L’evasione fiscale continua inesorabilmente ad essere il tallone d’Achille della nostra economia. I numeri sono impietosi: le stime dell’Agenzia delle Entrate rilevano circa 250 miliardi di sommerso, con conseguenti tasse non pagate per 120 miliardi di euro l’anno.

Considerando che la “dolorosa” manovra di Natale ammontava a circa 35 miliardi, risulta facilmente comprensibile quanto sia fondamentale il recupero di almeno una parte di questi soldi. Nonostante tale l’evidenza, il potere politico, specialmente durante l’ultimo decennio, ha spesso ostacolato le misure volte a correggere le distorsioni fiscali, sostanzialmente per due ordini di motivi. Il primo riguarda l’esposizione “personale” di alcuni rappresentanti della classe dirigente nei confronti del fisco: per alcuni soggetti l’assenza di politiche anti-evasione comporta una guadagno diretto, una sorta di autotutela dall’ingerenza dello Stato nei propri affari. Questo fenomeno, tuttavia, ha probabilmente un peso marginale, poiché il cittadino potrebbe facilmente “punire” elettoralmente i politici rientranti in tale categoria una volta smascherati. Il secondo motivo, dunque, assume un carattere più generalista e più preoccupante: la politica è implicitamente incentivata a sfruttare il sentimento di ostilità dei cittadini rispetto al fisco, per cui le tasse sono semplicemente soldi estorti ai lavoratori per foraggiare un sistema che non funziona. Ovviamente (e per fortuna) non tutti gli italiani la pensano in questo modo, ma le ultime tornate elettorali dimostrano che alcune promesse, ad esempio l’abolizione dell’ICI, rendono bene in termini di voti.

L’avvento di un governo tecnico, come era facilmente prevedibile, ha reso possibile un’inversione di tendenza, essendo venuto meno il presupposto fondamentale del gioco al ribasso sulle imposte, ovvero la ricerca del consenso a tutti i costi. I tentativi di ripristino della “legalità fiscale” messi in campo dal governo Monti, dagli accertamenti di Cortina all’adozione del “redditometro”, si fondano sul concetto di uniformità del controllo, per cui chi è costretto a pagare (come i contribuenti soggetti a ritenuta alla fonte) non si senta perennemente in guerra contro i “furbetti” dello scontrino. Tale concetto non va tuttavia confuso con quello di “equità”, dichiarato durante i giorni della manovra, che riguarda la distribuzione delle aliquote e non l’applicazione della legge. La differenza risiede nel fatto che i tributi dovrebbero, in linea di principio, pagarli tutti, mentre si può discutere sull’opportunità di tassare il reddito da lavoro dipendente al 45% ed i capitali al 27%.

Entrando nel merito dei provvedimenti messi in campo, il primo elemento di novità riscontrato riguarda senza dubbio l’abbattimento del muro della privacy, che cede il passo all’interesse collettivo. Il “redditometro”, ovvero il meccanismo attraverso il quale l’Agenzia delle Entrate potrà indagare sul tenore di vita dei contribuenti in relazione al reddito dichiarato, rappresenta infatti uno strumento che invade la sfera personale. Il funzionamento è abbastanza semplice: i redditi saranno confrontati con 100 tipologie di spesa individuate sulla base di un’analisi sulle famiglie, associando all’acquisto di determinati beni un livello di reddito. Ad esempio, si assume che chi possiede una barca percepisca un determinato livello di reddito, sufficiente a coprire le spese connesse per l’acquisto ed il mantenimento: nel caso di uno scostamento superiore al 10% tra il reddito ritenuto necessario e quello dichiarato, scatterà l’accertamento da parte delle autorità. Le voci di spesa individuate possono essere suddivise in 7 macroaree: casa, mezzi di trasporto, assicurazioni, istruzione, attività ricreative, investimenti ed altre spese. Una maggiore attenzione sarà ovviamente riposta sul possesso di beni di lusso, quali automobili sportive, ville e gioielli preziosi.

Il redditometro rappresenta solo una parte delle misure messe in campo. Un altro provvedimento importante riguarda la tracciabilità dei flussi, per cui le transazioni in contanti sono consentite solo per importi inferiori ai 1000 euro, mentre per gli acquisti superiori ai 3.600 euro sarà necessario fornire al venditore il codice fiscale: quest’ultima misura rientra nel cosiddetto “spesometro”, con il quale si intende potenziare il controllo sui consumi sempre in relazione al reddito dichiarato. Sarà poi implementata la banca dati sui movimenti bancari, in merito alla quale si sono già levate aspre critiche, per cui banche ed istituti finanziari saranno obbligati a trasmettere i dati relativi ai conti correnti privati nel sistema dell’Anagrafe Tributaria. Il sistema è abbastanza complesso, visto che si parla di circa 40 milioni di conti, ma consentirà tempi di accertamento estremamente rapidi.

Non mancheranno inoltre i controlli tradizionali, favoriti dall’assunzione di oltre 1.000 nuovi ispettori, sull’emissione degli scontrini fiscali da parte di esercizi privati. Nell’ultimo periodo si à assistito ad un incremento straordinario di tali accertamenti: i risultati sono evidenti, dato che il numero di scontrini emessi aumenta di oltre il 40% durante le giornate di controllo. Questo meccanismo è senz’altro quello ad impatto mediatico più eclatante e di conseguenza anche il meno digerito, tanto da far gridare allo scandalo anche molti esponenti politici.

L’efficacia del pacchetto anti-evasione dipende da due fattori complementari. Da un lato la scoperta di comportamenti illeciti, anche clamorosi (si pensi ai 7.500 evasori totali individuati dalla Guardia di finanza, i cui redditi occulti ammontavano a circa 21 miliardi), potrebbe portare nelle casse dello Stato una somma complessiva importante. Dall’altro, l’imposizione di controlli stringenti potrebbe generare un flusso di entrate notevolmente superiore, a causa dell’effetto deterrente: la speranza è che gli evasori avvertano il classico “fiato sul collo” ed inizino a versare i contributi dovuti di loro spontanea volontà. La finalità dell’operazione, infatti, è quella di introdurre una cultura fiscale per cui i contribuenti si sentano responsabili in solido del rispetto delle regole, emarginando gradualmente chi non intende adeguarsi.

I rischi che si corrono sono tuttavia molteplici: per rispettare le nuove norme, specie quelle sulla tracciabilità e sulle comunicazioni all’Agenzia delle Entrate, gli operatori economici (imprese, enti pubblici e famiglie) potrebbero subire un aumento dei costi dovuto all’eccessivo carico burocratico, con il rischio di una paralisi delle attività e dei pagamenti. Inoltre, in seguito ad una stretta fiscale di questa intensità, è facile aspettarsi una nuova ondata di promesse fiscali durante la prossima campagna elettorale.

Rimangono tuttavia alcuni segnali di una presa di coscienza collettiva sul tema delle imposte. Rispetto a tali politiche, infatti, il governo sembra godere di un buon livello di sostegno da parte dei cittadini, superiore a quello relativo ad altre questioni quali le politiche del lavoro o le pensioni. A tal proposito è indicativo segnalare la nascita di un sito web, www.evasori.info, dove gli utenti possono segnalare in forma anonima eventuali irregolarità fiscali riscontrate: il meccanismo si basa dunque sulla reputazione, nell’ipotesi che l’evasione sia considerato (forse) un comportamento antisociale.

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