Daniela Ippoliti è alla sua prima esperienza editoriale. Ha pubblicato da poco il romanzo ‘Il giardino di Mattia’ con Bibliotheka Edizioni. Un esordio letterario che affronta un tema tragico: la morte di un ragazzo in un incidente stradale. Un argomento purtroppo attuale, perché sono sempre più frequenti i casi di giovani vittime della strada. L’Italia è al 14° posto in Europa per numero di decessi e a morire sono principalmente gli under 25.

Con uno stile di scrittura semplice, che si avvicina ad ogni tipologia di lettore, l’autrice riesce a toccare un argomento così delicato, senza cadere nella compassione emotiva e accompagna così il lettore nella riflessione sul senso dell’esistenza, proiettandolo in quella sottile linea che divide la vita dalla morte. Ne escono domande, interrogativi, e tanti spunti su posizioni filosofiche e religiose sulla materialità che noi vediamo e sulla variabile oltre l’esistenza. Il giardino diventa il luogo simbolo dove dalla tragedia è possibile ripartire ed affrontare la commedia della vita. Da questo spazio così particolare le realtà assumono forme e significati diversi: dal buio alla luce, nella ciclicità rotatoria e nel concatenarsi delle esperienze terrene.  

Daniela Ippoliti, che cosa l’ha portata a scrivere di un ragazzo morto in un incidente stradale? E’ una storia che l’ha toccata da vicino? Daniela Ippoliti
“Si, l’idea è nata da un fatto realmente accaduto, uno dei tanti incidenti stradali nei quali perde la vita un ragazzo, lasciando nella disperazione chi gli sopravvive. Ogni volta che per la strada vedo un piccolo mazzo di fiori legato ad un palo o una foto di un volto sorridente mi si gela il sangue e non posso fare a meno di fare mente locale per capire quando è successo, da quanto tempo esiste quell’altarino improvvisato. Le storie che si intrecceranno intorno all’incidente sono inventate, ma si rifanno a personaggi che ho conosciuto realmente”.

Questa per lei è la prima esperienza editoriale. Come la sta affrontando? Perché la scelta di pubblicare un romanzo?
“Sono sempre stata una lettrice accanita, una sorta di idrovora delle pagine scritte, da quando era bambina. Erano anni che pensavo di scrivere un romanzo, ma non avevo idea di cosa scrivere, o meglio le idee erano tante ma confuse e nebulose. Fino a quando, un giorno per caso, un caro amico anch’esso medico e scrittore affermato mi ha detto “Siediti al computer e scrivi…l’dea da nebulosa diventerà sempre più nitida”. E così è stato. Appena avevo un po’ di tempo a disposizione mi sedevo e scrivevo, scrivevo mentre le idee si srotolavano come un filo di lana dal gomitolo!”.

Ad introduzione del libro lei ha scelto una citazione di Sant’Agostino: “La morte non è niente. Sono solamente passato dall’altra parte: è come se fossi nella stanza accanto…Continua a ridere di quello che ci faceva ridere…”. Che cos’è per lei la morte?
“Io credo che la morte sia un ritorno a casa, quella da cui proveniamo, dalla quale siamo partiti per vivere la nostra vita. Sono anche abbastanza fiduciosa che sia una casa bellissima, un bel posto dove poter rincontrare chi è tornato prima di noi, dove potere finalmente goderci un po’di pace e la gioia di stare insieme. Credo che morendo non si smetta di amare chi abbiamo amato, ma anzi possiamo vegliare e in qualche modo proteggere chi ancora sta camminando. Forse è per questo motivo che mi accorgo, andando avanti negli anni, che più che la mia morte mi sgomenta quella delle persone che amo…loro tornano a casa e staranno benone, io invece dovrò andare avanti nel mio viaggio senza di loro e questo è doloroso, ovviamente”.

Da un evento drammatico un luogo diventa il simbolo di una nuova speranza. Che cosa rappresenta il giardino?
“Il giardino rappresenta la forza di vivere, una sorta di energia di riserva, che ognuno di noi può ancora trovare in se stesso dopo essere stato travolto da uno tsunami che gli ha devastato l’esistenza. Vuoi che sia stato un lutto, una malattia, la fine di un amore, una violenza subita. Gli amici di Mattia capiscono che l’unico modo per superare il dolore per la perdita del loro amico è quello di affrontarlo tutti insieme, facendo qualche cosa di concreto, di bello, di aggregante proprio nel posto dove il dolore e la disperazione avrebbero potuto regnare sovrani”.

Qual è il suo concetto di destino?
“Io credo che la vita di ognuno di noi abbia una precisa funzione e quindi nessuno nasce e vive per caso.  Non credo nella casualità, né al destino inteso come ineluttabilità degli eventi, per cui se sei sfortunato sarai condannato a vita o viceversa se nasci fortunato lo sarai per sempre. La tua vita ha un compito, spesso non sai nemmeno bene quale sia ma poi, col tempo, magari te ne rendi conto. Sta a te accettarlo oppure no. Siamo comunque esseri liberi”.

In questo caso la sua scrittura ha una funzione specifica?
“Nel mio libro ho cercato di dare risalto ad alcuni aspetti della vita che sembrano delle semplici casualità ma che, a mio avviso, non lo sono affatto. Se la tale cosa, il tale avvenimento, avviene in un momento preciso, in un posto preciso, coinvolgendo delle persone, anziché altre, probabilmente c’è un motivo”.

La linea che separa la vita dalla morte è sottile. Se dovesse dare una definizione dell’esistenza, lei come si esprimerebbe?
“Se la morte è tornare a casa, la vita secondo me è come un viaggio del quale ci vengono regalati i biglietti. Vivrai situazioni belle o brutte, dovrai necessariamente interagire con gli altri viaggiatori che renderanno il viaggio a volte bellissimo, a volte insopportabile, ma dovrai comunque viaggiare insieme a loro e affrontare tutte le tappe del tour. E se quando tornerai a casa capirai di aver fatto qualche cosa di buono per gli altri viaggiatori oltre che per te stesso…il viaggio avrà avuto un senso”.

Sta lavorando ad altri progetti?
“Stanno ricominciando a nascere tante idee nebulose…spero che quando comincerò a scrivere al computer il gomitolo di lana si srotoli in modo naturale e fluido come è avvenuto per il mio primo libro”.

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