ROMA. Non solo il ‘sogno americano’, fermamente ribadito persino nel dramma della grande depressione o durante la seconda guerra mondiale, non solo la consapevolezza civile che via via prende piede di fronte alle ingiustizie e ai crimini della segregazione razziale: Norman Rockwell si presenta nella mostra romana di Palazzo Sciarra come artista di indubbio talento, capace di opere straordinarie quali Triplo autoritratto o Il problema con cui tutti noi conviviamo.

Fino all’8 febbraio, la retrospettiva organizzata dalla Fondazione Roma Museo per la prima volta in Italia mette in luce la maestria pittorica e stilistica che sottende l’attività di illustratore, cui principalmente Rokcwell deve la sua fama mondiale. Presentata alla stampa, American Chronicles: the Art of Norman Rockwell, è stata organizzata dalla Fondazione Roma in collaborazione con il Norman Rockwell Museum di Stockbridge (Massachusetts), la Fondazione NY e il Polo Museale romano. A curarla, il direttore della Gam di Torino Danilo Eccher e Stephanie Plunkett (Chief Curator del Norman Rockwell Museum), che hanno dato all’esposizione un taglio un po’ diverso rispetto agli allestimenti americani. “Negli Stati Uniti – ha detto Eccher – Rockwell è una figura di primissimo piano, le sue illustrazioni hanno accompagnato l’evoluzione di generazioni di cittadini e tutti lo conoscono. Qua a Roma abbiamo scelto di mostrare anche la sua produzione pittorica, che trae origine dalla pittura del XIX secolo, ben padroneggiata dall’artista”. Ecco dunque che, se da un lato la rassegna è l’occasione per ammirare la raccolta completa, mai vista prima in Italia, delle 323 copertine originali del magazine The Saturday Evening Post realizzate dal 1916 al 1963, dall’altro propone le grandi tele, i ritratti, i disegni preparatori, gli studi fotografici, a testimoniare l’eccezionale abilità nel disegno, lo sguardo ironico, la sensibilità nello scegliere il dettaglio attraverso cui raccontare una storia, l’abilità assoluta nel concepire la scena. “Per decenni gli americani si sono rispecchiati nelle illustrazioni di Rockwell, che come nessun altro ne ha descritto sogni, speranze e ideali”, ha proseguito il curatore, basti pensare alle feste del Ringraziamento, ai boy scout, ai giovani intenti allo studio o ai loro primi turbamenti. “Ora che la società è radicalmente cambiata, c’è il giusto distacco per analizzare la sua opera anche dal punto di vista squisitamente artistico”.  La prima sezione è dedicata alle influenze della pittura americana ottocentesca sull’arte di Rockwell, aperta dal magnifico Albero genealogico della società americana: pirati, nobildonne spagnole, pistoleri, indiani, wasp, vale a dire verità storica e mito che si intrecciano in un realismo narrativo che caratterizza anche le copertine del Post, allestite nelle sezioni successive. Quello che ne emerge è un mondo fortemente ancorato a valori quali la famiglia, l’educazione, il coraggio, l’unità sociale, e proprio per questo intangibile da una ben diversa realtà, soprattutto tra gli anni Trenta e Quaranta, segnata dalla crisi economica e dalla dura ricostruzione. Paura e fame non trovano spazio nelle storie raccontate da Rockwell che invece ricorda caparbiamente, come nei film di Frank Capra, gli ideali portanti su cui basare il riscatto sociale. Quando negli anni Sessanta, dopo la seconda guerra mondiale e il boom economico, la situazione sembra acquistare solidità, anche Rockwell, sottolinea Eccher, “inizia a incidere sui temi sociali e civili”. L’era Kennedy rivive in mostra nei ritratti del presidente, uno dei quali (Corpo di Pace), per celebrarlo dopo la tragica morte, lo vede a capo di un gruppo di giovani, fra cui uno di colore. Segue il drammatico Murder in Mississippi e lo splendido Il problema con cui tutti noi conviviamo. La bambina nera, con un abitino immacolato, passa indenne tra i lanci di pomodori, scortata da quattro agenti federali al suo primo giorno di scuola in un istituto riservato ai bianchi.

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