«Io penso che bisogna essere diversi dai nostri genitori. Mio padre, per esempio, ha combattuto violentemente contro i tedeschi durante la guerra e ora dirige un Club Méditerranée. Lei sa, sono quei grandi camping in riva al mare… e ciò che è terribile è che lui non si rende assolutamente conto che è fatto esattamente… esattamente fatto sugli stessi schemi dei campi di concentramento.» Così rispondeva ad una giornalista Guillaume, contestatore interpretato da Jean-Pierre Léaud in La Chinoise di Jean-Luc Godard.

Era il 1967, il Sessantotto era alle porte. Godard descriveva un vuoto ideologico e confuso. La realtà ed il grottesco, lo spaesamento ed il conflitto tra generazioni sembrano gli stessi che gli anni Zero mostrano ogni giorno. Tempi di crisi, di tasca e di coscienza.

 

«We’re freezing our behind for free education»
Il Canada è un Paese che l’immaginario ha sempre relegato nell’angolo del progresso economico-sociale, quello che va dal basso tasso di criminalità ai matrimoni omosessuali legalizzati, fino alla solidità dello stato federale. Tutto è cominciato a Montreal lo scorso aprile: sono scesi in piazza gli studenti e gli scontri con la polizia sono stati durissimi. Tanti i ragazzi che protestavano contro l’aumento dei costi delle università, arrestati dopo aver invaso l’Hotel “Queen Elizabeth” e un negozio della città. È stato il culmine di un lungo periodo di proteste, durante il quale i giovani hanno bloccato strade, ponti e stazioni della canadametropolitana con il disperato tentativo di fare pressione sul governo provinciale del Québec affinché non vengano modificate le tariffe universitarie. La motivazione è semplice: a causa dei tagli, i costi di iscrizione all’università potrebbero aumentare di circa 254 dollari. Gli studenti del Québec godono della tassazione più bassa nel Paese (2.500 dollari annui), la proposta del governo prevede un aumento di 1.625 dollari tra l’anno accedemico 2012-2013 e quello 2016-2017. Una diluzione in sette anni, contro i cinque inizialmente previsti. Cui si sommano 39 milioni di dollari stanziati per borse di studio e un ampliamento del sistema di prestiti. Garazie che non soddisfano gli studenti canadesi, scesi in strada in circa 200.000, in sfilata pacifica al grido di «Ci scusiamo per il disagio. Stiamo cercando di cambiare il mondo». La polizia ha interrotto con violenza le proteste con gas lacrimogeni e spray al peperoncino per disperdere la folla. Nei giorni successivi, le dimostrazioni non sono terminate. I manifestanti hanno ideato forme di protesta ancor più originali. In primis, cortei in topless nei quali il corpo nudo è divenuto tramite di messaggi politici quali «Charest [Jean, Governatore del Québec] sono stanco di te» o «Sono pronta a farmi gelare il didietro per la gratuità scolastica». È significativo che questa nuova ondata di proteste sia arrivata il 9 maggio, il giorno successivo alle celebrazioni del premier Stephen Harper per il primo anno del suo mandato. I mesi di stallo sono ora tre, e le tasse universitarie sono diventate il grimaldello su cui far leva contro la politica conservativa ed austera di Harper. Che aveva promesso un cambiamento e invece continua a privilegiare gli affari delle grandi compagnie petrolifere alle politiche ambientali, chiudendo un occhio sulla libera circolazione delle armi (l’abolizione del registro nazionale, il cosiddetto long-gun registry) senza far nulla per controllare il crimine. Segni di una spudorata riverenza verso la monarchia britannica. Non desta sorpresa che ciò stia accadendo in Québec, dove i “federalisti” – da sempre per un Canada unito – auspicano provocatoriamente che la loro provincia diventi uno stato a parte, in netta presa di posizione contro il governo in carica, arrivato al potere grazie ai voti dell’Ontario e delle province occidentali.

 

«La educación no se vende… se defiende!»
Da Nord a Sud, cambiano le latitudini, non le motivazioni. In Cile dallo scorso marzo, migliaia di studenti sono tornati a marciare per le strade di Santiago dopo un 2011 a dir poco infuocato. Motivo delle manifestazioni, le proteste contro l’attuale sistema universitario. I cortei dell’anno passato erano riusciti nell’intento di far modificare l’apparato scolastico al governo di Sebastián Piñera, che ha dovuto cedere e approvare una riforma tributaria che prevede un fondamentale apporto governativo alle spese universitarie. chileL’esecutivo guidato dal leader della Coalición por el Cambio, ha infatti cancellato il Credito con l’Avallo Statale (CAE), formula che rendeva schiavi delle banche gli studenti meno abbienti (stimati in circa 350.000), i quali impiegavano anni di lavoro post laurea per ripagare i prestiti ricevuti – secondo le stime, una media di 100.000 dollari. Le banche sono state tagliate fuori dai prestiti, sarà lo Stato a gestirli, aiutando direttamente gli studenti a pagare le tasse. La riforma prevede anche una maggior copertura delle borse di studio, accessibili sin dalla selezione universitaria a seconda dei piazzamenti nei test d’ingresso (da 550 a 500 punti per accedere a una borsa) e un abbassamento dei tassi dei CAE già concessi. I ragazzi tuttavia non sono del tutto soddisfatti. Secondo i rappresentati dei comitati, il sistema educativo va riformato alla radice, aumentando sensibilmente la qualità dell’istruzione superiore, soprattutto pubblica. Le marce sono state organizzate dalla Confederazione degli studenti cileni, che giudica inadeguata anche una recente proposta di legge che ridurrebbe i tassi di interesse per i prestiti agli studenti dal 6 al 2%. Simbolo di questa protesta è Camila Vallejo, ventitreenne leader del movimento dei giovani cileni, diventata ben presto star della comunicazione globale. In un’intervista rilasciata a Il Fatto Quotidiano, Camila è molto chiara sulle motivazioni delle proteste: «Negli ultimi 21 anni, molte mobilitazioni degli studenti hanno posto le basi per la costruzione del processo in atto perché hanno messo in evidenza progressivamente la crisi che attraversa il settore educativo. Un passo in avanti fondamentale è stata l’aggregazione dei diversi attori sociali del mondo educativo che hanno avanzato le loro proposte e, mentre i giorni passavano, il progressivo appoggio di tutta la società che ha fatto proprie le nostre proposte. Credo che questo vasto appoggio alle rivendicazioni per un’educazione pubblica, gratuita e di qualità abbia molto a che vedere con il fatto che i cileni sono stanchi di un modello neoliberista imposto dalla dittatura e consacrato dai governi della Concertazione. Siamo stanchi di indebitarci per ottenere il rispetto di diritti fondamentali: l’educazione, la salute e la casa.» Il 26 aprile erano oltre 50.000 per le strade di Santiago, Valparaiso e Concepcion. Harald Beyer, ministro dell’Istruzione, ha annunciato la creazione di una nuova agenzia che faccia da fondo statale per l’educazione. L’attesa è molta. Gabriel Boric, nuovo presidente del FECH (Federación de Estudiantes de la Universidad de Chile), si è mostrato cauto: «Studieremo questa proposta nei dettagli – siamo abituati a “termini e condizioni” del governo – ma ci sembra una reazione positiva.»

 

«Es una estafa, no es una crisi»
È trascorso un anno esatto dal 15 maggio 2011. Data che rimarrà nella memoria di molti, perché per la prima volta dai tempi di Franco è nato un movimento di cittadini che dal basso protesta contro il governo di fronte alla grave situazione economica in cui versa il Paese. Un anno dopo, in ottanta città della Spagna gli indignati sono tornati in piazza a migliaia. La risposta del nuovo governo di destra guidato da Mariano Rajoy non si è fatta attendere: divieto di occupazione dopo le 22 e 5 ore di assemblee giornaliere consentite. I tantissimi giovani che hanno affollato le piazze di Madrid, Barcelona, Bilbao, Malaga, Siviglia – per citare le maggiori città iberiche – non si sono lasciati intimidire. I diversivi sono molti, dalla proiezione spagnadi video ai concerti in streaming mondiale, dalla lettura di proclami e manifesti ad emozionanti momenti di silenzio e raccoglimento. Un’onda lunga che dalla Spagna si è propagata sino a Roma, Atene, Parigi, Bruxelles, Berlino, Francoforte, Londra, Tel Aviv, Washington, Rio de Janeiro, Città del Messico, Caracas, Sidney e Mosca. In particolare nella capitale russa, l’epilogo è stato repressivo: il campo dei giovani manifestanti anti Putin (situato sulla centrale Chistye Prudy boulevard) è stato sgomberato a sorpresa la notte del 15 maggio. Gli agenti anti sommossa sono arrivati all’alba intimando ai dimostranti di abbandonare la zona, in base ad una decisione del tribunale che ha accolto le denunce di alcuni abitanti per disturbo della quiete pubblica. Se in Russia è lotta contro la corruzione e un ricambio politico che pare immutabile, in Spagna i ragazzi scesi in strada hanno fatto un punto sul movimento, ribadendo gli aspetti centrali della loro politica: istruzione e sanità pubbliche di qualità, no al lavoro precario, pensioni e salari minimi garantiti, pagamenti degli stipendi arretrati. Quelle celebrative del 15 maggio sono l’ultimo anello di una catena che aveva iniziato a girare già dal 29 aprile scorso, quando migliaia di persone erano in piazza contro le nuove misure di austerità annunciate dal governo. Al centro del dibattito, sanità e istruzione. Per abbattere il deficit dall’8,51 al 5,3% (come imposto da Bruxelles), il governo Rajoy ha approvato una manovra che ha tagliato 7 miliardi di euro dalla salute (farmaci divenuti a pagamento, svanito il diritto per gli immigrati irregolari di accedere a cure mediche – urgenze e pediatria a parte) e 3 dall’istruzione (aumento del 50% delle tasse universitarie, autorizzazione ai governi regionali per espandere le classi del 20%). E mentre cresce l’attesa per l’approvazione da parte del consiglio dei ministri di una nuova stretta sul sistema bancario, le misure di austerity non fanno altro che far aumentare l’inflazione. Come ha scritto Paul Krugman sul New York Times, «quello che è chiaro è che ancora più austerità non serve a nulla se non a rafforzare ancora di più la spirale discendente e ad avvicinare l’eventualità di una catastrofe vera e propria. Lasciate perdere la cinghia.» Tutto questo nei giorni in cui l’opposizione sociale si prepara per ritrovarsi unita a Francoforte schierata contro la BCE. La Blockupy Frankfurt ha già subito sgombri e duri attacchi dalla polizia. «Occupy è il primo movimento globale dopo i controsummit globali della fine degli anni 90 e primi anni 2000», ha dichiarato il giovane attivista Alex Foti a L’Espresso. «Non comprende solo la sinistra movimentista, associazionista o sindacale come il movimento di Genova, ma ampi settori della classe media e soprattutto i giovani studenti e precari che si mobilitano in base a valori di democrazia radicale e per il rigetto delle élite finanziarie e politiche che hanno provocato la crisi.»

 

Bersih: Walk for Democracy
Dall’altro capo del mondo, le cose non sembrano così diverse. Dalla fine di aprile, nella capitale Kuala Lumpur, la Malesia è in piazza pacificamente contro il governo, per chiedere elezioni libere e giuste. Il nome del movimento, soprattutto giovani studenti universitari, è Bersih 3.0. Già dichiarati illegali ai tempi delle proteste del 2007 e del 2011, quando Bersih 2.0 aveva forzato il primo ministro Najib Razak a tentare la strada (mai intrapresa) delle riforme, i componenti di Bersih hanno occupato in 80.000 piazze e strade, per poi essere aggrediti con lacrimogeni ed idranti dalle forze di polizia. La prossima tornata elettorale malesiadovrebbe essere a giugno. La coalizione del Fronte Nazionale e dell’UMNO – al potere da oltre 50 anni – ha perso una buona occasione. Dettagli inquietanti emergono dai dati dei blog, dai post sui social network e dai video caricati in rete: comunicazioni spesso bloccate con emettitori di interferenze per impedire il libero flusso di informazioni; stazioni della metropolitana chiuse nelle aree di maggiore affluenza; Dataran Merdeka (luogo fulcro della manifestazione) recintata con il filo spinato. Le t-shirt gialle di Bersih sono ormai un simbolo in Malesia. Il movimento è una coalizione di 62 organizzazioni non governative. Le richieste – una maggiore trasparenza nel sistema elettorale e meno corruzione in politica – sono riassunte in otto punti: ripulire le liste elettorali da nomi fittizi (deceduti, persone registrate più volte con lo stesso indirizzo, candidati inesistenti); riformare il sistema di voto, soprattutto per chi vive all’estero; usare inchiostro indelebile per evitare la compravendita dei voti; un minimo di 21 giorni di campagna elettorale (nel 1955 durò 42 giorni, nel 2008 soltanto 8); accesso libero ed equo ai mass media; rafforzare le istituzioni pubbliche, specie quelle di controllo, garantendone l’indipendenza e l’imparzialità; fermare la corruzione; voltare pagina con la politica sporca e collusa. Intervistata da Al Jazeera, la giovane manifestante Rachel Chia ha raccontato: «La libertà dei mezzi di comunicazione è una delle richieste di Bersih. Non esiste una stampa libera in Malesia, i giornali e le televisioni danno soltanto informazioni filtrate. Si limitano a stampare e a mostrare alla gente ciò che loro vogliono farci sapere.» Per ora non è prevista una Bersih Walk 4.0, tuttavia i prossimi appuntamenti saranno due grandi eventi. Il primo è “Come out and vote, fight the fraud”, campagna di sensibilizzazione per ridurre al minimo presunti tentativi di manipolazione del voto. Il secondo è “Jom Pantau!” (“Let’s Monitor!”), iniziativa che coinvolge attivisti e volontari per formare gruppi di controllo ai seggi. Ultimo exploit del fenomeno in ordine di tempo è datato 15 maggio: a Londra per un meet-and-greet con gli studenti malesiani residenti in Gran Bretagna, il premier Najib si è visto interrompere dall’irruzione di alcuni attivisti di Bersih. La domanda ricorrente rimane sempre la stessa: «Voglio votare, perché non mi permetti di farlo?»

 

I video della protesta:

– Montreal 7 marzo: http://www.youtube.com/watch?v=dlkARTxw7tA&feature=related

– Santiago 15 marzo: http://www.youtube.com/watch?v=MyoqjOUrQuw

– Intervista di RaiNews a Camila Vallejo: http://www.rainews24.rai.it/it/video.php?id=26473

di Puerta del Sol, durante la mezzanotte tra il 12 ed il 13 maggio 2012: http://www.youtube.com/watch?v=RK-qDAmpz7A

– Dura reazione della polizia contro i manifestanti malesiani il 28 aprile 2012: http://youtu.be/K6qIsutY2wM

– A Londra, attivisti di Bersih irrompono durante discorso del premier Najib: http://youtu.be/d2WLdhbapSk

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