Nel 1932 Paul Nizan pubblica il libro Les chiens de garde per denunciare filosofi e scrittori che sotto le mentite spoglie di neutralità intellettuale si imponevano non come guardiani del potere ma come loro custodi.

Oggi la categoria è ampiamente sostituita dai giornalisti, editorialisti, esperti di media diventati inoltre evangelisti del mercato. Nel 1995 esce a firma dell’attuale direttore del Monde Diplomatique, Serge Halimi, Les nouveaux chiens de garde per mostrare tutte le ridicole contraddizioni di una stampa che evoca il pluralismo, proclama di “dare voce a chi non ce l’ha”, si afferma indipendente e obiettiva.

Direttamente ispirato ai due volumi il film di Gilles Balbastre et Yannick Kergoat uscito in questi giorni a Parigi, dal titolo appunto Les nouveux chiens de garde, fa luce sull’informazione e i media francesi collusi con il potere. E se i protagonisti sono solo francesi i temi, la struttura, e i meccanismi riguardano l’Italia più che mai, e anche i paesi anglosassoni, che si erigevano a esempio, ma che dopo il caso Murdoch hanno mostrato tutta la loro debolezza. Si tratta di un film perciò che riguarda in ampia misura tutte le democrazie occidentali, senza essere in alcun modo contro il mestiere del giornalista, ma contro l’organizzazione sociale e economica dei media e di un certo tipo di giornalismo. In questo contesto internet appare l’unica scappatoia per ora possibile, ma perfino in Francia, anni luce avanti a noi, ripete la stessa gerarchia di potere dei media tradizionali.

L’informazione è, secondo gli autori, una delle strade fondamentali per affrontare la crisi economica, figlia anche della continua operazione di depistaggio culturale avvenuto all’interno dei media da parte degli stessi che ancora invadono studi televisivi e radiofonici per dare ricette, fornire spunti…tutti solo nel senso dello smantellamento dello stato sociale. Attori di primo piano che negli anni passati hanno illustrato la bontà della “deregulation” e del neoliberismo, senza aver né intuito né detto cosa sarebbe successo oggi. E se i presagi c’erano, e poi i segni erano sempre più evidenti e chiari, non è stata data l’opportunità di parlare a chi sarebbe andato contro il main stream.

Con continui rimandi al libro di Nazar, il film passa in rassegna tutte le vedettes dei media francesi che formattano, rimasticano, ripetono, sistemano tutto il discorso sociale, rendendolo oggetto di conversazione e di fittizio confronto. Tutti appartenenti alle medesime classi sociali, figli di professionisti, medici, professori, diplomatici che si frequentano tra loro, vanno in vacanza insieme, si incontrano negli stessi luoghi del potere.

Accanto alla figura del giornalista c’è il professore universitario detto “economista” che incarna il ruolo di esperto. Fuori dagli studi tv e delle aule universitarie, costui è consulente di aziende e multinazionali. “Si può dire che i francesi siano cresciuti con loro”, dice la voce narrante. Così, un salottino di un soggiorno cambia tappezzeria e lo schermo della tv si fa sempre più piatto, ma dentro di questo, le stesse facce si alternano nel corso degli anni, ripetono le stesse cose, a fronte di compensi sempre più elevati e di macroscopici errori di visione e di lettura della realtà. Anziché essere un motivo di esclusione è al contrario un’ottima ragione di conferma. Ed è evidente che, esattamente come da noi, se avessero smesso di addomesticare, normalizzare, rassicurare, educare, ingiungere comportamenti, non sarebbero mai sopravvissuti all’interno del sistema.

Tutti ripetono e hanno ripetuto una manciata di argomenti. Come appunto la parola “riforma”. Un ricercatore, analista di media, intervistato nel film documentario afferma: “se non ci fosse stata la frase ‘dobbiamo fare le riforme’, la maggior parte di queste persone non avrebbe saputo cosa dire”. E noi come dimenticare l’incredibile Marcegaglia che per anni ha ripetuto ossessivamente solo la frase “e ora si apra la stagione delle grandi riforme”? Sia chiaro, per riforma si intende smantellare lo stato sociale e ridurre i diritti dei lavoratori, mentre ogni resistenza sacrosanta alla perdita di diritti viene chiamata dagli ineffabili esperti: “attaccamento al passato da parte della popolazione che ha paura del cambiamento”.

Egualmente, dopo la parola riforma c’è la paura e l’angoscia crescente da parte di nemici veri presunti e ingigantiti…

Chi sono allora questi sedicenti cani da guardia, custodi e vestali del potere?

Gli autori del film individuano una serie di giornalisti con grande precisione e senso dell’ironia. Una delle più divertenti è Anne Sinclair. La si vede intervenire con ardore in una trasmissione tv scandalizzata della commistione dei media col potere. Chiama questo modo di fare “un residuo sovietico”. Proprio lei, moglie di DSK e oggi nuova direttrice dell’ Huffington Post francese.

In Francia (ma vale anche per l’ Italia, e nelle democrazie presunte tali in modo più o meno simile), i grandi protagonisti dei media professano di essere il “contro potere”. Eppure la maggior parte dei giornali delle radio e delle reti televisive appartiene a dei gruppi industriali o finanziari intimamente legati a questo. Così dentro un ristretto perimetro ideologico si moltiplicano le informazioni formattate, gli ospiti in studio permanenti, i confronti fittizi. E soprattutto “ le marchette”. In francese “ faire des ménages”. Quest’ultimo è argomento tabù ma che rivela drammaticamente il ponte che esiste tra finanza, mercato, potere e informazione. Per reclutare giornalisti “marchettari” ci si rivolge a agenzie di eventi che hanno liste e compensi in misura della notorietà. “Cani da guardia” per presentare nuove tariffe di automobili, lavatrici più nuove, telefoni, supermercati, e tutto il vendibile. Ciascuno il suo cachet che va dai 7 mila ai 18.000 euro di Kristine Ockrent, direttore di France 24 e moglie dell’ex ministro degli Esteri. Giunta alla guida della rete, proprio durante il mandato del marito.

Il film non fa sconti a nessuno. Compreso Joffrin direttore di Libération. E nessuno di questi del resto ha fatto sconti al film, tanto che nei titoli di coda, gli autori hanno intelligentemente inserito tutte le critiche negative. Anche queste tragicamente formattate e prevedibili. Talmente prevedibili che potrebbero essere tradotte in tutte le lingue. “ Film marxista, inutilmente settario”, “ estrapola la realtà e la manipola”, “ di un manicheismo ignobile”…. (la più ripetuta).

Ma se uno dei grandi obiettivi dell’informazione è destabilizzare con la verità, questo è stato sicuramente raggiunto.

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