Sono ben 42 gli applausi ricevuti dal discorso pronunciato il 3 febbraio alle Camere dal nuovo Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: quasi un applauso al minuto per sottolineare i singoli punti toccati nell’asciutto intervento presidenziale.

Un consenso dovuto alla tensione inclusiva percepita, da tutti o quasi, nelle parole pronunciate da Mattarella: a partire dalle sofferenze degli italiani, da chi ha pagato il prezzo più alto per una crisi troppo lunga, a chi si trova a vivere situazioni di disagio sociale, fisico o morale in uno Sato, l’Italia, sempre più oppresso dalla corruzione e dalle mafie che frenano le tante energie positive presenti nel Paese. Un consenso basato però soprattutto sulle posizioni politiche emerse difronte al Parlamento riunito in seduta comune: il richiamo all’immagine del “Presidente arbitro” che sarà imparziale con l’aiuto dei giocatori, e l’indicazione di un ritorno ad una “normalità” della vita parlamentare, ha mostrato alle forze politiche la volontà di ridare centralità al Parlamento, una centralità certo non venuta meno ma che tuttavia sembrava essere passata in secondo piano negli ultimi tempi. Mattarella più che un passo indietro, rispetto a Napolitano, ne ha fatto uno di lato, spezzando quella identificazione, a volte troppo stretta, fra Governi e  Presidenza della Repubblica che ha caratterizzato gli anni di Napolitano al Colle. Anni di emergenza istituzionale dopo la crisi politica nata all’indomani delle elezioni del 2013 che portò ad un vero e proprio stallo. Uno stallo da cui si riuscì a uscire solo facendo ricorso ad un “eccezionale” riconferma di Napolitano sul colle più alto. Con il suo discorso di insediamento, Mattarella ha dunque indicato la via per un ritorno alla normalità dopo la fase emergenziale e lo ha fatto rivolgendosi direttamente ai parlamentari più giovani che, soprattutto dalle sponde del M5s, hanno spesso dato fiato all’antipolitica che ha rischiato di travolgere i Paese fra il 2011 e il 2014.

Il fallimento delle “Quirinarie” e il nuovo corso a 5 Stelle
Un richiamo alla centralità dell’azione parlamentare ma anche alla sua responsabilità. Un Presidente più arbitro e meno protagonista delle riforme, rispetto a Napolitano, non poteva non attirarsi gli applausi anche di parte di quelle forze politiche che  non lo hanno votato. Non è un caso che lo stesso Beppe Grillo, che pure non ha partecipato alla cerimonia di insediamento, abbia pubblicato sul suo blog un messaggio di auguri a Mattarella e che, fra i suoi parlamentari, circoli una email che invita gli eletti M5s a “dare un contributo positivo” al lavoro del nuovo Presidente. Il “passo indietro”, compiuto mesi fa, da Grillo e Casaleggio in favore del direttorio composto  Di Battista, Di Maio, Fico, Ruocco e Sibilia, ha dato inizio a quella “mutazione genetica” del M5S che da movimento disorganizzato lo sta trasformando, gradualmente, in un partito vero e proprio. La lenta ma costante emorragia di parlamentari dalle file del Movimento ha dimostrato che non poteva durare, almeno con la conformazione che l’M5S ha avuto fino a ieri: un non-partito con un non-statuto e un capo comico a dirigere le danze di una folla compatta solo nelle ragioni della protesta  e determinata a ribaltare il sistema. Il limite di questa impostazione di base è emerso anche durante le consultazioni per il Quirinale che hanno poi condotto all’elezione di Mattarella: determinato a mettere in difficoltà il Partito democratico per impedirgli di compattarsi attorno ad un solo nome, il Movimento ha deciso di puntare su alcuni nomi fra cui alcuni esponenti di spicco Pd come Prodi e Bersani. La mossa, strategicamente azzeccata, è stata però completamente vanificata dal risultato delle “Quirinarie”, la consultazione online tenutasi fra gli iscritti al M5s. La base del Movimento, convinta da mesi e mesi di propaganda interna che Prodi dorme e Bersani è un incapace, semplicemente non li ha votati, preferendogli il nome di Imposimato: una figura che di certo non poteva mettere in crisi l’unità del Pd dove Renzi invece è stato abile a ricompattare i suoi non solo scegliendo il nome ma anche il metodo, ovvero chiedendo fin da subito di lasciare fuori dalla decisone tweet e pressioni della rete, elementi di disturbo che contribuirono al disastro del 2013.

La rivincita del dibattito parlamentare 
Il dibattito circa l’influenza di internet e delle nuove tecnologie “social” sulla politica e sull’assunzione di decisioni in merito ad elementi di carattere “pubblico” è aperto e la rete giocherà un ruolo sempre più importante nella ridefinizione del concetto di “sovranità popolare” tuttavia il modello proposto fin’ ora da Grillo e dal suo blog, per quanto abbia il merito di essere stato il primo esperimento, ha dimostrato tutti i suoi limiti. Una democrazia digitale diretta risulta facile preda del populismo e finisce per assumere decisioni seguendo “ la pancia” piuttosto che “la testa” entrando in contrasto con una democrazia parlamentare rappresentativa che, checché se ne dica, è ancora in vigore in Italia. Proprio la scelta di Mattarella con quasi due terzi dei voti disponibili ha ridato dignità e centralità ad un Parlamento che sembrava oramai sempre più screditato, tuttavia i pericoli sono sempre dietro l’angolo e se da una parte il nuovo corso proverà ad includere nel dibattito parlamentare tutte le forze politiche, dall’altro è innegabile che le riforme potrebbero incontrare nuovi ostacoli sulla loro strada. La drammatica crisi del centrodestra e le divisioni, per ora soltanto sopite, fra le varie anime del Pd sono certamente i fattori di rischio più rilevanti per il percorso riformatore che sembrava ormai cosa fatta prima dell’intermezzo quirinalizio. Cosa accadrà domani è impossibile prevederlo con certezza tuttavia, gli elementi per un corso più equilibrato della sfera politica ci sono tutti. Se le aperture parlamentari di Mattarella, recepite prontamente sia da Berlusconi che dai grillini sopravvissuti alle “quirinarie”, come Fico, prospettano un dibattito parlamentare più aperto, difficilmente il Premier, che ora è in una situazione di forza mai raggiunta dai suoi recenti predecessori, rinuncerà ad orientare il percorso riformatore verso i lidi che ha in mente. Quanto sia sopravvissuto del “Patto de Nazareno”, ammesso che sia mai stato così “sacro” come è stato descritto da alcuni organi di stampa, si vedrà dunque nelle prossime settimane. 

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