Chiara Di Domenico è una donna di 37 anni, precaria nel settore dell’editoria (cioè uno dei settori dove è più facile essere precari e rimanerci per sempre).

Durante un intervento a Roma a un convegno del Partito Democratico, ‘Le parole dell’Italia giusta’ , parlando a nome dell’intera categoria ha detto “La verità è scandalosa ma lo status quo è osceno. Sono stanca di vedere assunti i figli di, i fratelli di, e tutto passa sotto silenzio. Faccio i nomi: Giulia Ichino, 23 anni, è redattore interno di Mondadori”. L’ha citata perché lei che passa la vita da precaria si deve essere domandata come tutti : “ ma perché gli altri ce la fanno, dieci anni prima di me?”. Alla fine dell’intervento è stata poi abbracciata da Bersani.

Giulia Ichino, chiamata in causa, ha replicato di aver mandato il suo curriculum a 23 anni a Mondadori e di essere stata poi regolarmente assunta perché ha fatto l’università e, poi come sempre accade, anche una gavetta. E che si fa il mazzo (come tutti), e che suo padre non c’entra e che anzi lei è l’esempio che i bravi ce la fanno. Giulia è stata appoggiata da una valanga di sostenitori del suo lavoro e delle sue competenze. Molti si sono indignati perché non si attaccano i figli per attaccare i padri (anche se l’attacco non era al padre) e moltissimi altri che l’hanno avuta come editor hanno confermato la sua bravura, anche se non era mai stata messa in discussione. E quindi non si è capita la difesa. Mondadori pure ha precisato che loro assumono persone sulla base delle competenze. E pure questo si sapeva.

Dalla polemica e dalla sua eco twittata non sono emerse alcune cose che vale la pena circoscrivere. La prima è che spesso pensare che le “porte del lavoro siano chiuse” induce a false verità. La prova è che Mondadori assume a tempo indeterminato. Certo basta essere bravi. E Giulia Ichino deve esserlo, avendo una laurea, come lei stessa ha voluto sottolineare. E non si capisce cosa aspettino i tanti laureati brillanti a mandare i loro curricula.

La polemica sul “ raccomandato” infatti è vecchia e odora di ventre molle populista. Anche quando si obiettò e molto su Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, entrambe dissero di essere l’esempio che chi è bravo e competente ce la fa. La prova ne fu che Gelmini stessa si fece promotrice delle meritocrazie nelle scuole sia tra gli studenti che tra i professori. Così Carfagna intervenne più volte dicendo che lei “era la testimonianza che si può rompere il famoso soffitto di cristallo”. Cioè il tetto di cui soffre il potere femminile che ha sempre un ritardo enorme rispetto a quello maschile. Anche la posizione di Nicole Minetti è stata egualmente difesa: la giovane è brava e bilingue tuonò Berlusconi. Erano competenti pure le veline Mediaset che stavano per volare al parlamento europeo se non le avesse bloccate Veronica infastidita da tutto quel giro di donne intorno al marito. E quindi se ne occuparono anche i media. Così vennero fuori squadre di donne competenti: era plurilaureata Barbara Matera, e poliglotta Lara Comi. La notizia che nessuno aveva voluto vedere fu che chi ha una laurea e parla una lingua straniera può aspirare a posti di ministra e parlamentare. Soprattutto, tutto ciò vale per l’universo femminile, che è quello più flagellato dalla disoccupazione, e quello con maggiori competenze all’università.

Stesso strabismo è quello dei ricercatori che non diventano mai professori: la figlia di Elsa Fornero, la ministra del Lavoro che pregava i ragazzi di essere di bocca buona, e di studiare sì, ma di accontentarsi pure, anche lei ce l’ha fatta come professore associato, e per lei “ parla il curriculum”.

Accade sovente infatti che i figli di genitori con uno stato sociale elevato, frequentino delle buone scuole e abbiano molte opportunità. E quindi la notizia semmai sarebbe il contrario: malgrado le opportunità, è una schiappa.

Che dire di Michael Martone con fulminante carriera universitaria e poi viceministro del Lavoro che dava degli sfigati ai giovani fuoricorso e che quindi non fanno carriera subito come lui?

Le stesse obiezioni si muovono a tutte le giornaliste Rai e Mediaset: anche se hanno dei cognomi noti, sono però tutte competenti. E spesso lo si può constatare, poiché il loro lavoro è visibile. E poi, perché dovrebbero essere incompetenti se sono figlie o di ministri o di altri giornalisti?

L’altro dato socio antropologico è che i migliori esempi di persone che non hanno problemi di lavoro e di carriera e che sono esattamente il contrario di quello che si predica vengono puntualmente dai figli o dai parenti di coloro che si esprimo sul lavoro, e non sempre senza conseguenze. Come Ichino e come Fornero appunto. Per non dire dell’ex ministro Padoa Schioppa e l’osceno dei “bamboccioni”.

Succede sempre nell’editoria, che anche i figli, gli amici e le amiche dei direttori dei quotidiani che licenziano… o non assumono, spesso non abbiano mai gli stessi problemi degli altri. Pure coincidenze. Molto si protestò contro Beatrice Borromeo. “Come” si disse “con tanti giornalisti precari, una principessa che non ha bisogno di niente?”.   Ma lei difesa da moltissimi ha dimostrato non solo di riuscire a laurearsi mentre faceva la giornalista (cosa non da poco visto che in genere non si riesce a diventare giornalisti da laureati), di accontentarsi di poco stipendio, andare a fare una specializzazione alla Columbia University e di ritrovare il suo posto subito dopo al Fatto, facendo interviste e articoli sulle ingiustizie del mondo. Si disse in sua difesa “ è una lavoratrice” anche se nessuno aveva mai sollevato il problema che facesse la principessa mentre gli altri sgobbavano.

L’altro dato che nella polemica Di Domenico / Ichino non è venuto fuori ma che invece è stato sollevato con grande forza da Chiara durante il suo intervento, è che i giornali di sinistra sono i primi a comportarsi male e citava infatti il suo amico giornalista precario in un giornale di sinistra. Il messaggio però è caduto nel vuoto: nessuno ha voglia di andare ad aprire i file dei “quotidiani di sinistra” e di come si comportano. E quindi la polemica è andata sullo sdegno (spudorato) del mondo editoriale che una precaria dia della raccomandata (che non significa essere necessariamente incompetente) a una che, certo, potrebbe esserlo ma magari non lo è. E’ solo fortunata e brava. Come fatalmente i figli di tutti quelli che si occupano del lavoro altrui.

Ma la vera notizia emersa dal tipo di difesa a favore di Giulia Ichino è un’altra. Tutti sanno soprattutto nell’ editoria che esiste un sistema di raccomandazioni, cordate, affiliazioni e corporazioni. Il punto è che tutti se ne lamentano ma proprio nessuno vuole cambiarlo. Perciò le reazioni saranno sempre a favore di tutte le Giulie Ichino del mondo. Che a buon bisogno saranno anche brave. Ma non era quello il punto di certo. E’ un gran peccato invece che Giulia Ichino non sia riuscita a fare delle osservazioni di più ampio respiro che non quella noiosissima di difendere la sua posizione e di dire quello che hanno sempre detto tutti “ho studiato e sono qui perché sono brava”. E’ un gran peccato che dal mondo editoriale ci sia stata la solita, noiosa, stantia levata di scudi in difesa della “competenza” contro la retorica del “raccomandato”.

E precisamente questa è la più grande rimozione che abbia mai fatto la sinistra sul mondo del lavoro. Parlare di meritocrazia e di flessibilità e posto fisso è meno compromettente e garantisce rassicurante genericità che parlare di raccomandati, rimossi i quali da un intero sistema, si potrebbe appunto parlare di meritocrazia e di flessibilità.

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