C’è qualcosa d’allegro nel cibo. Sempre, nonostante tutto. C’è qualcosa di sacro, qualcosa d’antico, qualcosa di fisico. Una forma di conoscenza, degli occhi, delle mani, delle tradizioni. Ci sono le esperienze, di mondi, di viaggi, in questo senso esperienze “culturali”. E tutto questo per onorare uno dei cinque sensi: il gusto.

Difficile da condividere, impreciso inevitabilmente: come descrivere le sensazioni percepite dalle papille gustative di un altro? Si conosce solo il proprio e lo si proietta. Si procede per intuizioni intorno a dogmi o misteri. I sensi sono un patrimonio prezioso di chi sa percepirli.
Eppure, molto semplicemente, i cibi stanno lì, ad abitare sfondi quotidiani, colorate o frettolose o scontate comparse di tutti i giorni. Se ci facessimo caso ci sarebbe sempre un cibo da raccontare, foss’anche un biscotto a metà sgranocchiato lasciato distrattamente su una scrivania, un bruciante caffè, un raffinato manicaretto o una domestica pastasciutta.
Questa è la filosofia di fondo che ha, scientemente o intuitivamente, ispirato il libro di Anna Maria Liberatore “Insalavitudine”, pubblicato (ed esaurito) presso Graus editore e di probabile ristampa presso Adm libri.
Già il titolo è un intuibile melange d’ingredienti: isalata, vita e solitudine. Insalavitudine.
È infatti una abbondante e colorata insalatona una dei protagonisti del primo racconto che vede come comprimari una donna tradita, un uomo bugiardo e la sua giovane amante. Quella che potrebbe essere la pesantezza dello squallore e della tristezza che condiscono situazioni del genere, appare meno grave per la leggerezza di foglie di verdura e carotine che, alla fine, volano dal piatto rovesciato dalla moglie sopraggiunta a sorpresa, sulla folta chioma della ragazza bruna.
Ed il primo racconto è ben più che un indizio. Molto spesso i brevi e compiuti racconti di “Insalavitudine” sono cronache del disamore. Cronache del dissapore, potremmo azzardare.
Una malinconia di fondo inumidisce gli scritti, intervallati da asciutte poesie, sullo stesso tema: ciliegie, zucchero filato, champagne, odore di cannella.
E che si tratti di panini o panettoni, di angurie o di peperoncino, s’inanellano sapori lungo un tragitto di storie dalla lettura sempre gradevole, storie a volte teneramente disinvolte, altre di ordinaria solitudine, altre ancora dissacranti ed ironiche, trame rapide, tracciate con uno stile limpido, pulito, senza indugi, che lasciano in bocca un sapore agro-dolce, proprio come in una certa cucina.
In un libro del genere non potevano mancare pagine sull’amore e l’attesa nelle preparazioni culinarie che accompagneranno un incontro amoroso. Quell’aspettativa sapiente che ha mescolato alle altre spezie la voluttà, il desiderio, l’entusiasmo, che si sentono tra i sapori quando poi si addenta la pietanza. Nella fattispecie una napoletanissima “frittata di scammaro”. Questione di mano, insomma. Quella mano che accompagna e nutre, insieme al nutrimento preparato. E poi la mano della cucina delle madri. Ne senti rarefatto il trasposto e la dedizione mentre inali gli aromi che invadono la cucina. E così una parmigiana di melanzane, quella parmigiana di melanzane, resta per sempre nel naso, sulla lingua, nei meandri del cuore ed in un sito appartato dei pensieri.

Insalavitudine di Anna Maria Liberatore,
Graus editore, pp 105, € 13.50

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