“Venetos troiana stirpe ortos auctor est Cato”,con queste parolePlinio il Vecchio (Naturalis Historia, III, 130) attribuiva a Catone la tesi dell’origine troiana dei Veneti. Gli storiografi romani infatti ritenevano i Veneti una popolazione proveniente dalla Paflagonia, regione dell’Asia Minore sul Mar Nero. Un popolo molto coraggioso, tanto da partecipare alla guerra di Troia.
Dopo la celebre distruzione, dove trovò la morte il loro capo Pilemene, approdarono sulle coste occidentali del Mar Adriatico settentrionale sotto la guida di Antenore, l’anziano saggio troiano che implorò inutilmente i suoi concittadini affinché restituissero Elena ai Greci. Colui che Virgilio nell’Eneide presenta come fondatore di Padova.   

acquedotto_1L’acquedotto del declino
Vicenza, conosciuta come la città di Andrea Palladio, è un luogo d’arte tra i più importanti al mondo. Nel 1994 viene inserita tra i Patrimoni dell’umanità dell’Unesco, in quanto realizzazione artistica eccezionale per i numerosi contributi architettonici del Palladio. Ottobre 2012. “Salviamo i reperti dal cemento”. “Copriamoli con lastre di vetro”. “È un’occasione per attirare i turisti”. Siamo sempre a Vicenza. E queste sono le dolorose richieste di residenti e commercianti vicentini. Durante il lavori per la nuova pavimentazione del portico di Corso Fogazzaro, vengono rinvenuti resti di un acquedotto romano. Si tratta della struttura che portava l’acqua dalle risorgive della pianura settentrionale (Motta di Costabissara) al municipium di Vicenza. Se ne conservano oggi cinque arcate e alcuni piloni, in località Lobia, visibili per un tratto di circa 180 metri. I resti sono rimasti sempre in luce e sono stati oggetto di ricerche e studi a partire dal XVIII secolo. L’acquedotto, datato al I secolo d.C., è stato restaurato alla fine degli anni Ottanta. Ha una struttura in opera cementizia con paramento in blocchetti di calcare locale, conservato in parte solo alla base di alcuni piloni. Le arcate, a sesto leggermente ribassato, hanno una larghezza costante di 3,3 metri. I pilastri avevano altezza crescente da monte (Motta di Costabissara) verso valle (Vicenza). Ogni otto plinti a sezione rettangolare se ne trova uno cruciforme, espediente per aumentare la stabilità generale dell’opera. Non si hanno dati circa la conduttura che correva al di sopra delle arcate e nella quale scorreva l’acqua, probabilmente una canaletta in cotto a sezione rettangolare larga 75 cm e alta 60 cm. Si tratta dell’opera più imponente lasciata dai romani, del sito a cielo aperto più importante della città: quasi 7000 metri di lunghezza con 900 arcate. Durante gli scavi a Corso Fogazzaro sono emersi nuovi 12 basamenti di pilastri. acquedotto_2È un ritrovamento eccezionale. Eppure il rischio è che alcune di queste basi vengano sommerse da colate di cemento. È stata rinvenuta anche una tomba di epoca medievale, costruita con le pietre calcaree spoliate dall’acquedotto. Lo scheletro è stato già portato via. “Il Comune deve sfruttare questo ritrovamento per rilanciare la strada, da sempre sede di botteghe storiche”, suggerisce Mattia Pilan del Comitato per la pedonalizzazione di Corso Fogazzaro “strada che deve diventare pedonale”. Da molti anni diverse associazioni, come “I portici di Corso Fogazzaro”, chiedono la riqualificazione dell’area, arrivando anche a pagare di tasca propria gli architetti che hanno progettato i nuovi portici. I Vicentini chiedono che i ritrovamenti siano salvati e resi visibili attraverso l’installazione di lastroni trasparenti. Alcuni negozianti si sono offerti di partecipare economicamente alla spesa. Il Comune tace. Eppure sarebbe l’occasione, e il momento, per valorizzare tutto l’acquedotto. Il monumento a Lobia è infatti caduto nel totale oblio. Rovi, rifiuti, persino uno pneumatico abbandonato. Qualcuno lo deve aver scambiato per una discarica. I proprietari dei terreni invece lo usano come deposito di attrezzi agricoli e altro. La strada che conduce al monumento è piena di grandi buche. La situazione ha spinto il consigliere comunale Sandro Guaiti a presentare, a fine luglio, una interrogazione: “I resti dell’acquedotto romano, già oggetto di restauro precario effettuato circa 15/20 anni fa, versano oggi in condizioni di degrado sia sotto il profilo ambientale (spesso sono ricoperti da una folta vegetazione) che manutentivo. Infatti, tali resti si stanno lentamente sgretolando e se nessuno interviene la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente”. E pensare che lo studio “Vetera” di Gabriele Zorzetto ha già fatto conoscere la propria disponibilità ad un intervento a costi contenuti per restaurare e consolidare le splendide strutture. Il Comune continua a tacere. Il documento di Guaiti ad oggi non ha ancora ricevuto risposta.  

criptoportico_1Il criptoportico dello scandalo
A Vicenza si trova un monumento che costituisce un unicum nell’Italia del Nord, tanto da essere considerato il monumento più importante della città: il Criptoportico di Piazza del Duomo. Si tratta di un grande corridoio coperto, pertinente a una ricca domus urbana, risalente al I secolo d.C. Rappresenta l’unico esempio superstite in tutta l’Italia Settentrionale per questo tipo di ambiente sotterraneo. È paragonabile solo a quelli rinvenuti a Pompei. Fu scoperto nel 1954 e scavato dalla soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto. La domus doveva svilupparsi nell’area attualmente occupata dal Palazzo Roma e dalla Canonica, e forse parte del giardino del Vescovado. Il suo orientamento coincide con quello del decumano massimo (odierno Corso Palladio) e ne conferma l’inserimento all’interno del regolare impianto stradale romano. Il reticolato sembrerebbe formato da insulae di circa 80 m di lato, se così fosse la domus occupava circa metà di una di esse. Il criptoportico costituiva parte del piano interrato della domus, la parte su cui sorgeva il porticato che delimitava il giardino interno (peristilio). Venne costruito sfruttando il dislivello naturale del terreno e vi si accedeva da una scaletta a due rampe con un ingresso piuttosto stretto. La sua realizzazione si data intorno al I sec. d.C., ma il suo utilizzo continua per tutta l’età imperiale. La pianta del criptoportico è a forma di U e misura 29 m nel braccio centrale e m 27 nei bracci laterali. I bracci sono coperti con volta a botte in opera cementizia e sono illuminati e arieggiati da una sequenza di 27 finestrelle strombate che in origine si aprivano sul peristilio. Le pareti erano rivestite da un intonaco a marmorino; sono stati trovati in vari punti tre tipi diversi di pavimenti, in cotto e a mosaico. Le tre gallerie, fresche d’estate e riparate d’inverno, costituivano probabilmente un ampliamento abitabile della casa. Il criptoportico fu ritrovato in criptoportico_2eccellente stato di conservazione. Sono bastati 60 anni per modificare ciò che quasi 2000 anni non sono riusciti a fare: trasformare quello che doveva essere un luogo fresco in una galleria infernale. Oggi visitare il criptoportico è un’esperienza dantesca, si ha infatti la sensazione di trovarsi in uno dei gironi infernali: è talmente umido che non si riesce a respirare. L’afa è insopportabile. La volta e le pareti trasudano acqua. Acqua e incrostazioni hanno danneggiato gli intonaci, alcuni in maniera irreversibile. L’aria è pesante, l’odore è fastidioso. Il pavimento è bagnato. Anche i cartelloni esplicativi della struttura sono illeggibili perché bagnati di condensa. Il problema sono le infiltrazioni di acque di risalita e piovane: l’acqua non riesce ad evaporare e rimane nell’ambiente sotto forma di umidità. Originariamente l’areazione era garantita dalle 27 finestrelle e il drenaggio delle acque da un canale, ostruito circa una ventina di anni fa dal nuovo collettore messo in opera durante i lavori di rifacimento dei condotti fognari. Attualmente l’areazione è insufficiente. Sono stati effettuati dei restauri ma la situazione è ancora grave. “È vietato fare foto” spiega la guida, “la Soprintendenza non vuole” e purtroppo qui cresce il sospetto che non si voglia rendere pubblico il disastro. Altro problema è costituito dal fatto che il sito è visitabile solo una volta al mese, per l’esattezza la seconda domenica, e solo su prenotazione. L’apertura è gestita dai volontari del C.T.G. (Centro Turistico Giovanile) che si occupa anche delle visite guidate ai vari monumenti della città. Ci si chiede come mai il Criptoportico non venga gestito insieme al Museo Diocesano, sempre aperto, e dai suoi operatori specializzati, inserendolo nel circuito di visite. Se così fosse la struttura rimarrebbe sempre aperta e i volontari del C.T.G. potrebbero continuare il loro servizio la seconda domenica di ogni mese. In questo modo si darebbe a chiunque lo voglia la possibilità di ammirare un monumento patrimonio di tutti. Possibilmente dopo averne migliorato l’areazione. 

 

 

Il Veneto paga un contenzioso avellinese da 17 milioni di euro
Giugno 2012. Il Ministero dei beni e Attività Culturali perde una causa con due imprenditori campani, Giovanni e Mario Dello Iacono. Perde 17 milioni di euro. La vicenda dura da anni e riguarda un terreno sito ad Atripalda , provincia di Avellino, sul quale i due fratelli Dello Iacono avevano ottenuto dall’amministrazione comunale la licenza di costruire. Durante le operazioni di scavo vennero alla luce reperti archeologici, così che il Ministero dei Beni Culturali bloccò i lavori. Le ordinanze furono però tutte annullate dal Tar della Campania ma il nuovo Piano regolatore generale modificò la vocazione edificatoria delle aree dei due fratelli: il terreno non era più edificabile. Prima il Tribunale civile di Roma nel 2008, poi il Tar di Salerno nel 2011 hanno condannato il ministero a pagare il primo 16 milioni e 395 mila euro per la perdita del diritto a edificare, il secondo 453 mila e 144 euro per la perdita della casa colonica che insisteva su quel terreno. L’avvocato dei Dello Iacono, un legale veneziano, ha scelto di avviare l’azione per il recupero della cifra affidandosi al Tribunale della sua città e così ha ottenuto un decreto dal giudice lagunare con il quale è stato dato il consenso al sequestro dei fondi fino al concorso della cifra in questione. Morale della favola: sono stati pignorati i finanziamenti che da Roma giungono dal Ministero dei Beni culturali a tutti gli uffici veneti, e cioè soprintendenze, musei, biblioteche e archivi. Il risultato? È tutto bloccato: progetti, restauri, scavi. Continuano ad essere pagati solo gli stipendi, dal momento che sono erogati dal Ministero del Tesoro. Soprintendenti e direttori attendono preoccupati indicazioni ufficiali da Roma. È atteso soprattutto l’intervento dell’Avvocatura dello Stato di Venezia, che sicuramente presenterà ricorso contro il decreto del giudice del Tribunale lagunare. In questo marasma c’è un’unica certezza, che in un Paese in piena crisi come il nostro, martoriato da tagli e tasse, sarà molto difficile raggiungere una simile cifra. E cosa ben più triste, raggiungerla significherà togliere ancora alla cultura, settore a cui sono destinati già miseri finanziamenti.
Il Veneto si distingue per iniziative interessanti e che meriterebbero di essere esaminate dalle altre regioni italiane.

La Federazione delle associazioni di archeologia
In Veneto esiste la FAAV (Federazione delle Associazioni di Archeologia del Veneto). È un’associazione no-profit iscritta al Registro del Volontariato Regionale e rappresenta circa 50 Associazioni Archeologiche presenti nelle sette provincie venete. L’obiettivo principale della Federazione è la tutela e la salvaguardia del patrimonio archeologico veneto attraverso l’opera dei volontari, in appoggio alle Istituzioni preposte. Le attività di ricerca, di studio e di partecipazione agli scavi si svolgono quindi in collaborazione e in perfetta intesa con le Istituzioni preposte e con la Soprintendenza Archeologica. La F.A.A.V. è presente ufficialmente nella regione dal 1983 e da allora ha raggiunto importanti traguardi nella scoperta di siti e reperti, nella salvaguardia del territorio e nella formazione dei suoi volontari.

Archeoveneto.it
Nel 2010 è nato ArcheVeneto, il portale internet dedicato alla valorizzazione e alla fruizione del patrimonio archeologico della Regione del Veneto. È nato dalla collaborazione tra Regione, Università di Padova e Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto. Il fine è far conoscere al grande pubblico l’enorme quantità di testimonianze del passato presenti nel quadro territoriale di propria competenza. È una grande e utile banca dati che raccoglie 79 schede di Musei archeologici, 56 schede di siti archeologici (tutti quelli visitabili) e 26 itinerari archeologici da seguire nelle città o nel territorio della Regione. Il tutto completato da oltre 3000 fotografie e 130 piante topografiche che hanno lo scopo di migliorare e semplificare la comprensione di quanto illustrano. Il sito rappresenta la prima mappatura completa del patrimonio archeologico veneto. E’ utilissimo tanto agli studiosi quanto ai turisti, dal momento che permette anche di scaricare informazioni circa l’orario di visita e le mappe per giungere ai diversi siti e musei.

Le riaperture in attesa:

Basilica_apostolorumBasilica apostolorum
Dopo quasi due anni di chiusura cautelativa, il 18 febbraio 2011 sono stati riaperti al pubblico gli scavi della Basilica Apostolorum di Concordia Sagittaria (Venezia). Si tratta dei resti di un complesso paleocristiano, datato alla fine del IV secolo, e la pregevole pavimentazione musiva, datata al V secolo, sottostanti l’odierna cattedrale. I lavori di restauro hanno preso avvio a seguito della denuncia del Soprintendente Tinè: le terme e le abitazioni paleocristiane erano a rischio di crolli; la basilica, paleocristiana ma ricostruita nel 1466, presentava gravi problemi statici. Tinè stimava a 70 mila euro l’investimento da parte del Ministero dei Beni Culturali per far fronte a questa situazione. Preoccupazioni erano state avanzate anche dal governatore del Veneto Luca Zaia, il quale fece notare quanto fossero scarse le risorse messe a disposizione per le zone alluvionate venete rispetto ai 250 mila euro destinati dal governo a Pompei a seguito del crollo della casa dei gladiatori. Ebbene sono arrivati circa 60 mila euro. Oltre a ripristinare la stabilità della Basilica attraverso la ritesatura della trave in acciaio che sostiene i pilastri della navata settentrionale della Cattedrale, è stato garantito il monitoraggio continuo attraverso l’installazione di sensori. Sono stati inoltre allestiti nuovi pannelli esplicativi per la valorizzazione del sito. La riapertura è stata ritardata a causa dell’atto vandalico compiuto ai danni degli antichi mosaici imbrattati con liquido di estintore.

 

Ponte di San Lorenzo
Il Ponte di San Lorenzo è l’unico interamente conservato dei cinque antichi ponti romani di Padova. È considerato il simbolo per eccellenza della Patavium romana, magnifica testimonianza dell’antico porto fluviale. Le prime notizie sul ponte risalgono al Settecento, ma fu con gli scavi del Novecento che venne totalmente riscoperto. La struttura, risalente al I secolo a. C., è costituita da tre arcate a sesto ribassato in conci calcarei e di trachite. Conserva ancora sul lato sud l’iscrizione con i nomi dei magistrati cittadini che ne decisero luogo della costruzione e ne eseguirono il collaudo. Il Ponte deve il suo nome alla chiesa di San Lorenzo che fu soppressa nel 1809 per volontà napoleonica e alla quale era addossata la Tomba del mitico Antenore. Un tempo sotto di esso scorreva il Naviglio Interno, detto anticamente Flumesello. Fino agli anni sessanta era possibile affacciarsi dal ponte, poi fu seppellito da una colata di asfalto. Decisione presa ponte_di_san_lorenzo_1dall’amministrazione dell’epoca per migliorare la mobilità con gli autoveicoli, rendere più facilmente percorribile la zona e al tempo stesso sanarla. Così motivarono la scomparsa di uno dei simboli dell’identità padovana. Per lunghi decenni è rimasto un mero sottopasso, sino al 2005 quando è stato riaperto al pubblico. Ma solo tre anni dopo fu richiuso per lavori di restauro, valorizzazione e consolidamento. Finalmente a giungo 2012 è stato aperto. E soprattutto è stato restaurato. Il tutto grazie ad una convenzione tra il Settore edilizia monumentale del Comune, Legambiente-Salvalarte e associazione Arcadia. L’intervento non è costato nulla a Comune e cittadini, dal momento che Legambiente ha firmato con il settore edilizia monumentale una convenzione non onerosa. “Riaprire il ponte di San Lorenzo” dice Teresa Griggio, Vice Presidente di Legambiente Padova “per noi, significa, nel nostro piccolo, dare un contributo alla difesa ed alla valorizzazione del patrimonio storico e culturale”. I volontari dell’associazione ambientalista che per tre sabati al mesi (dalle 10 alle 12 e dalle 16.30 alle 18.30) garantiranno l’apertura ad ingresso gratuito, accompagnando i visitatori alla scoperta dei segreti dell’antico porto fluviale che si trovava tra Ponte San Lorenzo (costruito intorno al 40 a.C.) e Ponte Altinate (quest’ultimo completamente interrato). Nei giorni feriali ed il primo sabato del mese lo spazio sarà invece gestito dall’associazione Arcadia, su prenotazione obbligatoria (049.8364363) al costo di 4 euro. La riapertura al pubblico di San Lorenzo è un’iniziativa dalla forte valenza civica, storica e culturale, ma anche politica. Il ponte interrato è infatti il simbolo di un modo sbagliatissimo di concepire lo sviluppo urbano, un modo purtroppo ancora dominante nonostante siano visibili a tutti i danni da esso prodotti. Un modo di concepire lo sviluppo urbano che continua a riproporsi sempre in nuove e peggiori forme.

bar_gancinoBar Il Gancino
Sorseggiare un tea stando comodamente seduti sopra un’antica strada romana. Ammirarla senza danneggiarla. È possibile se vi fermate al Bar Il Gancino, a Padova. Al centro della sala nel piano interrato, sotto una pavimentazione in vetro trasparente, è ben visibile un tratto di strada romana con orientamento nord-sud. Il manto stradale è costituito da basoli di trachite e non presenta tracce di solchi carrai. Il limite orientale appare rettilineo e ben definito, mentre quello occidentale resta incerto. L’orientamento dell’asse viario è ortogonale rispetto a quello del tratto di strada rinvenuto, ma non visitabile, in via San Martino e Solferino. Il tratto di strada è stato rinvenuto nel corso di un intervento di scavo compiuto nel 2000. Si tratta di un recente esempio di archeologia urbana a Padova, conclusosi con una semplice ma efficace opera di valorizzazione sul luogo di rinvenimento.

Siti non fruibili liberamente:

1. Anfiteatro (I sec. a.C-I sec. d.C.)Anfiteatro romano
Padova, Giardini dell’Arena
Anno scoperta: XVII secolo (scavi fine XIX-inizi XX sec.)
Il sito è visitabile negli orari di apertura dei Giardini
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Padova

2. Area archeologia del Palazzo della Ragione
Padova, piazza delle Erbe
Quartiere abitativo (da età romana e XIII sec.)
Anno della scoperta: anni ’90 del XX sec.
Il sito è visitabile su prenotazione. Le visite guidate sona a cura della Società Arcadia di Padova
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica del Veneto, Comune di Padova

3. Necropoli romana (I sec. d.C.)
Padova, via Beato Pellegrino, 1
Anno della scoperta: anni ’90 del XX sec.
Il sito è visitabile negli orari di apertura del Palazzo, oggi sede del Centri Linguistico dell’Università di Padova
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Padova

4. Strada romana (da I sec. a.C.-a epoca medievale
Padova, via Verdi n. 13-15
Anno della scoperta: 1987-1993
Il sito è visitabile soltanto su prenotazione in quanto incluso agli interno dell’edificio di proprietà della Banca Anton Veneta
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Padova

5. Grotta di S. Bernardino
Mossano (VI)
contesto abitativo in grotta (paleolitico)
Anno della scoperta: XIX secolo (scavi archeologici: 1959-1961, 1987-1995)
Il sito è visitabile solo su prenotazione
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Mossano

6. Graffiti su roccia
Roana, Val d’Assa (località Tunkelbald)
tipo di area/datazione: iscrizioni graffite su roccia (I millennio a.C.-epoca medievale)
Anno della scoperta: 1981
Da alcuni anni il sito è visitabile unicamente su prenotazione
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Roana

7. Abitato protostorico del Bostel (V-II sec. a.C.)
Rotzo (VI), via Bostel
Anno della scoperta: XVIII secolo (dal 1993 si effettuano campagne di scavo annuali ad opera dell’Università di Padova)
Il sito è visitabile in determinati orari di apertura
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Rotzo

8. Complesso preistorico
Sovizzo (VI), viale degli Alpini
tipo di area/datazione: Complesso funerario e cultuale dell’età del Rame (fine IV-III millennio a.C.)
Anno della scoperta: 1990-1994
Il sito è sempre visitabile, ma visibile soltanto dall’esterno della struttura di copertura
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Sovizzo

9. Strada e casa romana del Duomo (I sec. a.C-V sec. d.C.)
Vicenza, Piazza Duomo,
Anno della scoperta: 1946-1948 e 1975-1977
Il sito è attualmente visitabile solo su prenotazione
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Vicenza

10. Foro romano (I sec. a.C-I sec. d.C.)
Vicenza, Corso Palladio, 98/A (Palazzo Trissino)
Anno della scoperta: 1989
Il sito è visitabile soltanto su prenotazione, in quanto situato all’interno del palazzo attualmente sede del Municipio di Vicenza
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Vicenza

11. Basilica dei Santi Felice e Fortunato
Vicenza, c.so SS Felice e Fortunato
tipo di area/datazione: basilica paleocristiana (IV-V sec. d.C.)
Anno della scoperta: 1908, 1933, anni ’50 del XX sec.
Il sito è visitabile negli orari di apertura della Basilica dei SS. Felice e Fortunato
Autorità deputata alla tutela del sito: Soprintendenza Archeologica Veneto, Comune di Vicenza

(9. Continua. Le precedenti puntate si possono leggere in allegato)

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