Il datore di lavoro è obbligato a concedere le ferie al dipendente assente per malattia prossimo al superamento del periodo di comporto. Preminente l’interesse del lavoratore ad evitare il licenziamento.

La Suprema Corte, sezione lavoro, con la recentissima sentenza n. 14471, depositata in data 7 giugno 2013, in accoglimento del ricorso presentato da un dipendente licenziato da Poste Italiane, è intervenuta sul tema della fruizione delle ferie durante l’assenza per malattia, al fine di evitare la maturazione del periodo di comporto che legittima il provvedimento espulsivo.
Nella fattispecie in commento, la Corte territoriale aveva ritenuto legittimo il rigetto, da parte del datore di lavoro, della richiesta di fruizione delle ferie arretrate per visite mediche, negando la sussistenza di un diritto incondizionato del lavoratore alla sostituzione della malattia con le ferie maturate e non ancora godute.

Poteri e obblighi del datore di lavoro ai sensi della legislazione vigente. La normativa di riferimento applicabile al caso de quo conferisce al datore di lavoro il potere di stabilire la collocazione temporale delle ferie retribuite nell’ambito annuale, contemperando le esigenze dell’impresa con gli interessi del prestatore di lavoro (cfr. art. 2109 c.c.).
Sulla base del succitato disposto – che subordina l’accoglimento della domanda di ferie ad una valutazione discrezionale del datore di lavoro – il Giudice d’appello, a fronte del diniego opposto all’istanza del dipendente, ha escluso la sussistenza dell’obbligo datoriale di esplicitare le esigenze aziendali ostative alla fruizione delle ferie residue in mancanza di una specifica contestazione da parte del lavoratore, nella specie non avanzata dall’interessato.
Tuttavia, nella sentenza in esame, gli Ermellini, pur dando atto dell’assenza di una norma ad hoc che imponga la concessione delle ferie nei tempi e nei modi richiesti dal dipendente, hanno disatteso l’interpretazione della Corte di merito che, nel prevedere un siffatto aggravamento dell’onere probatorio, non ha tenuto conto degli obblighi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., in ossequio ai quali la società avrebbe dovuto senz’altro accogliere la domanda del dipendente, una volta ponderati i contrapposti interessi.

L’orientamento della Cassazione a tutela del lavoratore. La Suprema Corte, sulla scia delle determinazioni già precedentemente assunte in materia, afferma il diritto del lavoratore di convertire l’assenza per malattia in fruizione delle ferie, maturate e non godute, al fine di sospendere il decorso del periodo di comporto, dovendosi escludere un’incompatibilità assoluta tra ferie e malattia.
Secondo le argomentazioni dei Giudici di Piazza Cavour, non sarebbe, infatti, costituzionalmente corretto precludere il diritto alle ferie durante la malattia in ragione delle condizioni psico-fisiche inidonee al loro pieno godimento, non essendone possibile il differimento al termine della malattia in quanto il superamento del periodo di comporto, con conseguente perdita del posto di lavoro, impedirebbe l’effettiva fruizione delle ferie.
Ne deriva che graverà sul datore di lavoro interessato dalla domanda di conversione, l’onere di dimostrare di aver tenuto conto, ai fini della relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore a scongiurare così il rischio di licenziamento per il decorso del periodo di comporto.
Al riguardo, la Cassazione esclude la configurabilità di un tale obbligo unicamente nel caso in cui il lavoratore possa beneficiare di altre regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di eludere la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed, in particolare, del collocamento in aspettativa, ancorché non retribuita.
In conclusione, in circostanze particolari quali quelle ricorrenti nel caso di specie, il potere datoriale con riferimento alla programmazione delle ferie trova un limite decisivo nell’esigenza del lavoratore di evitare il superamento del periodo di comporto, da ritenersi prevalente nell’ambito del bilanciamento dei rispettivi interessi, in considerazione dei fondamentali principi di correttezza e buona fede che devono sempre caratterizzare il rapporto di lavoro.

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