“Lasciamo l’euro e lasciamo l’Unione europea!” Questo sì che è uno slogan che infiamma i cuori per un rinnovato amor di patria e ci ricorda i bei tempi dell’autarchia, quando l’Italietta avrebbe sconfitto le potenze plutocratiche.

La verità, purtroppo, è ben diversa e rende incomprensibile che  qualcuno pensi di competere così con i colossi dell’economia mondiale, vecchi ma soprattutto nuovi: con gli Stati Uniti, il Giappone, la Cina, l’India, la Russia, per citarne solo alcuni. Sarebbe una competizione già segnata, per le  dimensioni economiche e sociali dell’Italia o peggio ancora della Padania, della Sicilia o della Brianza che verrebbero spazzate via con la noncuranza con cui si scaccia un moscerino, senza nemmeno avere l’arma della disperazione, il  “too big to fail”, troppo grandi per fallire.

“Restiamo nell’Unione europea ma usciamo dall’euro!”, gridano altri, con l’intento di riprenderci la nostra sovranità monetaria che tanto bene ci ha fatto vivere negli ultimi decenni del secolo scorso.  Questa soluzione sottende la volontà di proseguire bellamente con l’andazzo di quel periodo: svalutiamo la moneta, così le imprese vendono a prezzi più bassi e si affermano sui mercati internazionali. Il meccanismo soffre però di qualche controindicazione. La prima è l’errore grave che le nostre imprese siano indotte ad imporsi sui mercati non grazie alla migliorata qualità dei loro prodotti ma al fatto che questi costino poco. Affidarsi a prezzi artificiosamente più bassi è un vicolo cieco che porta all’impoverimento del tessuto imprenditoriale con sistemi di produzione ben presto irrimediabilmente obsoleti.  In aggiunta una moneta fragile, come la rinnovata liretta, con il suo scarso prestigio e la svalutazione competitiva, porterebbe ad una falcidia su stipendi e pensioni che si valuta tra il 40 e il 60%. Ciò vuol dire che quanti intendono  uscire dall’euro devono essere disposti a vedere il proprio reddito da lavoro o pensione decrescere da 1000 euro a 600 e, nella peggiore delle ipotesi, a 400 euro. Per di più nessuno ci assicura che gli utili aziendali ottenuti dalla svalutazione tornino in Italia o peggio, non vengano impiegati al fine di  delocalizzare; per non parlare del costo delle materie prime che diventerebbe insopportabile in un paese che ne è privo

Infine ci sono quelli che: “sì, restiamo nell’UE ma allentate i vincoli, consentiteci di incrementare il debito pubblico, sia pur per obiettivi diretti alla ripresa”. Per ottenere questo allentamento è ovviamente necessario avere credibilità. La credibilità che le deroghe abbiano durata limitata nel tempo, che siano seguite da provvedimenti effettivamente diretti a indurre la crescita e che subito dopo diano l’avvio a procedure di rientro ancora più ferree di prima. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che il debito pubblico è un mostro che divora chi si affida ad esso. Un mostro che in Italia ha superato ogni limite tollerabile. Il giochino fondato su svalutazione e debito, che ci ha beneficato dal dopoguerra alla nascita dell’euro,  facendoci vivere ben al di sopra delle nostre reali possibilità, è ormai improponibile perché abusato e letale.

E poi non si può uscire da questa Unione che, come argent de poche, ci ha donato 70 anni di pace, quanti mai l’Europa ne  ha visto nella sua storia. Un dono prezioso  che non può considerarsi come ovvia e scontata  banalità; basterebbe a confermarlo quanto sta succedendo in Ucraina.

Dalla Comunità Europea non si può uscire ma invece lottare per migliorarla e in primo luogo perché sia espressione dei popoli e non dei governi; per dirla in altre parole solo gli organi usciti da elezioni europee dovrebbero avere voce in capitolo sui nostri destini; così da non assistere più a  decisioni, vincolanti per tutti, prese nel chiuso di una stanza dai due o tre capi di stato più influenti.
Eppure adesso si offre all’Italia  un’opportunità da non perdere. Dietro l’incalzare di una crisi di proporzioni bibliche e la rabbia di quanti ne subiscono terribili conseguenze, può nascere una società nuova, consapevole che le scorciatoie portano al nostro momentaneo vantaggio ma poi danneggiano anche noi; che è prezioso valorizzare i motivi dello stare insieme accantonando quelli che dividono; che corrompere, rubare, fregarsene del bene comune, tollerare o concorrere alla criminalità sottraggono la vita a noi e ai nostri figli e nipoti.
Insomma non sprechiamo questa preziosa occasione per fare degli italiani un popolo serio che contribuisca con gli altri ad una Europa migliore in un pianeta migliore.

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