Il 2014 è appena iniziato, e come ogni anno molti di voi si saranno prefissati tra i buoni propositi quello di mettersi a dieta. Eppure rinunciare al cibo non è così facile per tutti, alcuni mangiano per soddisfare un bisogno di tipo emotivo, altri mangiano per noia, altri ancora hanno una vera e propria dipendenza da alcuni alimenti. In tutti questi casi possiamo sostenere di trovarci di fronte ad un peccato di gola.

Ed è un vero peccato che l’individuo, lasciandosi andare nelle abbuffate, cambi negativamente l’immagine che ha di se stesso a tal punto da non riuscire più a fermarsi, con tutte le conseguenze per la salute che ne derivano.
Infatti rischia di entrare in un circolo vizioso che lo farà autorappresentare come “colui che mangia”, “colui che si abboffa”, inesorabilmente questo influirà sui suoi rapporti sociali, ma cosa ancor più grave andrà a peggiorare drasticamente il suo stato di salute, talune volte portandolo anche alla morte.

La fame emotiva
Spesso si sente parlare di fame emotiva, non mancano le citazioni nei film dove la ragazza di turno, lasciata dal fidanzato, si consola con il suo barattolo di gelato. Non è difficile comprendere che in questi casi si cerca nel cibo una sorta di consolazione alla tristezza, all’ansia, allo stress e così via. Ma forse non tutti sanno da cosa dipende questo tipo di appetito, le cui radici vanno ricercate nei primi giorni di vita dell’individuo.
Non dovrebbe stupire il legame tra le emozioni e il cibo, né la capacità di quest’ultime di confortare, infatti nei primi giorni di vita  il cibo viene trasmesso dalla madre al bambino in una situazione di tenerezza, calore e attenzione tutte in un unico gesto che, oltre a sfamare e tenere in vita, gratifica emotivamente il bambino: nutrito nel corpo e nell’anima. Ecco come il cibo assume da subito valenza di gratificazione totale oltre che di sopravvivenza primaria.
Il quadro si aggrava parecchio in quelle persone che sono state accudite da un genitore che ad ogni pianto del figlio rispondeva indiscriminatamente con la pappa: in tal modo il bebè non è riuscito a comprendere le differenze nei suoi diversi stati di malessere, l’unica cosa certa era che ad ogni tensione la risposta lenitiva era il cibo. Così che il bambino fosse triste, assonnato, affamato, infreddolito, il cibo era la soluzione. Questo bambino, divenuto adulto, si ritrova ad usare il cibo come panacea per ogni suo dolore.

La fame di emozioni felici
Ma la fame emotiva non si lega solo alle emozioni tristi, essa può legarsi anche a quelle positive, si pensi al bambino che viene premiato con dolci ogni volta che prende un bel voto a scuola o che fa una buona azione; questi da adulto potrà continuare a ricercare nel cibo il suo premio.
Un altro tipo di fame emotiva, che si lega alle emozioni positive, è quella che si presenta negli individui che vivono come momento comunicativo particolarmente importante quello in cui ci si ritrova a tavola.
Questi soggetti possono diventare dei mangiatori che potremmo definire sociali, ovvero che tendono a mangiare soprattutto quando sono in compagnia, nei qual casi potrebbero non fermarsi neanche se completamente sazi, proprio per il piacere di continuare a stare a tavola con gli altri; mentre quando si ritrovano a stare da soli potrebbero digiunare completamente. Non stupisce che gli anoressici, dei quali pure si parlerà prossimamente, abbiano sofferto una situazione inversa, ovvero di scarsa comunicazione intorno al focolare, spesso sostituito dalla televisione.

Mangiare per distrarsi
Un tipo particolare di fame emotiva è quella che insorge per vincere la noia e il vuoto interiore, ovvero quel costante mangiucchiare tipico di quei momenti in cui non si sa cosa fare e talvolta non si sa neanche chi essere.
In questi casi il cibo diviene un modo per occupare il tempo simile a quello della sigaretta e proprio come il vizio del fumo, una volta preso, non scompare neanche con lo sparire del sentimento che l’ha creato.
Infatti anche se lo spilluzzicare è iniziato per passare il tempo, o per distrarsi da sensazioni di vuoto e insoddisfazione personale, il protrarsi del comportamento rischia di trasformare il gesto “tappabuchi” in spazi dedicati: nel caso in cui i sentimenti di inutilità andassero a scomparire, rimarrebbe l’abitudine e quindi il bisogno di trovare spazi per mettere in atto il proprio vizio; questi individui si ritroveranno addirittura a interrompere la loro attività per poter mangiare, non più per noia, me nella ricerca di un relax.

L’obesità reattiva
Questi modi di approcciarsi al cibo possono portare alla così detta obesità reattiva, ovvero quel tipo di obesità formatasi durante periodi di particolare stress, come può essere la morte di un parente, la perdita del lavoro, l’abbandono della persona amata; ma anche come possono esserlo taluni cambiamenti positivi come il matrimonio, la nascita di un figlio o l’aver intrapreso un nuovo lavoro.
Queste situazioni cariche emotivamente possono fare avvicinare maggiormente al cibo, soprattutto se con esso si ha già un approccio tendenzialmente emotivo, rischiando di portare ad una vera e propria obesità.
In questo caso vi sarà il pericolo di entrare in un circolo vizioso, ovvero una volta che si è aumentato il proprio peso in modo sostanzioso, la perdita dell’immagine sociale può arrecare altro stress emotivo che può fare portare ancora di più a rispondervi con le abboffate, aumentando maggiormente il peso e così via.
Solitamente l’adulto che diventa obeso reattivo era proprio quel bambino del quale si parlava sopra, che non è riuscito a differenziare le diverse emozioni negative, per le quali ha visto sempre rispondersi con la pappa, trasformando l’assunzione del cibo in un magico elisir che fa dimenticare ogni problema.

Cosa fare
Per arrivare ad una soluzione bisogna prima di tutto cercare di comprendere se si è degli affamati emotivi,
e nel caso affermativo comprendere quale sia l’emozione che lega al cibo.
Una volta compresa qual è l’emozione che viene trasformata in voglia di cibo bisogna cercare di sostituirla con un comportamento più sano, se ad esempio ci ritroviamo in mano un barattolo di cioccolato per rispondere allo stress, dovremmo cercare nuovi comportamenti utili allo stesso scopo, possibilmente più salutari, come ad esempio fare una corsa al parco.
Nel caso la fame emotiva sia dovuta a fattori situazionali quali ad esempio il piacere di stare in compagnia, senza nulla togliere a questo aspetto importante della tavola, sarebbe utile riflettere che stare in compagnia a tavola lo si può fare anche senza dover mangiare a tutti i costi; ma nel caso fossimo decisamente fuori forma, non sarebbe sbagliato evitare alcuni di questi incontri sociali, o prefissarsi di mangiare solo al di fuori di questi.
Sarà ovviamente un passo importantissimo quello di affrontare le situazioni che arrecano il disagio; restando nell’esempio dello stress, comprendere cosa fa penare e farvi quindi finalmente fronte, resta sicuramente una delle prime cose da fare. Se non si riesce a fare questo da soli non sarebbe sbagliato iniziare un percorso parallelo di dieta e sostegno psicologico, ancora meglio se i due professionisti collaborano. Come dire: mente sano in corpo sano.

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