E’ stato sicuramente il migliore festival degli ultimi vent’anni. E la grande novità è stata la conduzione disinvolta della coppia Littizzetto Fazio che ha superato per sempre l’orrore del conduttore parruccone (per salvaguardare una tradizione che non corrispondeva più a nessuno) e la modella con gli abiti da esaltare, la liturgia dei complimenti di lui su quanto fosse bella e da ammirarsi, altalenando tra ammicchi e piccoli assist per suggerire che le donne anche quando sono belle sono perfino brave e possono pensare (delle cose previste dagli autori, ovvio).

Uno spettacolo tristissimo che negli anni passati, speriamo per sempre, aveva il contraltare delle ministre e parlamentari vallette designate dal capo. La formula uomo ammiccante-donna scema escludeva perciò un pubblico immenso.

Quest’anno è stata Luciana Littizzetto e il “ coraggio” Rai a costruire il rapporto conduttore e conduttrice, mantenendo così il pubblico tradizionale e coinvolgendo quello di Rai Tre.
Ma siamo sicuri che è ancora un’immagine moderna, o è solo l’ennesima fotografia della nostra arretratezza?

Tre almeno i punti: il tipo di uomo che ha in mente Littizzetto. Tristissima oltre misura quell’elencazione di tipologia di uomini che non si lavano mai (ma chi sta con uno che non si lava?), si sporcano come ragazzini (peggio per loro), non sono capaci in cucina (mica vero),   dimenticano i compleanni (può succedere) non ti guardano ( e allora arrivederci), non ti pensano… (forse è il caso di salutarsi) “ma vi amiamo lo stesso”. E siamo dunque all’amorevole considerazione della donna, bruttina (per continua autodefinizione), che accetta il quotidiano squallore del compagno.

Il secondo, la necessità di farsi infantile. Ogni volta che dice qualcosa di forte, Littizzetto non è mai il giullare ma deve rientrare nei panni della monella alla quale è concesso tutto con la gentile supervisione bonaria dell’uomo accanto. E poi è così necessario tenere il discorso sempre sulla linea cacca-piscia-culo?

Ma il terzo punto, quello fondamentale, riguarda la bellezza, il desiderio e lo sguardo dell’altro che in Italia in modo particolare per come la politica si è intrecciata al marketing e al sesso è un punto cruciale legato all’affermazione delle donne nel lavoro e all’accettazione di se stesse. Quanto ancora si deve aspettare per vedere in video o in politica una donna o bella o brutta senza la necessità di fare sempre il punto sul suo aspetto fisico come dato principale? Perché anche Neri Marcoré a Ballarò è caduto nel trabocchetto di Mara Carfagna e anziché criticarla, anche duramente come ministra, ha ripreso la solita unica cosa che le si rinfaccia “ meno male che c’è la Carfagna che fa alzare il voto”?

La comunicazione di Littizzetto si è concentrata insistentemente su questo nodo (anche lei ricordando che con le belle si alzano gli ascolti e “altro” ) senza mai scioglierlo, ma stringendolo ancora di più intorno al dilemma: se sei bella non pensi, se pensi non sei bella. Puoi essere ironica, però. Un continuo, perfino ossessivo, richiamo a se stessa che non è attraente, che è bassa,   che si deve contrapporre alle “fighe” per le quali prova un filo di invidia. E del resto non sono mai mancate le modelle per ricordare che il punto è sempre quello. Così la necessità di scegliere tra bellezza e intelligenza non si consuma nello spazio di Sanremo, ma incarna la vera costante per le italiane. Se pensano, devono in qualche modo rinunciare al corpo, alla sua cura e alla bellezza. Un’oscillazione monotona e fragilizzante di sguardi come se anche l’intelligenza non avesse un corpo, un erotismo, un fascino e come se il corpo non avesse un’intelligenza e una sua comunicazione, e come se tutto fosse legato all’unicità di un canone solo, maschile formattato, e comunque pubblicitario, mai corrispondente al vero. E soprattutto come se non si potesse essere intelligenti e pure belle. Questa oscillazione irrisolta e fittizia condanna alla perenne richiesta di ratifica nello sguardo altrui e alla perenne insicurezza: guardami ho un corpo. Ti sei accorto? Dunque esisto. Oppure l’opposto: sei bella ma non te lo dico perché sei femminista e potresti arrabbiarti. Perché se ti dico che sei bella significa che non sto apprezzando la tua intelligenza.

Per questo le reazioni femministe che sono gli unici anticorpi di modernità che può generare il paese passano ancora così poco e male nell’ambiente maschile. Per questo “ femminista” in Italia ha un retrogusto negativo e finisce per diventare inefficace. Vuol sempre dire “ donna brutta, irrealizzata, frustrata”.

A parziale conferma di questo, il contestuale flash mob planetario contro la violenza sulle donne organizzato anche sul palco dell’Ariston. Una trovata di comunicazione mondiale che in Italia ha avuto solo la connotazione di genere. Solo le donne, cioè le vittime della violenza maschile, “ballano” in segno di protesta. Ancora là, relegate in una posizione di rivendicazione, che non penetra l’universo maschile che è quello responsabile.

Sono candidate a sindaco di Parigi sei donne, tra i quaranta e i cinquanta anni, di innegabile fascino. Di loro si parla discutendo di programmi e di politica.

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