Altri 45 sono morti per asfissia in un peschereccio in mezzo al mare; altri immigrati che cercavano di raggiungere le nostre coste dal Nord Africa. Probabilmente non c’è la soluzione ideale per l’immigrazione clandestina però alcune riflessioni possono farsi.

La prima è banale: il mondo è diventato piccolo; la circolazione delle merci, delle informazioni e soprattutto delle persone necessita di tempi infinitesimi rispetto a pochi decenni fa. La seconda è un po’ meno banale: per una sorta di legge dei vasi comunicanti, quando ci sono popoli che soffrono per la mancanza di tutto ed altri che conoscono l’opulenza, queste due situazioni tendono storicamente (e possiamo dire giustamente) a riequilibrarsi. Così nasce la migrazione di genti a cui stiamo assistendo. Un fenomeno che ha quindi portata storica e, come tale, si può forse contenere in parte e in parte indirizzare ma pensare di fermarlo è insensato, come voler fermare le maree, le stagioni, il vento, il tempo o la stupidità degli uomini. Invece alcuni sostengono che si possa e si debba interrompere il flusso migratorio, in particolare dal Nord Africa. La soluzione proposta sarebbe quella di interrompere ogni arrivo e aiutare invece questi popoli nel loro paese. Ad una prima impressione sembra una buona idea ma in realtà è solo la foglia di fico, utile a nascondere una vergogna.

Intanto, dal loro punto di vista, è un clamoroso autogol. Aiutare questa gente a casa propria, se vogliamo farlo seriamente, vuol dire aiutarli a creare un sistema produttivo che dia occasioni di lavoro. Cioè far nascere, proprio alle porte di casa nostra, situazioni simili alla Cina, alla Malesia o al Vietnam, pronti a invaderci con prodotti di basso prezzo. Forse sarebbe meno dannoso tenerceli qua piuttosto che farli diventare temibili e vicini concorrenti.

Ma il difetto grave della teoria ”aiutiamoli a casa loro” sta nei tempi. Per renderli autonomi non bastano mesi ma occorrono anni. Intanto che si fa? Sembra di capire che intanto si debba interrompere ogni attività di recupero per mare, anzi si voglia impedire ai clandestini di raggiungere le nostre coste e quelli che ci riescono vanno riportarti in mezzo al Mediterraneo e lasciati lì. E’ la soluzione che vede capofila la signora Le Pen in Francia. Riempie di costernata sorpresa che un politico capace di queste idee abbia la maggioranza dei consensi nella patria che ha insegnato al mondo i concetti di libertà, uguaglianza e soprattutto fratellanza. Naturalmente non stupisce che queste idee siano sposate anche da alcune frange dell’elettorato italiano. Eppure era dalla prima metà dello scorso secolo che qualcuno in Europa non ipotizzava soluzioni che comportassero la morte di decine di migliaia di persone. Per altro si può rilevare come non sia affatto certo che ammazzando tutti quelli che arrivano, gli altri smettano di venire. In particolare perché l’80% di coloro che intraprendono la strada dell’emigrazione clandestina attraverso il Mediterraneo, lo fanno per scappare da situazioni nelle quali la morte è già assai probabile se non certa. Partono consapevoli, anche adesso, che il viaggio verso l’Italia è pieno di pericoli: essere rapinati, violentati e infine affogare nel corso della precaria traversata per mare. Eppure partono egualmente. Non e’ dunque certo che ammazzandoli, desistano, almeno non prima di averne ammazzati tanti.

Invece, l’operazione ”mare nostrum” mi dà, per la prima volta, da quando ho coscienza di essere italiano,  la fierezza di esserlo. Sapere che le nostre forze di cielo e di mare pattugliano il Mediterraneo alla ricerca di persone in pericolo di vita mi riempie dell’insolito orgoglio di essere italiano. Né cambia qualcosa il fatto che non si tratti di emigranti ma di clandestini come chiarito con veemenza da qualche parlamentare, quasi che la clandestinità faccia cessare l’umanità. Né cambia qualcosa il fatto che altre nazioni li respingono o girano il volto altrove. Non facciamo vincere l’egoismo, l’indifferenza, l’arroganza. La storia ci darà ragione. Né servano da scusa le difficoltà che l’Italia sta attraversando ma piuttosto esse facciano da pungolo affinché l’Europa ci aiuti  con determinazione, nel momento in cui finalmente, unici, mettiamo in atto le parole, troppo spesso vuote, di solidarietà e fratellanza tra i popoli che riempiono invano le righe di tante costituzioni e trattati internazionali.

Solo una critica sia permessa: perché chiamare questa operazione ”Mare nostrum”? Sa tanto di altri tempi, quando i colli fatali di Roma avevano di nuovo un impero. Quel mare non è ”nostrum”, piuttosto ”omnium”, di tutti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *