca dei fatti era cantiere aperto per il completamento dei lavori, iniziati nel 2007, per la realizzazione del Parco archeologico di Lilibeo, presentato quale nuovo polo di attrazione turistica della provincia di Trapani. Eppure a marzo 2011, quindi 4 anni dopo l’inizio dei lavori e quasi un anno prima della denuncia di Morreale, i cittadini di Marsala avevano organizzato una manifestazione per fermare il degrado in cui era lasciato il Parco di Capo Boeo, per gridare che un parco andrebbe curato, salvaguardato e valorizzato in quanto patrimonio storico, culturale e paesaggistico, in quanto fonte economica di primaria importanza per la città. Invece la sua bellezza naturale e storica era all’epoca in preda all’incuria, al degrado, ai guasti e all’immondizia. Denunciarono addirittura che i confini del parco subivano delle continue riduzioni, dovute alla concessione di metri di terra a favore di strade o piazzole.

sicilia_5Il nuovo Parco di Lilibeo
I lavori per il nuovo Parco di Lilibeo si sono conclusi a marzo 2012. Così è stato comunicato. Il progetto prevedeva inizialmente la realizzazione di percorsi guidati, con tre interventi: 1) installazione dell’osservatorio archeologico all’interno del Museo Baglio Anselmi con finalità informative e didattiche; 2) installazione di un sentiero sonoro per distribuire suoni, musiche e voci lungo il percorso di visita; 3) infine, video proiezione di immagini che in forma multimediale parleranno della storia, delle leggende e delle suggestioni del sito. Per garantire controllo e sicurezza è stato progettato un sistema di ripresa con telecamere a circuito chiuso. Sarebbe in via di espletamento la procedura di gara per “l’appalto dei servizi attinenti alla produzione artistico-didattico-divulgativa dei contenuti audiovisivi per i percorsi multimediali del parco”. Sulla carta è un progetto ambizioso. Speriamo che il Parco di Capo Boeo non sia un flop come i suo simili in Puglia e Sardegna. Sarebbe l’ennesimo sperpero economico. Staremo a vedere. 

sicilia_6L’assenteismo
Se andiamo indietro nel tempo, scopriamo un elemento che getta un’ombra inquietante sulla vicenda denunciata da Fabio Morreale. Nel 2008 agenti della Guardia di Finanza denunciano 30 tra dirigenti e impiegati amministrativi della Soprintendenza ai Beni Culturali di Trapani. Indovinate un po’ dove sono in servizio i denunciati? Al Museo Baglio Anselmi. La denuncia è per truffa e peculato. L’indagine, durata un anno, è stata condotta dalla procura di Marsala. Pedinamenti, telecamere nascoste e appostamenti hanno dimostrato che i dipendenti si assentavano durante l’orario di lavoro o non si presentavano affatto. Eludevano l’obbligo di timbrare il badge e di firmare il registro delle presenze in maniera molto semplice: il dipendente che si recava a lavoro portava con se il badge del collega assente e lo timbrava, o timbrava direttamente il duplicato. Avete capito bene: negli spogliatoi del Museo sono stati ritrovati duplicati “illegali” dei badge. In questo modo il dipendente assente poteva comodamente apporre la sua firma al registro non appena tornato a lavoro. Il fatto che un dipendente si assenta e l’altro lo copra è indicativo del fatto che forse il lavoro da svolgere non è così tanto. È indicativo del fatto che forse in questo museo ci sono troppi dipendenti. Volete sapere quante telefonate vengono effettuate da un Museo? Scegliamone uno a caso, il Museo Baglio Anselmi: i finanzieri hanno scoperto che l’unico telefono dell’istituto in 4 mesi aveva registrato un traffico di 9000 conversazioni. Si è scoperto che 600 delle utenze chiamate erano intestate ai dipendenti stessi o a loro parenti. Di questa storia non se ne sente più parlare, ma si sente ancora l’eco delle parole pronunciate con solerzia dall’allora assessore ai beni Culturali Antonello Antinoro all’indomani della denuncia: “Saremo inflessibili e avvieremo le procedure del caso”. La vicenda sembra però essersi avviata solo verso il silenzio.

Il protocollo d’intesa con la forestale
Per ovviare alla accertata carenza di personale ad agosto scorso è stato avviato un protocollo di intesa con la Forestale voluto dalla Regione (assessorati ai Beni Culturali, alle Risorse Agricole, all’Energia e al Territorio): 6000 uomini della Forestale, una volta conclusa la stagione degli incendi, potranno aiutare la Soprintendenza a tenere pulite le aree archeologiche e quindi a renderle più fruibili. Ogni dirigente dovrà trasmettere all’assessorato la lista dei siti, localizzati sul territorio di competenza, che necessitano di manutenzione. Già lo scorso anno gli uomini della Forestale avevano ripulito l’Anfiteatro romano e gli altri siti del parco archeologico della Neapolis siracusana mettendo in luce percorsi fra le Latomie nascosti dalle sterpaglie e riportando al suo lustro la grotta del Ninfeo che sovrasta il Teatro greco. Un lavoro che ha permesso alla Soprintendenza aretusea un risparmio di circa 100mila euro e che al tempo stesso ha garantito la fruizione di monumenti altrimenti chiusi al pubblico. In vista del nuovo protocollo, Maria Amalia Mastelloni, dirigente del Parco archeologico di Neapolis a Siracusa, si è messa subito a lavoro stilando un elenco di priorità da sottoporre al tavolo tecnico: prima tra tutte, la messa in sicurezza del verde del parco. È una vera emergenza. Qui l’anno scorso sono stati abbattuti numerosi alberi per il mal tempo e altri, secolari, hanno danneggiato la superficie con le radici. L’anfiteatro romano è sommerso dalle erbacce che ne impediscono la vista, così come l’Ara di Ierone e tanti altri monumenti. Altri sono attualmente chiusi e si spera con l’aiuto della Forestale di poterli riaprire. Fra le opere che la dirigente auspica vi è anche la realizzazione delle passerelle per consentire la passeggiata fra l’agrumeto e i resti delle Latomie del Paradiso. Qui era stata aperta, grazie al lavoro dei volontari, la “via dei Sepolcri”, oggi chiusa, che aveva consentito la fruizione di percorsi nascosti ma di grande suggestione all’interno del parco archeologico. Altra emergenza è poi la pulizia straordinaria di alcuni siti fuori dal Parco, come il Ginnasio Romano di via Elorina, oggi ricoperto da erbacce di ogni tipo che oltre a celarne la vista sono un serio pericolo per gli incendi. Intanto la Soprintendenza resta in attesa del rinnovo della convenzione con il Comune a cui è destinato il 20% degli introiti dei biglietti di ingresso, somme che dovrebbero essere utilizzate per la manutenzione ma che ancora sono ferme nelle casse dell’amministrazione.
Assenteismo e esubero del personale sono causa di una perdita economica fondamentale dell’economia della Sicilia. L’autonomia di cui gode la Regione in fatto di tutela non ha funzionato bene, speriamo solo che non si avveri quanto temeva Claudio Maria Arezzo, storico del XVI secolo, quando fu chiusa la Camera Regionale di Siracusa, che regolava i rapporti commerciali con la Spagna: “Ora che siamo disgiunti, non ci dovesse capitare che siamo congiunti all’Africa”.

 

Un ringraziamento va alla Cia (Confederazione italiana archeologi), e in particolare a Donata Zirone, per aver fornito informazioni fondamentali e aver gentilmente messo a disposizione la cartina della distribuzione territoriale delle Strutture Intermedie Periferiche realizzata dalla stessa Zirone e da Claudia Speciale.

(10./Continua. Le precedenti puntate sono leggibili negli articoli correlati)

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *