Da qualche giorno un gruppo di addetti ai lavori di produzione e post produzione di Cinecittà, ha iniziato un’occupazione, prima all’interno del complesso di teatri di posa, poi nella zona immediatamente antistante. La protesta, che ha come ragione principale quella della perdita del posto di lavoro di centinaia di dipendenti, dislocati, affittati a altre società e privati di diritti, è però solo l’effetto di una causa ben più grande cioè il processo di appropriazione e successiva distruzione di pezzi dell’industria culturale (che già non se la passava benissimo) da parte di pochi privati.

Il disegno di privatizzazione di Cinecittà è iniziato con Rutelli nel ’97 e da allora è stato un lento processo di svuotamento di significati. “Ormai si sono anche stancati di fare finta che la missione di Cinecittà sia il cinema” ha affermato Alessandro Renzi, uno degli occupanti. E se il cinema è un’industria, questa non è stata sostenuta in alcun modo. Prima sostituita con la televisione commerciale, oggi è la I.E.G. (Italian Entertainment Group) dell’ex capo confindustria Luigi Abete che si sta impadronendo del più prestigioso polo di produzione cinematografica in Europa per trasformarlo nel più poderoso simbolo della vendita di intelligenza e di creatività di un paese mai concepito in Italia. Una razzia simile solo a quella della Wehrmacht che nel ’43 si era acquartierata negli studi di Cinecittà e si portò via le attrezzature. “Allo scopo di salvaguardarle” dissero. In realtà molte erano finite negli studi Barandov di Praga come preda bellica dei tedeschi.

Così al posto degli attuali 22 teatri di posa sono previsti alberghi ristoranti, spa, attrazioni e altri obbrobri cementizi. Il perché di questo modo “per rilanciare Cinecittà” l’aveva spiegato l’amministratore delegato di Cinecittà Studios e anche segretario generale di Anica (l’associazione che rappresenta produttori e distributori cinematografici) Lamberto Mancini intervistato da Presa Diretta (Rai tre, “La cultura a fondo”, 26 /02/2012). L’Ad, che minaccia di diventare pure direttore della Festa del Cinema di Roma, con acume osservava: “Non è vero che è una speculazione edilizia, noi stiamo facendo questo perché quando vengono le produzioni dall’estero, ci chiedono gli alberghi per le troupe e noi dobbiamo sempre rispondere che no, non ne abbiamo”.

E insomma per non fare questa brutta figura la I.E.G., che ha fagocitato le due preesistenti Studios e Digital Factory, ha appunto iniziato un lento e inesorabile piano di svuotamento degli studi più famosi al mondo, dislocamento delle maestranze che si sono formate in anni di lavoro, e conseguente dismissione industriale annunciata – a quanto dicono gli occupanti – in modo totalmente ricattatorio. “ Abete ci ha detto: queste sono le condizioni. O accettate o vi prendete la responsabilità del licenziamento dei vostri colleghi”.

Il processo, preparato negli anni, è dunque ora allo stadio manifesto. All’interno degli spazi di Cinecittà è stato allestito un museo che si visita in un’ora con un’ affluenza derisoria e sicuramente insufficiente a giustificare qualsiasi tipo di trasformazione. L’ingresso principale di via Tuscolana, quello storico appunto riservato ai lavoratori del cinema (dai registi ai produttori alle troupe, attori etc) serve unicamente da ingresso per i visitatori del museo, mentre l’ingresso per chi lavora è dirottato in una porticina sul retro. Gli studi che mantengono le ricostruzioni di Roma antica e in cui sono state girate le serie dell’ HBO, “Rome” si affittano al cafonal internazionale: arabi e russi celebrano i loro matrimoni e si fanno convenscion di ogni tipo.

All’interno delle mura, ancora qualcuno resiste come il grande scenografo De Angelis mentre le sue opere cadono a pezzi. Le produzioni televisive che erano state ottimo sostentamento dei teatri di posa sono state mano a mano mandate via, con una politica di rialzo dei prezzi dell’affitto. Pertanto, Maria De Filippi che portava alla sopravvivenza di Cinecittà tre milioni di euro l’anno è tornata agli studi Elios di proprietà Mediaset. Anche se fa un po’ impressione rimpiangerla (anche perché fa parte della lunga filiera di concause che hanno portato a questo) è però indicativo della politica adottata da Abete di portare Cinecittà al fallimento per autorizzarsi la conversione a suo vantaggio. Con l’appoggio di Della Valle, l’ illustre calzolaio, considerato quanto di più illuminato dell’ imprenditoria italiana, presente in tutti i talk in cui si parli di sviluppo del paese.
Se fosse vera la regola della meritocrazia e delle competenze, appunto si tratta di persone che non dovrebbero gestire più nulla.

Ma il dato più inquietante è la reazione del ministro della Cultura Lorenzo Ornaghi, che così ha risposto all’interrogazione parlamentare presentata dal senatore Pd Vincenzo Vita: “All’interno di Cinecittà Studios operano due soggetti societari: da una parte uno interamente pubblico, dall’altra parte un privato che opera nel campo industriale e commerciale della produzione cinematografica, cioè Cinecittà Studios Spa, della quale lo Stato indirettamente, attraverso Cinecittà Luce Spa, ha solo la partecipazione di minoranza di circa il 20%. In quanto società privata obbedisce alle ‘logiche’ o ‘interessi’ di mercato e di concorrenza in un settore produttivo. E’ evidente che rispetto all’operatività di questa seconda società, quella privata, il ministero non può svolgere interventi di tipo dirigistico né può essere chiamato a rispondere direttamente alle scelte gestionali più specifiche di questo soggetto imprenditoriale. Anche se certamente come socio di minoranza il ministero svolge un suo ruolo e non intende sottrarsi ai propri compiti istituzionali.”

E questo ha tutta l’aria di essere l’ ottimo modello di risposta standard che si riceverà sempre se non si mette un freno al delirio delle privatizzazioni e se non si organizza e sistematizza la rete di occupazione degli spazi culturali del paese.

Lo spettacolo in produzione della I.E. G. è   quello della vendita pura. Il famoso principio berlusconiano “ con le mie tv vendo la vendita” completa così il modello di gestione artistica e culturale, e quindi di simbolizzazione sociale. Investe tutto l’immaginario del paese.

In questa logica aberrante va inquadrata anche l’alternativa che si sta costruendo: il parco a Tema di Cinecittà World, con sede sulla Via Pontina, nell’area di Castel Romano. Nel sito internet ad esso dedicato si annuncia come un film horror: da un’idea di Luigi Abete, direttore Emmanuel Goût… Nascerà negli ex studi De Laurentis, a chilometri di distanza dai luoghi dove si dovrebbero rifocillare le eventuali troupe straniere le quali non avranno ovviamente più maestranze a disposizione né teatri in cui girare.
Il progetto di Cinecittà World è articolato in 4 fasi e prevede la realizzazione di tre parchi a tema, parchi divertimenti ispirati al mondo del cinema con 7 ristoranti e 38 attrazioni per tutti i gusti. In sostanza, distrutte l’arte e la magia del cinema, si vendono solo   la bruttezza della finzione di cartone. Il direttore di questo osceno, è un francese, il signor Emmanuel Goût che nulla ci porta dal suo paese ma s’ inserisce invece perfettamente nel panorama italiano. Ex Fininivest, ex aiutante di Berlusconi nell’avventura francese, ha avuto un ufficio di consulenza a Mosca, Stratinvest, di lobbying a favore del nucleare e si è anche adoperato per introdurre la tv commerciale in Russia. In un’intervista in Francia ha affermato: “gli italiani mi hanno dato questa opportunità perché non guardano i diplomi ma guardano quello che si è fatto negli ultimi tre anni”. E che gli italiani non guardino i curricula è proprio vero, e quindi, sì, importiamo pure d’ Oltralpe dei “sans CV” , unico “papier” mancante che tolleriamo. Il signor Goût ha ben spiegato sempre a Presa Diretta che i Parchi a Tema serviranno a creare la “domanda di cinema”. In pratica: lo stato non investe, i privati comprano i luoghi della cultura, privano l’arte del suo significato, “eliminano” fisicamente chi la rendeva possibile, trasformano tutto in marketing. Il quale, secondo loro, a sua volta dovrebbe creare una nuova domanda di arte. Questo per il signor Emmanuel Goût e Luigi Abete sarebbe appunto il cinema. Invece questa è la famosa privatizzazione, cioè puro marketing senza contenuto. Di sicuro, è al primo ciak il più lungo film mai girato sul disprezzo che una nazione intera può avere per se stessa, per le proprie capacità e per il proprio genio.

Allora, come disse il mese scorso il filosofo Zizek al comizio elettorale di Syriza ad Atene: “I veri sognatori sono coloro che pensano che le cose possono andare avanti, a tempo indeterminato, così. Voi non siete dei sognatori: voi vi state risvegliando da un sogno che si sta trasformando in un incubo. Voi non state distruggendo nulla, state reagendo al modo in cui il sistema sta gradualmente distruggendo se stesso. Conosciamo tutti la classica scena del cartone di Tom e Jerry: il gatto raggiunge il precipizio, ma continua a camminare, ignorando il fatto che non c’è terreno sotto i suoi piedi. È solo quando comincia a scendere che guarda verso il basso e si rende conto che c’è è il vuoto. Questo è quello che state facendo: state dicendo a chi è al potere, «ehi, guarda giù!» e quelli cadono”.

Perciò le sigle sindacali presenti tra gli occupanti non inducano in errore e la protesta non si esaurisca in una rivendicazione qualsiasi. Il successo è più probabile se l’ attuale occupazione di Cinecittà riesce a inserirsi all’interno della rete di resistenza della cittadinanza per la configurazione della cultura come “Bene Comune” da difendere, così come la sta concependo il Teatro Valle di Roma.
Perché ciò avvenga è necessario non solo rafforzare la rete di occupazioni ma che siano gli artisti per primi a adoperarsi per salvare quanto dovrebbero sentire proprio e rafforzare le proteste degli occupanti.

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