L’anonimo centro di Karlsruhe, nella Germania occidentale, è balzato agli onori della cronaca grazie alla Corte Costituzionale tedesca, che qui ha la propria sede. I giudici, con una sentenza lunga ed articolata, hanno messo la parola fine ad un conflitto istituzionale in merito al fondo salva-stati, che rischiava di trascinare l’Europa (e non solo) nel baratro dell’ennesima crisi finanziaria.
Tecnicamente, la corte di Karlsruhe ha respinto in ricorso promosso da 37 mila tedeschi, decretando la costituzionalità dell’ESM, il Meccanismo di Stabilità Europea varato nella sua forma attuale durante il vertice ECOFIN dello scorso giugno. L’approvazione della Germania, ultimo Stato Membro a ratificare l’accordo, fornisce un preciso segnale rivolto all’occidente economico: l’Europa non può fare a meno della sua moneta ed anche i governi più intransigenti devono operare per salvarlo.

L’esito positivo sulla questione ESM non è stato semplice da raggiungere: i governanti di alcuni paesi, quali la Germania ma anche la Finlandia e l’Olanda, hanno dovuto convincere un’incerta e talvolta feroce opinione pubblica della necessità di questa misura. La Merkel, in particolare, ha dimostrato nell’ultimo periodo un notevole capacità di resistenza alle sirene populiste, che al grido di “mai più soldi ai parassiti del sud” cercano di racimolare voti in vista delle prossime elezioni. Anche la recente decisione della BCE di Draghi, che acquisterà illimitatamente titoli dai paesi in difficoltà, è stata un boccone amaro da accettare per i tedeschi: il governatore della Bundesbank, Weidmann, ha infatti espresso l’unico voto contrario durante la riunione dei direttori.

A giudicare dalla reazione dei mercati, sembra chiaro che la decisione dei giudici tedeschi fosse quella auspicata dalla stragrande maggioranza degli analisti. Lo spread tra titoli italiani e bund tedeschi si è ridotto di quasi 150 punti in 48 ore, al pari di quello spagnolo, determinando un risparmio sui futuri interessi di svariati miliardi di euro. L’approvazione dell’ESM, infatti, aumenta la cosiddetta “potenza di fuoco” dello scudo anti-spread, composto dal vecchio EFSF, di cui hanno usufruito Irlanda, Portogallo e Grecia, e dai nuovi poteri della BCE. In sostanza, il Meccanismo Europeo di Stabilità è un fondo intergovernativo con capitale sottoscritto pari a 700 miliardi, di cui 500 impiegabili come prestito in caso di crescita esponenziale dello spread. L’unico vincolo imposto dalla Corte di Karlsruhe riguarda la partecipazione della Germania al capitale del fondo: se dovesse superare i 190 miliardi, cifra pari al contributo attuale, per approvare l’aumento bisognerebbe passare per il voto parlamentare. La Germania si è dunque affidata un sostanziale diritto di veto su un eventuale aumento di capitale dell’ESM, congelandone a tempo indefinito l’ammontare.

Resta inoltre aperta la questione delle condizionalità, per cui uno Stato richiedente deve concordare un piano di interventi che garantisca il controllo dei conti pubblici nel medio periodo. Tale imposizione è comprensibile dal punto di vista dei paesi del nord, che chiedono quantomeno rassicurazioni sui comportamenti di alcuni governi “spendaccioni”, ma pone tuttavia due problematiche. La prima riguarda l’introduzione di un limite all’efficacia del fondo: i governi, anche in caso di forti difficoltà, tenderanno a non chiedere aiuto, non volendo sottostare all’umiliante pratica del controllo esterno della politica economica, come accaduto in Grecia. La seconda questione concerne quei paesi, come l’Italia, le cui politiche restrittive sono state approvate ed applaudite dall’Europa. In caso di attivazione del fondo, non è chiaro cosa si possa chiedere di più ad un paese che ha compiuto enormi sacrifici, peraltro già in linea con le raccomandazioni europee. Anche il meccanismo decisionale rimane piuttosto limitante, in quanto occorre l’unanimità da parte dei ministri delle finanze per approvare un piano di aiuti. In realtà una scappatoia a tale vincolo è stata prevista: in caso di “forte rischio per la sopravvivenza dell’euro” sarà possibile approvare i provvedimenti con una maggioranza dell’85%. Questa norma toglie di fatto il diritto assoluto di veto ai paesi di minor peso quali la Finlandia o l’Olanda, mantenendo tuttavia intatto il potere dei grandi contribuenti, in primis la Germania.

Il passo compiuto dall’Europa per la protezione della moneta unica non sarebbe stato altrettanto efficace senza il cambiamento d’indirizzo della BCE, che tende a rispecchiarsi sempre di più nelle politiche della Federal Reserve americana. Anche se nessuno lo dice apertamente, Draghi ha posto le basi per trasformare l’istituto di Francoforte in un “prestatore di ultima istanza” che garantisca ad ogni costo la stabilità del mercato nel mercato dei titoli, sulla scia di quanto avviene negli Stati Uniti, dove in questi giorni il governatore Bernanke ha rilanciato l’acquisto di titoli di debito pubblici (cosiddetta operazione “twist”).

La modifica del quadro istituzionale dell’economia comunitaria necessita di una visione di lungo termine sulla gestione dell’Eurozona: il presidente Van Rompuy ha predisposto un documento, da presentare ai governi in ottobre, contenente alcune domande sul futuro della governance europea, specie in materia di bilanci nazionali. Dopo la creazione della vigilanza bancaria comune, che dovrebbe diventare realtà in poche settimane, si teorizza una specie di ministero delle finanze UE, volto ad uniformare nel tempo le pratiche nazionali in materia di entrate ed uscite. La perdita di potere sul piano fiscale, per cui i governi non disporranno più della piena autonomia su tasse e spesa pubblica, sarebbe compensata da alcune forme di condivisione del debito in stile Eurobond. L’obiettivo è ridurre l’impatto degli “shock asimmetrici” che colpiscono l’Europa, a causa delle enormi differenze strutturali tra gli Stati Membri. È assolutamente prioritario trovare soluzioni condivise che vadano oltre il mero aiuto finanziario una tantum, che costituisce solamente un palliativo temporaneo contro problemi strutturali. Permangono tuttavia i dubbi sulla questione dell’azzardo morale: secondo il presidente UE, una volta emesso il debito comune occorrono strumenti integrativi volti a sopprimere i comportamenti scorretti.

Nonostante l’euforia di governi e mercati per la temporanea iniezione di fiducia, il futuro dell’euro e dell’Europa si presenta comunque incerto. Siamo infatti ancora lontani dalla stabilità pre-crisi, quando lo spread tra i titoli italiani e tedeschi si aggirava intorno ai 30 punti. Gli equilibri politici raggiunti con fatica durante l’ultimo anno potrebbero infatti guastarsi in breve tempo, visto che i nazionalismi rimangono sempre in agguato. Le misure adottate finora stanno facendo rifiatare i governi: è il momento dunque di puntare sulla crescita del PIL, unica medicina che nel medio periodo può riportare una sostanziale stabilità in Europa, permettendo magari una contestuale ripresa del processo di integrazione.

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