Tania Groppi, professore ordinario di diritto pubblico all’Università di Siena spiega perché la decisione della Corte era condizionata, anche se ovviamente per la politica niente può essere condizionato.

Il relatore Sabino Cassese avrà tempo fino al 10 febbraio per scrivere le motivazioni del doppio no della Corte costituzionale ai referendum che chiedevano l’abrogazione del cosiddetto “Porcellum”.
Sul no al milione e duecentomila firme di cittadini si è scatenata come sappiamo la polemica, cerchiamo allora di fare un minimo di chiarezza distinguendo l’argomento politico da quello prettamente giuridico.
Il parere tecnico
Secondo la professoressa Tania Groppi, ordinario di diritto pubblico all’Università di Siena, «era evidente che i quesiti non sarebbero stati ammessi data la giurisprudenza della Corte che esclude vuoti normativi».
Certo i giudici delle leggi avrebbero potuto invertire rotta: «La Corte – ha continuato la professoressa Groppi – aveva davanti a sé due strade: legittimarsi di fronte ai cittadini e lasciarli votare il referendum, oppure legittimarsi come giudice e continuare sulla strada che esclude la reviviscenza». La scelta, in definitiva, era tra il cambio brutale di giurisprudenza e la coerenza giuridica: «Credo che la Consulta abbia scelto di essere giudice e non organo politico che risponde ai bisogni del Paese, non si può chiedere alla Corte di salvarci, questo può farlo solo la politica».
La decisione della Consulta
Il primo quesito prevedeva l’abolizione totale del Porcellum ed è stato respinto perché in materie delicate come la legge elettorale la Consulta non può ammettere il vuoto normativo. Il secondo quesito, sull’abolizione di alcune parti del Porcellum per reintrodurre il Mattarellum (la legge in vigore precedentemente, dal 1994 al 2001 che prevedeva un sistema per il 75% maggioritario e per il 25% proporzionale) la Corte ha detto no alla reviviscenza.
La reviviscenza
Con il concetto di reviviscenza si esclude il “valore algebrico” all’abrogazione dell’abrogazione. Ossia: esiste una norma A, rispetto alla quale sopraggiunge una norma B che la cancella sostituendola con la norma C; la norma D che abroga la norma B dovrebbe far rivivere la norma A.
Costituzionalisti come Barbera, Vassallo, Palumbo, Pizzorusso, Morrone, Ruggeri, Curreri e Bifulco hanno sostenuto che con i referendum si sarebbe avuta la reviviscenza del Mattarellum (norma A) visto che il popolo sovrano avrebbe fatto venir meno la norma B (il Porcellum).
Secondo i costituzionalisti Marcenò, Geninatti Saté, Pinelli ed Azzariti invece, per la reviviscenza occorre una volontà espressa dell’abrogante.
Poiché l’abrogazione del referendum è immotivata (non basta la volontà espressa fuori del quesito dai promotori) né può per definizione essere corredata da una parte positiva come «volete voi abrogare la legge Calderoli? (…) e pertanto è ripristinato il Mattarellum», ne deriva che l’algebra non può essere applicata al diritto dove meno per meno non può fare più. Al contrario si lascia un’incertezza di fondo che contrasta con l’obbligo (questo sì) di lasciare sempre una normativa di riferimento quando si tratta di una materia altamente delicata come il funzionamento degli organi costituzionali.
L’Autorimessione
Proprio per evitare una pronuncia negativa, il 29 dicembre scorso, l’Associazione dei giuristi democratici ha tentato un ultima mossa, depositando presso la cancelleria della Consulta una memoria sulla tesi dell’autorimessione che si verifica quando la Corte solleva un dubbio di incostituzionalità di una norma davanti a se stessa.
Sull’argomento effettivamente sembra che all’interno della Corte si sia sviluppata una discussione ampia (per questa lo slittamento di un giorno della pronuncia) senza però giungere ad un voto di maggioranza.
L’Autorimessione di sicuro avrebbe scatenato un terremoto non solo politico. Una decisione in questo senso, infatti, avrebbe portato la Corte a sollevare una questione di legittimità sulla legge Calderoli, ma allo stesso tempo ad affermare implicitamente che tutto il Parlamento eletto e attualmente in carica sarebbe “incostituzionale”, o perlomeno in dubbio di costituzionalità, rinviare una decisione sulla questione ad altra data e nel frattempo lasciare al Paese il dubbio di avere un legislatore illegittimo, comprese le leggi approvate dal 2008 ad oggi.
I precedenti della corte
La giurisprudenza della Consulta sul punto non lasciava del resto molto margine: meno di un anno fa le sentenze sugli scorsi referendum avevano già affermato la posizione “non algebrica”. Soprattutto nella parte conclusiva (Considerato in diritto) della sentenza 28/2011, la Corte costituzionale era stata chiarissima perché sul nucleare il relatore Tesauro aveva sostenuto la non algebricità in riferimento ad una norma B di mera abrogazione di una norma A e l’abrogazione secca di un’abrogazione era considerata il caso più pacifico di reviviscenza su cui anche i più ostili si erano alla fine convinti.
In quell’occasione, infatti la Corte specificava che nella disamina degli interventi abrogativi proposti dal Comitato promotore era stata esclusa «la possibile reviviscenza delle normative pregresse». Riportava la sentenza: «Indipendentemente da ogni considerazione in ordine all’idoneità di queste ultime norme a permettere la realizzazione e la gestione di centrali nucleari, l’abrogazione, a seguito dell’eventuale accoglimento della proposta referendaria, di una disposizione abrogativa è, infatti, inidonea a rendere nuovamente operanti norme che, in virtù di quest’ultima, sono state già espunte dall’ordinamento (sentenza n. 31 del 2000)».
Il diritto costituzionale negato
Certo è che in tutto questo a rimetterci è il cittadino che ancora una volta si vede negato un diritto costituzionale: quello del voto. Oggi, infatti con la legge Calderoli noi possiamo esprimere esclusivamente un si ad una lista bloccata di nomi scelta dai partiti. Non possiamo neanche dire no, perché l’unico no ammesso è il non voto. È quindi giusto e sacrosanto gridare allo scandalo ed invocare una nuova legge elettorale che però solo il Parlamento ci può dare. Non la Corte costituzionale, né altri tribunali.
Le proposte in campo sono tante, la bozza Violante, l’uninominale, il modello tedesco… tante le idee sul tavolo, ma la scelta potrà essere solo politica.

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