Era il 14 novembre 2005 e il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Roma, tramite il ministro della Giustizia, presentava richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dei signori Antonio Santacroce e Andrea Leanza per il reato di vilipendio alle Assemblee legislative.
 Il periodico aveva infatti pubblicato nel numero di aprile 2005 una fotografia di un parziale nudo femminile con una freccia che indicava la bocca-Parlamento, un’altra il seno-Senato e l’ultima il pube-Camera dei deputati.
 La questione è tornata alle cronache perché oggi un quotidiano riportava in prima pagina la notizia che alla Camera, nonostante in Parlamento non siano ancora state istituite le giunte per le autorizzazioni, erano già pronte otto autorizzazioni a procedere. Tutte “vecchie”, molte riguardanti l’ex premier Berlusconi, una Monica Fenzi (Pdl), una Franco GIordano (es segretario di Rifondazione comunista), una l’ex deputato Udc Remo Di Giandomenico ed una appunto i due direttori del periodico sopracitato.
 Per onore del vero, va chiarito che nei confronti di Santacroce e Andrea Leanza il Senato si era già pronunciato con l’approvazione della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del 15 febbraio 2006 (il documento è leggibile in allegato).
Nella relazione del senatore Crema, si specificava infatti che il Senato, trattandosi di un reato di opinione, non avrebbe votato a favore dell’autorizzazione a procedere “considerando che nelle ultime legislature le Giunte delle due Camere  propongono costantemente all’Assemblea il diniego di autorizzazione a procedere, anche stavolta la Giunta non vede motivo per discostarsi dai precedenti”.
La relazione, comunque, non manca di sottolineare la bassa qualità della pubblicazione: “il tenore visibilmente di cattivo gusto della pubblicazione non dovrebbe esimere la magistratura dal valutare altri titoli di reato, né si dovrebbe escludere da parte dei competenti organi della Polizia di Stato, l’azione civile nei confronti di soggetti che utilizzano la sua denominazione comune per una pubblicazione priva di qualunque riconducibilità all’Istituzione e caratterizzata da contenuti sguaiati che infarciscono la totalità delle pagine della rivista, peraltro dotata di vistose imposture al di sotto di qualsiasi elementare dettame deontologico della professione giornalistica”.
La conclusione è che “alla Camera alta non compete neppure di accostarsi ad un tale truogolo di oscenità, incapace di lordare il lembo del laticlavio dell’organo di rappresentanza della sovranità popolare: ci si limita a notare che, tra le altre imprecisioni, vi è quella che giuoca con una falsa assonanza tra gli etimi di senex e sinus”.
Detto questo, si negava l’autorizzazione a procedere. 

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