Alcuni giorni fa il notissimo hotel Danieli di Venezia è stato protagonista, su tutti i quotidiani regionali e nazionali, di una grottesca vicenda di cronaca. Un facchino egiziano pare si sia rifiutato di ricevere ordini da una sua superiore perché donna, e pertanto avrebbe deciso di licenziarsi. La direzione avrebbe rifiutato le dimissioni. Questa di per sé sarebbe “la” notizia: un lavoratore che si vuole licenziare e invece glielo impediscono. L’altra notizia è che sempre la Direzione, dopo averlo trattenuto avrebbe accettato che gli ordini venissero allora mediati da un uomo. E questa è una super notizia: il rispetto della Direzione del Danieli per il lavoratore, a qualsiasi livello, è tale da accettarne anche le bizze personali, al punto di pagare anche qualcosina in più, o far sì che un altro lavoratore perda tempo a mediare ordini come “porta le valigie in camera”.

Il direttore del Danieli ha comunque smentito e si è detto pronto a dialogare con questa persona, per cui ad oggi l’intera vicenda si basa su un “ si narra”. Che significa anche che qualcuno l’ha voluta narrare. Ciò che importa in questa sede non è più la veridicità del fatto ma come l’ipotesi di un tale accadimento sia stata letta, manipolata dalla politica, da quali figure, e in che modo sia rimbalzata nei media e entrata nella comunicazione, peraltro con grave danno di immagine per l’hotel Danieli. Si è infatti scatenata una valanga di reazioni alla testa delle quali c’è la deputata del Pdl, la marocchina Souad Sbai che, cavalcando di mestiere le politiche securitarie anti immigrazione   del centro destra e della Lega, in parlamento ha il ruolo di musulmana indignata per fattacci compiuti da altri musulmani, dai più macroscopici ai più infimi, che sono tanti quanto quelli dei cattolici. Solo che si vedono di più perché gli autori sono immigrati e musulmani. Del resto, in azioni di questo genere la religione c’entra solo se inserita in un quadro di sottosviluppo, ignoranza, credenze popolari, tradizioni oscurantiste. Ma il compito e lo schema di “azione politica” di Souad Sbai è ricollocare ogni azione compiuta da un arabo nell’ambito della religione. Dopo di che si indigna e passa ai giornali e tv che è la parte che le preme: qui   annuncia interrogazioni o chiede dimissioni peraltro servendosi di neologismi a vanvera come “ il multiculturalismo criminogeno”. Nella fattispecie la deputata minaccia interrogazioni al ministro del Lavoro Elsa Fornero, quello della Cooperazione Andrea Riccardi perché facciano chiarezza sulla vicenda, che anche se non si sa neppure se sia vera è sufficientemente il linea con le farneticazioni del Pdl da essere cavalcata a garanzia di futuri posti in parlamento.

Una volta sollevato da una donna politica di religione musulmana del parlamento italiano “il caso di religione e immigrazione” i media si sentono in dovere (secondo il principio “se lo dice lei, sarà vero” ) di chiedere conto a qualche Imam, quello di Venezia nel nostro caso, il quale ovviamente ricusa le gesta del fedele e smentisce che la religione abbia mai previsto nulla del genere. E infatti all’ Imam Hammad Mohammed, caduto anche lui nel trappolone Sbai, non gli tornano i conti nella storia del facchino: “Non capisco per quale motivo questa persona (cioè il facchino ndr.) abbia voluto legare una vicenda che è del tutto personale con la religione islamica. Come possiamo dire che un musulmano non può lavorare agli ordini di una donna se lo stesso Maometto ha lavorato per anni per conto di una donna, quella che poi sarebbe divenuta sua moglie, Khadija. Per anni ha preso soldi da lei e ha agito per suo conto. Nulla nel Corano o nella tradizione profetica vieta a un uomo musulmano di avere una donna come capo. Non troviamo versetti in merito. Per quanto riguarda invece il versetto 228 della seconda sura del Corano, usato dagli estremisti salafiti per giustificare questo genere di posizione (“Gli uomini sono un gradino superiori di esse”), spiega l’Imam: “Questo versetto parla del rapporto tra marito e moglie all’interno della coppia e si riferisce unicamente alla forza fisica dell’uomo e della donna e non ai rapporti interpersonali e nella società. Ci possono essere donne che sono superiori agli uomini per fede o per altro”.

Ma la mostruosità della storia, che ne svela tante altre, oltre che nella manipolazione vigliacca da parte di Sbai sta nel fatto che il facchino accusato di discriminazione si sia voluto licenziare. In realtà questo sarebbe un gesto di grandissima libertà e responsabilità e che suggerisce l’assunto: non sopporto che una donna mi dia degli ordini, per mille ragioni mie, comprese quelle stimate abiette dalla collettività, e pertanto mi licenzio. Cioè se non sopporto i neri e non vado in Africa…sono un razzista, ma non opero nessuna discriminazione razziale rilevabile a nessun livello, poiché io mi limito a vivere la mia posizione razzista e a non imporla a nessuno. Viceversa se non assumo una persona perché è di colore, o la pago meno, o la sfrutto come avviene spessissimo in Italia con gli immigrati, è una gravissima discriminazione razziale. E via di seguito. Ugualmente se un uomo, per giunta in un ruolo di inferiorità nella scala gerarchica del lavoro, decide di andarsene perché non tollera ricevere ordini da una donna, possiamo considerarlo uno sciocco, un misogino, ma sta semplicemente esercitando la sua libertà di fare quello che crede, visto che non impone assolutamente nulla a nessuno. Ma anzi la sua stupidità non crea danni se non a se stesso. Diversamente dalle politiche misogine italiane che creano danni a tutte le donne e anche al paese e alla sua economia.

E sempre sulla stessa linea è ben diversa la misoginia di questo facchino egiziano, probabilmente anche animata dalla religione e da una sua cattiva interpretazione, da quella di far licenziare una donna, magari perché è incinta, esattamente come avviene a migliaia di italiane precarie. E’ ben poca e innocua cosa la scelta libera e personalissima dell’egiziano rispetto al senato della Repubblica che boccia l’emendamento che prevede la parità di genere nelle rappresentanze elette al Senato. E’ ben poca cosa rispetto alle fallite proposte di introduzione di quote di genere nei consigli di amministrazione, impedendo sin dalle origini alle donne di esercitare il potere. E’ ben diverso da politici uomini che si occupano o fanno carriera come Magdi Allam, sulla libertà delle donne intervenendo sulla 194. Queste carenze citate sono appunto oggetto delle battaglie delle femministe. E Sbai anche qui si indigna che le “veterofemmiste” (ancora parole a casaccio), che si occupano di libertà di tutte, non si uniscano all’idiozia della sua battaglia.
Nemmeno la Santa Inquisizione sarebbe arrivata a un livello di ingerenza su una scelta libera e personale. Manco a dirlo Libero si è precipitato pure lui a indignarsi della libertà dell’arabo.
Così la la storia del facchino si discute nelle aule della Regione Veneto. Prende posizione l’assessore al Lavoro Elena Donazzan : «Avrei preferito che si licenziasse lasciasse il posto ad un italiano magari padre di famiglia, più rispettoso della nostra civiltà e cultura e magari fosse tornato a casa sua a prendere ordini da un uomo». Fortunatamente invece il facchino non segue la nostra sottocultura in fatto di donne, e non impone niente a nessuno. E siccome l’idiozia è spesso bipartisan anche la capogruppo del Pd Laura Puppato si precipita: «Il facchino musulmano non ha titolo per discutere la nostra Costituzione. Una notizia che ci riporta a tempi bui, quando l’inferiorità della donna era un teorema indiscusso». Fino all’esilarante dichiarazione di Luca Zaia:   “è offensivo per i nostri 152 mila disoccupati”.
E chissà cosa avrà mai pensato Zaia di Renzo Bossi e dei milioni di disoccupati laureati in Italia.

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