Alcuni lo considerano un visionario. Per altri è un genio. Una cosa è certa: Andrea Rossi, classe 1950, ingegnere milanese da qualche lustro espatriato negli Usa, non passa inosservato. E nemmeno le sue invenzioni che brevetta a ritmi frenetici e che, qualche tempo fa, gli hanno procurato non pochi problemi con la giustizia italiana.

Lui si sente un perseguitato (è finito in galera per una vicenda relativa ad un’invenzione che permetteva di ricavare petrolio dai rifiuti), ma nonostante tutto non si lascia scoraggiare e non frena la sua vena creativa che lo ha condotto, tre anni fa ad ideare quello che potrebbe essere il “colpaccio della sua vita”: il catalizzatore di energia battezzato con il nome di E-cat. Si tratta di un apparecchio in grado di produrre energia a costo quasi zero ed ha preso vita dentro un capannone nel quartiere Roveri alla periferia di Bologna. Secondo l’ingegnere Rossi (e secondo i ricercatori che hanno creduto in lui tra cui Sergio Focardi, apprezzato docente di fisica ormai in pensione dell’Università di Bologna) questo apparecchio, che va a idrogeno e nichel, produrrebbe una reazione nucleare capace di sprigionare una quantità di energia fino a 30 volte superiore a quella immessa per innestare un procedimento.
«L’elevata quantità di energia prodotta – spiega Rossi – è di molto superiore a quella sprigionata da qualsiasi reazione chimica o fisica e per questo non può che essere nucleare». Si tratterebbe in particolare di un procedimento di fusione nucleare a freddo che riesce a realizzare all’interno di un apparecchio di piccole dimensione che somiglia molto a un boiler.
Per tutta la vita il professore Sergio Focardi aveva inseguito il mito della fusione nucleare a freddo. Nella sua carriera accademica aveva costituito un gruppo di ricerca sinergico con la squadra di Francesco Piantelli, biofisico dell’Università di Siena, ma i risultati a cui erano raggiunti erano stati modesti.
Così quando all’orizzonte è apparso Rossi con la sua invenzione dalle performance così incredibili il prof. Focardi si è lasciato catturare da quest’avventura: riuscire a produrre con un piccolo macchinario e in una sola ora fino a 10 Kw di potenza a costo praticamente zero. Non più di 1 centesimo al giorno.
Come non lasciarsi sedurre da questo progetto degno del premio Nobel?
In ballo ci sarebbe un cambiamento epocale per l’umanità intera. Produrre energia a costo zero con un apparecchio non più grande di un boiler significa una nuova rivoluzione industriale globale. Anzi, significa “la” rivoluzione industriale globale.
Significherebbe, per dirne una, strappare dall’isolamento energetico più della metà della popolazione mondiale dal momento che oggi più di 3 miliardi di persone non hanno accesso all’energia elettrica, non usano internet e non comprano elettrodomestici. Significherebbe quindi dare un nuovo impulso all’economia globale tanto più che le aziende in questo modo potrebbero avere tutta l’energia necessaria a costo zero abbattendo i costi di approvvigionamento che oggi rappresentano, sotto il giogo del petrolio, oltre l’80% del totale. Significherebbe fare enormi passi avanti nella scienza e sviluppi incredibili sarebbero altrettanto facilmente prospettabili sul fronte aerospaziale.
Tutto fantastico, non c’è che dire ma, attenzione, il condizionale è d’obbligo dal momento che l’intera faccenda è ancora coperta da una spessa coltre di nebbia fatta di interessi finanziari e ambizioni personali che – per il momento – fino ad ora si sono arenati contro il muro della burocrazia e del pragmatismo sperimentale della comunità scientifica.
Dopo che Rossi ha presentato ufficialmente la sua invenzione a Bologna a inizio 2011 – con una conferenza stampa aperta a giornalisti e scienziati – infatti è iniziato il valzer dei passi falsi, delle smentite, degli accordi presi e non onorati, e degli stop burocratici che, dopo più due anni non hanno ancora condotto al rilascio dei brevetti richiesti né all’ok da parte della comunità scientifica. In pratica l’idea c’è ma è ferma lì, arenata.
«La comunità scientifica – spiega Antonio Zoccoli, membro della giunta esecutiva dell’Infn, l’Istituto italiano di fisica nucleare e ordinario di fisica sperimentale all’università di Bologna – è interessata a testare l’invenzione del dott. Rossi. Ma fino ad oggi l’inventore non ha mai permesso che dei ricercatori indipendenti sperimentassero la bontà della sua invenzione. Con l’Università di Bologna Rossi ha siglato un accordo che non è mai stato onorato. L’accordo prevedeva che queste misurazioni sarebbero state fatte da un team di ricercatori bolognesi a fronte di un pagamento da parte degli inventori di circa 500mila euro in più tranche. Le misurazioni non sono mai partite perché il pagamento non è mai stato effettuato. Ad oggi non mi risulta che nessuno abbia fatto queste misurazioni».
La paura di Rossi potrebbe ragionevolmente essere quella di vedersi soffiare da sotto il naso un’idea che se commercializzata potrebbe fruttare al suo autore molti più soldi di quanti non ha fatto la Microsoft per Bill Gate o Facebook per Mark Zuckerberg. Di fatto la situazione è a un impasse da 2 anni.
Di diverso avviso Prometeon srl, l’azienda bolognese licenziataria ufficiale per la commercializzazione dell’E-cat in Italia e Austria, per la quale le misurazioni sono in corso. «L’uscita del report sui test – fa sapere l’ufficio stampa dell’azienda – effettuato da terze parti indipendenti ossia 11 professori di 4 diverse università del mondo, è prevista entro la fine del mese». Per quella data è attesa la pubblicazione su una rivista scientifica internazionale del report che dovrebbe dare il via libera della comunità scientifica al macchinario di Rossi il quale, dal canto suo, in un intervista iper-telegrafica (fatta di no-comment, oppure mancate risposte perché riguardanti informazioni confidenziali) che ci ha rilasciato in queste ore ci conferma di attendere questi esiti a breve e rilancia annunciando che, entro il 30 aprile sarà consegnato il primo E-cat (con tecnica di fusione a caldo) ad un acquirente non militare e non italiano. Secondo lo scienziato l’impianto potrebbe già essere attivo da maggio.
Il tutto naturalmente dipenderà dalle tempistiche di rilascio del brevetto che anche quello però è arenato per motivi analoghi (il professore avrebbe delle difficoltà a spiegare nel dettaglio il procedimento e gli elementi della sua invenzione).
Si avverte molto scetticismo sulla faccenda nella comunità scientifica anche in relazione ai suoi sviluppi incerti dell’anno scorso quando un’azienda greca, la Defkalion, si era detta disposta a finanziare l’intero progetto di ricerca e a farsi da catalizzatore per investitori esteri. L’impresa partita tra rulli di tamburo e strombazzate di fanfara si è conclusa in un niente di fatto e neanche su questo punto il criptico dott. Rossi non ha voluto chiarirci l’intricata matassa rispondendoci con un ennesimo: «No comment».
Ad oggi, insomma, nessuno può confermare o smentire la bontà di quest’invenzione destinata – a detta di Rossi – a cambiare il mondo. Non resta altro che vedere gli ulteriori sviluppi della vicenda che promette, visti gli esordi ed il clamore mediatico, di trasformarsi in un appassionante serial a metà tra la soap opera e la science-fiction.

 

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