La possibile caduta del regime siriano di Bashar al Assad e il rafforzamento dei Fratelli Musulmani nella regione hanno costretto uno dei leader arabi più importanti, il re Abdullah II di Giordania, ad uscire allo scoperto per evitare di perdere il potere.

Le crescenti manifestazioni registrate in Giordania lo scorso mese, contro il caro vita e l’aumento del prezzo dei carburanti, hanno spinto l’opposizione islamica a chiedere per la prima volta in piazza la fine della monarchia. Questo dato ha messo in allarme il monarca il quale è stretto non solo da una crisi politica ed economica interna senza precedenti, ma anche dall’isolamento a livello regionale a causa dell’avanzata islamica in Medio Oriente. I Fratelli musulmani, in seguito alla primavera araba, hanno infatti preso il potere in diversi paesi arabi, costringendo i pochi stati ancora non islamizzati a correre ai ripari unendosi tra loro.

E’ questa l’idea lanciata dal re giordano Abdullah II, che sta pensando di formare un nuovo asse regionale formato da Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, con il sostegno dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) di Mahmoud Abbas. L’obiettivo è quello di costituire un’alternativa all’asse fra Qatar, Turchia ed Egitto che ha fatto la sua comparsa ufficialmente con il sostegno dato ad Hamas nella recente guerra con Israele a Gaza. A questo asse, che può contare anche sull’appoggio di Tunisia e Libia, paesi nei quali i Fratelli musulmani sono al governo grazie alla caduta dei precedenti regimi, potrebbe aggiungersi presto anche la Siria, in caso di caduta del regime di Bashar al Assad e dell’ascesa al potere della nuova Coalizione nazionale, composta in buona parte da islamici. E’ questo il timore espresso dal re giordano, che si è detto preoccupato per l’eventuale arrivo dei Fratelli musulmani al governo a Damasco. Secondo quanto riferisce la tv araba “al Jazeera“, Abdullah II ha espresso due giorni fa ad alcuni esponenti del mondo politico giordano la sua preoccupazione per quello che ha definito “asse Egitto-Turchia-Qatar che si è venuto a formare nella regione dopo la primavera araba e che è dominato dai Fratelli musulmani“.

Il re giordano ha inoltre criticato la posizione assunta dalla Turchia rispetto alla crisi siriana, considerandola “di parte e non in difesa della libertà del popolo siriano ma soltanto ostile al regime“. Abdullah II si è detto preoccupato anche delle “ingerenze del Qatar in Siria“, sostenendo di temere che Damascopossa finire nell’orbita di Doha con l’arrivo di un governo islamista“. Queste preoccupazioni sarebbero condivise anche dall’Arabia Saudita. “Noi – ha detto il sovrano – abbiamo respinto qualsiasi ingerenza negli affari siriani e siamo contrari a far passare gli aiuti militari diretti ai ribelli siriani“. Re Abdullah II ha infine rivelato che la Giordaniafa parte di un nuovo asse con Arabia Saudita e Emirati arabi uniti“.

Dell’influenza dell’asse tra Qatar e Turchia in Siria aveva parlato nei giorni scorsi anche il leader dell’opposizione interna siriana, Haytham al Manna, secondo il quale l’arrivo dei miliziani jihadisti fedeli ad al Qaeda in Siria sarebbe responsabilità “dell’asse regionale formato da Qatar, Turchia e Arabia Saudita“. Secondo quanto ha denunciato al sito web “Siria-news“, “in Siria si sta verificando uno scenario simile a quello visto durante la guerra del Golfo tra Iraq e Iran. In questo caso l’asse fra Qatar, Turchia e Arabia Saudita ha la responsabilità di aver spinto tutti i jihadisti della regione a venire nel nostro paese. Non vedo nessun governante arabo che ne denunci la presenza in Siria e tutti tentano di minimizzare il problema“.

A suo giudizio, “se questo asse volesse fermare l’arrivo dei jihadisti in Siria potrebbe farlo“. Il sovrano ritiene inoltre che la situazione sia simile a quella che si è verificata negli anni Ottanta nel Golfo perché “entrambi gli schieramenti difficilmente riescono ad ottenere grandi vittorie militari sul campo”, dicendosi convinto infine che “se la situazione andrà avanti così non credo che si riuscirà a portare avanti un processo democratico perché l’escalation di violenze può portare o alla conferma dell’attuale dittatura o alla nascita di una nuova dittatura“.

La nascita di un nuovo asse regionale, alternativo a quello dei paesi sotto l’influenza dei Fratelli Musulmani, potrebbe essere il motivo che ha portato nelle scorse settimane il re Abdullah II di Giordania a visitare Ramallah. Sembra infatti che di questa nuova alleanza potrebbe fare parte anche il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, che cerca alleati per contrastare i rivali storici di Hamas. Lui stesso ha invitato i suoi più stretti collaboratori a prepararsi per una possibile “confederazione con la Giordania“. Secondo indiscrezioni pubblicate dal quotidiano arabo “al Quds al Arabi“, Abbas si è riunito domenica scorsa con sette dei suoi più stretti collaboratori e dirigenti dell’Anp e di al Fatah a Ramallah.

Nella riunione a porte chiuse, che aveva lo scopo di delineare le strategie future dell’Anp, Abbas avrebbe avvertito i suoi di “prepararsi ad una nuova fase che è imminente e che potrebbe portare velocemente ad un accordo per la nascita di una confederazione con la Giordania, questo per far andare avanti il piano di nascita dello stato palestinese“. Le trattative con Amman per la nascita di una federazione dovrebbero iniziare il 21 febbraio, dopo che saranno trascorsi 60 giorni dall’approvazione del riconoscimento dello status di paese osservatore dell’Anp nell’Assemblea generale dell’Onu. In seguito alla recente visita del re giordano Abdullah II a Ramallah, alcuni politici giordani hanno rivelato che Abbas punta ad una stretta alleanza con Amman per dare vita ad un nuovo asse che si contrapponga a quello formato dal Qatar, dalla Turchia e dall’Egitto e dominato dai Fratelli musulmani.

Ad accettare con entusiasmo la nascita di un’alleanza di questo tipo sono certamente gli Emirati Arabi Uniti. Questo perché le autorità di Abu Dhabi hanno arrestato lo scorso settembre 60 militanti del gruppo islamico dei Fratelli Musulmani, fuori legge nel paese del Golfo, all’interno del proprio territorio. Secondo quanto riferisce il quotidiano “al Imarat al Youm”, “le persone arrestate hanno confessato di far parte dell’organizzazione segreta, la quale ha anche dato vita ad un’ala armata il cui obiettivo è quello di prendere il potere e istaurare uno stato religioso negli Emirati attraverso vie non legali”. La serie di arresti nei confronti dei militanti della formazione islamica è iniziata a giugno, quando le autorità di Abu Dhabi hanno avuto il sentore che “questo gruppo volesse sfruttare l’onda della primavera araba per portare a segno i suoi obiettivi”.

Le persone arrestate sono accusate di “aver dato vita ad un’organizzazione interna del gruppo simile a quella delle altre sezioni dei Fratelli Musulmani”. Il principale fautore di una campagna di allarme nei confronti del pericolo dell’avanzata islamica nei paesi del Golfo è il capo della polizia di Dubai, Dahi Khalfan, il quale ha scritto sul suo profilo “Twitter” che “il regime dei Fratelli Musulmani è venuto per dividere i sunniti“. Secondo il capo della sicurezza dell’emirato arabo, “i Fratelli Musulmani stanno cercando di arrivare al potere nei paesi del Golfo attraverso i loro piani ma il Golfo farà a meno di loro“.

Nei mesi scorsi la polizia degli Emirati arabi uniti ha messo a segno una serie di arresti ai danni dei militanti dei Fratelli Musulmani presenti nel paese arabo, accusati di voler compiere un colpo di stato. Lo stesso Khalfan, agli inizi di novembre, accusava i Fratelli Musulmani negli Emirati Arabi Uniti di mirare “a conquistare il paese e il suo tesoro”. Parlando durante una conferenza che si è tenuta a Dubai sulla serie di arresti compiuti nei mesi scorsi ai danni dei militanti islamici, Khalfan ha spiegato che essi “miravano al potere, la loro struttura organizzativa è simile a quella della mafia perché al vertice c’è un piccolo gruppo che pianifica e comanda su tutto“.

A quell’incontro pubblico è intervento anche un ex dirigente dei Fratelli Musulmani, Said al Malji, il quale ha fatto parte del gruppo islamico per 40 anni arrivando ad entrare nel suo direttivo. Parlando ad un gruppo di giornalisti, al Malji ha spiegato che “il vero volto di questo gruppo sta venendo fuori dopo la loro ascesa al potere in Egitto. In quel paese i Fratelli Musulmani non sono più di 200 mila persone, le altre forze dell’opposizione sono molto più seguite, il problema è che non sono così bene organizzate“. Al Malji ha infine ricordato che “questo gruppo ha una sua organizzazione interna segreta che è quella che comanda davvero e il cui obiettivo è solo quello di accumulare soldi“.

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