Industria ma non solo. Se è vero che il design serve a migliorare la nostra vita, magari può fare qualcosa anche per quella degli altri. Ecco perchè il marchio Alessi è da sempre impegnato anche in azioni di solidarietà con attività sul territorio e operazioni internazionali.
Per Questo Natale, ad esempio, l’impegno è di raccogliere 200.000 euro per regalare una casa famiglia ai bambini del Congo.


Italian Design factory: Il marchio italiano oggi risente delle difficoltà del momento o la qualità non conosce crisi?

Probabilmente la qualità vera aiuta nel medio-lungo termine, in quanto dà maggiore identità e conferisce maggiore identificabilità, ma è certo che la crisi si fa sentire per tutti gli organismi industriali: almeno quelli (tanti) che -com’è il caso del mondo dei produttori del buon design- non vivono tanto nell’area del “lusso” ma si rivolgono anche a un pubblico abbastanza allargato. Di soldi in tasca ce ne sono meno e si compera di meno.

Il design è più industria o arte?

Il design è una delle forme che Gianni Vattimo definiva “arte commerciale”: nel senso che a differenza della arti maggiori ha bisogno di un pubblico, di un largo pubblico e non solo di una cerchia di aficionados, per svolgere il suo ruolo.

Secondo Lei scopo del design è “trasformare il destino di gadget in una opportunità per i consumatori, un’attività che deve essere paradossale, nel senso “para doche” a fianco della regola”?

L’esercizio del paradosso, cioè la capacità di lavorare sulla borderline tra mondo del possibile e mondo del non-possibile, di provare strade che normalmente l’industria di grande serie non può permettersi perché la giudica troppo rischiosa, è una delle caratteristiche fondative del grande design italiano.

E per fare l’imprenditore nel campo del design occorre essere un po’ “fuori dalle regole”?

Sicuramente bisogna essere paradossali: conoscere bene le regole ma appunto per infrangerle quando ne vale la pena.

Secondo Lei esiste ancora una “Cultura industriale italiana” oggi?

Non esistono credo diverse culture industriali: almeno quella della mass production e poi quella delle fabbriche del design italiano…

Oggi quanto la politica economica del Paese ha tarpato la spinta innovativa presente nell’Italia di qualche decennio fa?

L’assenza di una politica industriale da molti anni sta portando per esempio vicini alla scomparsa molti settori già connotanti del tessuto industriale italiano (ma anche europeo!)

Il governo Monti è quasi al termine del suo mandato, come considera questo anno di attività, tra decreti salva-Italia, cresci-Italia e spending review?

Al di la’ di alcune mancanze dò una valutazione altamente positiva, ci mancherebbe solo di lamentarci!

Alberto_Alessi_internoQuali le misure che si sente di suggerire all’esecutivo che arriverà il prossimo anno (qualunque sia)?

È per me troppo complicato tentare di semplificarle in questo contesto … di sicuro bisognerebbe proteggere almeno alcuni tipi di industrie europee del mondo delle arts & crafts (quelle che io conosco bene: a metà industrie e a metà artigiani: un savoir faire impareggiabile molto “nostro”, italiano e europeo, che ci sono voluti secoli per acquisirlo e bastano pochi anni per perderlo) e evitarne la scomparsa.

Chi merita fiducia?

Praticamente tutti gli onesti.

Il marchio Alessi è anche definito la “fabbrica dei sogni”: quanto è importante investire nell’innovazione?

Fondamentale, ancor di piu’ oggi.

Sentite il pressing e la concorrenza di marchi stranieri?

No (in fondo il nostro mercato è piccolo, ma esigente).

I prodotti cinesi quanto influiscono sul mercato del design?

Poco per la produzione di design di origine locale, ma sempre di piu’ per la produzione terziarizzata.

Che spazio hanno i giovani nel campo del design?

La competizione e’ altissima: ma tanto, se lo sanno andare a cercare.

La formazione italiana è idonea? Esistono secondo Lei delle eccellenze? C’è un collegamento tra il mondo del lavoro e quello delle Accademie?

Ce n’è sempre stato poco, e magari è proprio questa una delle ragioni dell’eccellenza del design italiano, che fino a poco tempo fa (ma ancora oggi) si apprendeva: 1) studiando architettura al politecnico, 2) facendo appredistato presso lo studio di un grande maestro preferibilmente milanese e 3) lavorando con l’industria senza la quale il design non può esistere.

Perché in Italia è difficile concepire l’arte e la cultura come un segmento produttivo?

Penso che fosse così qualche secolo fa, per esempio con le officine rinascimentali, poi si sono persi i riferimenti e la cultura è diventata quella della mass production …

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