La Merkel è stata infatti messa all’angolo dalle minacce di veto di Italia e Spagna, cosa che non era mai successa durante l’intera storia dell’Unione, in un vertice durato fino alle cinque del mattino.

I provvedimenti adottati puntano sostanzialmente a ridimensionare il peso delle politiche di austerity nei confronti degli Stati in cui lo spread continua a traballare. Implicitamente è passata l’idea che la tendenza crescente dei tassi d’interesse non può essere solamente un problema nazionale di contenimento dei conti pubblici, ma coinvolge il sistema europeo nel suo complesso. Se guardiamo alla storia dell’euro, siamo dunque di fronte una piccola rivoluzione nei confronti della linea dominante imposta da Berlino a partire dal lontano 1992: nessuno si salva da solo, quindi servono meccanismi comuni tali da garantire la correzione degli squilibri. In questo quadro, anche la Merkel ha capito che cedere su alcuni punti non vuol dire arrendersi al malcostume finanziario dei paesi periferici, ma serve a salvare l’intera area da mali ben peggiori.

Il nodo centrale del vertice è stato senza dubbio il funzionamento del fondo salva-stati, su cui Monti ha preteso modifiche rilevanti. Come avevamo scritto di recente su questo giornale, lo strumento era affetto da troppe carenze strutturali. L’eccessivo peso delle condizioni sul controllo dei conti pubblici, fortemente volute a suo tempo dalla Merkel, ne comprometteva di fatto l’efficacia: l’adozione di misure troppo restrittive in cambio di aiuti finanziari deprime ulteriormente l’economia, peggiorando la posizione dei governi nei confronti dei mercati già poco fiduciosi. L’idea di Monti è stata dunque di spezzare questo circolo vizioso, utilizzando i fondi disponibili per acquistare direttamente titoli di stato dei paesi in difficoltà. Il risultato finale è stato molto soddisfacente, nonostante l’iniziale “no” secco da parte della Germania dei giorni precedenti ed il parere negativo della Commissione, per cui tale misura rappresentava solamente un “paracetamolo” per l’economia.

Da questo momento il “nuovo” Meccanismo di Stabilità Europeo (ESM) potrà acquistare titoli in modo diretto, previa presentazione alla Commissione di un “Memorandum of Understanding” (una specie di accordo formale) da parte dello Stato Membro. Non sarà dunque più necessaria l’adozione di misure di bilancio, specie quando le Leggi stabilità sono in linea con gli obiettivi di medio termine concordati con Bruxelles: è il caso dell’Italia, per cui dopo le manovre del 2011 non sarebbe stato possibile accettare nuove imposizioni. Monti avrebbe voluto un meccanismo più automatico, per cui il fondo interviene ogni volta che lo spread supera un limite prefissato, ma su questo punto la Germania è stata inflessibile, ritenendo comunque necessario un certo grado di partecipazione da parte del paese interessato. Questo scenario era peraltro condiviso dal governatore della BCE Mario Draghi: l’istituto di Francoforte aveva svolto fino ad ora lo stesso ruolo, comprando titoli “rischiosi” sul mercato nel tentativo di calmierare i tassi d’interesse.

Il secondo punto di svolta riguarda gli aiuti alle banche. Ad oggi il sistema creditizio è considerato un affare nazionale, per cui le crisi di liquidità vanno affrontate con soldi pubblici dei singoli paesi, che in caso di difficoltà dovrebbero rivolgersi al fondo salva-stati. In questo modo il debito privato si trasforma in debito pubblico, come è successo all’Irlanda nel 2008 quando è stata costretta a prendere il controllo dei quattro principali istituti di credito del paese (quadruplicando il proprio debito). Il blocco era essenzialmente formale, in quanto le istituzioni finanziarie europee possono erogare prestiti solo ai governi e non alle singole imprese o individui. Il progetto, fortemente voluto dalla Spagna, consiste dunque nello smantellamento di questo ulteriore circolo vizioso: se i fondi EFSF/ESM vengono messi in condizione di prestare denaro direttamene alle banche, i debiti sovrani non dovrebbero risentire delle posizioni pericolose assunte dai propri istituti. Tale misura non vedrà comunque la luce nel breve periodo, perché la Germania pone come condizione necessaria la creazione di un’autorità di vigilanza europea che possa garantire il corretto utilizzo dei fondi erogati. La richiesta sembra legittima, anche se molti vorrebbero accelerare il passo affidando alla BCE tale ruolo. Sempre sul fronte degli aiuti, è stata adottata un’altra decisione importante: fino ad ora era attiva la clausola del “creditore privilegiato”, per cui in caso di default un paese era costretto a rimborsare in via prioritaria il fondo salva-stati, poi i creditori privati tra cui banche e singoli cittadini. Tale meccanismo alimenta le tensioni dei mercati, lasciando di conseguenza crescere i tassi, poiché in caso di difficoltà finanziaria diminuiscono le probabilità di rimborso.

Passano invece in secondo piano le misure a sostegno della crescita, ma forse non poteva essere altrimenti. Il Consiglio ha approvato un piano da 120 miliardi di euro, anche se non sono descritte le misure specifiche: si parla di sviluppo energetico, riforma del mercato interno, mobilità dei lavoratori e riduzione della burocrazia. La sensazione è che non ci sia una reale volontà di spingere la crescita a livello europeo, poiché le necessità sembrano troppo distanti e nessuno ha voglia di impelagarsi una situazione che potrebbe facilmente generare nuovi conflitti. PIL ed occupazione restano tematiche nazionali e probabilmente lo rimarranno ancora per molto tempo: l’Europa, per come è disegnata al momento, può fare ben poco in questo senso, mentre i governi potrebbero fare molto di più.

Per dare seguito alle proposte approvate in questo Consiglio sarà importante soprattutto non perdere tempo. Monti ha chiesto di implementare le misure già a partire dall’Eurogruppo del 9 luglio, per non sprecare i segnali positivi che già oggi stanno arrivando dai mercati: le borse hanno aperto tutte in forte rialzo, mentre lo spread tra Italia e Germania si è ridotto fino a sfiorare i 400 punti base. Gli operatori stanno dunque premiando il nuovo indirizzo europeo, fatto di minore austerità e maggior condivisione del rischio, essendo ormai chiaro che la navigazione solitaria non è una soluzione percorribile. La Germania, dal canto suo, ha ancora la possibilità di mantenere la propria egemonia, cambiando strategia e facendosi garante dell’unità europea, senza la quale perderebbe gran parte della sua attuale potenza economica.

conclusioni_consiglio.pdf

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