LISBONA.  E’ morto all’età di 106 anni il regista portoghese Manoel de Oliveira. Dalla sua prima pellicola, nel 1931, de Oliveira ha girato oltre 50 film, la maggior parte di questi realizzati dopo i 60 anni. E’ stato uno dei cineasti europei più prestigiosi e originali. Massimo rappresentante del cinema portoghese, de Oliveira nei suoi lavori si è ispirato alla storia e alla tradizione culturale lusitana.

Proveniente da una famiglia di industriali, abbandonò presto gli studi perché attratto dall’arte cinematografica. La sua ultima opera è stata il cortometraggio O Velho do Restelo (Il vecchio di Restelo) presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2014 e ispirato a un personaggio del poema epico Les Lusiades scritto da Luis de Camoes nel XVI per raccontare le grandi scoperte marittime dei navigatori portoghesi. E’ stato il produttore Luis Urbano a rendere noto il decesso del grande maestro, che insieme allo scrittore e drammaturgo José de Sousa Saramago è stato l’artista lusitano del dopoguerra più conosciuto nel mondo. Nato a Oporto l’11 dicembre 1908, de Oliveira ha firmato capolavori quali Acto de primavera (1963), letto anche come un atto d’accusa contro la dittatura di Salazar, e Francisca (1981), ultimo atto della tetralogia degli amori frustrati composta da Passato e presente (1971) – che segna il ritorno di de Oliveira dietro la macchina da ripresa dopo 7 anni – Benilde e la vergine madre (1974) e Amore di perdizione (1978). Lunghissima la lista dei lavori di de Oliveira, tra film, documentari e corti. La sua carriera comincia a 20 anni, come comparsa del film muto Fatima milagrosa (1928) di Rino Lupo. E’ Il lavoro del fiume Douro, la sua prima opera: un documentario muto del 1931 sulla vita dei lavoratori del fiume che bagna la sua città natale. Ci cimentò come attore nel primo film sonoro portoghese: La canzone di Lisbona (1933) di José Cottinelli Telmo. Dopo aver realizzato vari documentari si lancia nella narrativa con Aniki-Bobo (1942) sulla vita dei bambini in un quartiere popolare di Oporto.
Dall’inizio degli anni Ottanta la carriera di Oliveira conosce un nuovo impulso e il regista gira quasi un film all’anno, con attori quali Catherine Deneuve, John Malkovich, Michel Piccoli e  Marcello Mastroianni (“Viagem ao Principio do Mundo”, 1997): sono gli anni della grande notorietà internazionale, delle partecipazioni ai festival di Cannes, Venezia e Berlino. Oliveira entra anche nel Guinnes dei Primati come decano dei registi mondiali; tra un film e l’altro realizza anche dei cortometraggi su invito dei Festival di San Paolo e di Cannes e dei documentari su commissione di alcune fondazioni culturali come la Gulbenkian e la Serralves. L’ultima opera, girata nel 2014, è il cortometraggio O Velho do Restelo (un personaggio delle Lusiadas di Camoes che critica l’imperialismo portoghese): qualche giorno prima della première era stato insignito della Legion d’Onore. Nel 1985 e nel 2004 ha vinto due Leoni d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia e ottenne il premio della Giuria nel ’91 per La Divina Commedia. Nel 1999 al Festival di Cannes vinse con La lettera (ispirato a La princesse de Cleve di Madame de la Fayette) il premio alla giuria e nel 2008 fu insignito della Palma d’Oro alla carriera. Dopo aver spento le cento candeline de Oliveira girò Singolarità di una ragazza bionda (2009), O Estranho caso de Angelica (2010) e Gebo e l’ombra (2012) interpretato da Claudia Cardinale e Michel Lonsdale. Nel 1982 girà un film “segreto”, Visita ou memorias e confissoes, destinato per sua espressa volontà a essere proiettato dopo la sua morte.

“Tutti i registi hanno un solo desiderio: morire facendo un film”, aveva spiegato nel 2010 in un editoriale apparso sul quotidiano portoghese Publico e nel quale spiegava le condizioni sempre più difficili in cui versava a suo dire il cinema lusitano. E ha celebrato il suo ultimo compleanno con l’uscita di un cortometraggio, O Velho do Restelo.

Pur con la sua tempra, i problemi di salute – tra cui un ricovero ospedaliero per insufficienza cardiaca nel 2012 e altri episodi nell’inverno 2013 – e la crisi avevano influenzato la sua intensa produzione negli ultimi anni. “Non mi lamento di nulla – aveva detto una volta – i governi dovrebbero sostenere il cinema, aiutando i registi, non come un favore ma come un obbligo”. Per il suo centenario, nel 2008, il cineasta ha confessato a EFE il suo più grande desiderio, che rifletteva una vita dietro la macchina da presa e che ha realizzato fino quasi all’ultimo respiro: “Il mio regalo più bello è continuare a fare film”.

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