Tre numeri hanno colpito l’attenzione negli scorsi giorni. Il primo è 2.000, gli altri due sono in realtà un rapporto: 10/50.
Cominciamo dai 2000. Duemila sono i miliardi di euro che per la prima volta il debito pubblico italiano ha sfondato nella sua storia. Il 126% del prodotto interno lordo.

La notizia in sé potrebbe anche lasciare indifferenti (qualcuno dice “chi se ne importa dello spread”) se non fosse per la costatazione disperante che gli immensi sacrifici che tutti noi stiamo sopportando finiscono per essere sostanzialmente inutili perché non fermano quel mostro famelico che è il debito pubblico. I recenti miglioramenti dello spread non sono garanzia per il futuro, se il debito continua ad aumentare.

Al punto in cui siamo incrementando ancora l’imposizione fiscale e riducendo ulteriormente i servizi (quindi costringendo la gente a pagarseli) altro non si fa che deprimere l’economia e ridurre di conseguenza le entrate dello Stato, in un circolo vizioso senza fine.
L’altra strada, eliminare gli sprechi, è ormai solo un vuoto slogan elettorale o peggio colpisce le risorse necessarie e lascia indenni quelle destinate alle ruberie.

In verità, credo molti, come me, avevano nutrito la speranza, presto rivelatasi illusione, che un governo composto dal gotha dei professori universitari e dai vertici più preparati della Pubblica amministrazione fosse capace di toglierci dagli impicci semplicemente operando sofisticate manovre finanziarie o attuando alchimie contabili inconoscibili per i comuni mortali che avrebbero presto visto risolto ogni problema in maniera indolore.
Grande è stata la delusione quando abbiamo toccato con mano che le misure adottate potevamo immaginarle facilmente anche noi ed erano assai dolorose.

Ma adesso come uscirne? Se gli esperti hanno proposto soluzioni ordinarie anche i comuni mortali possono avanzare qualche idea.
Si può intanto affermare, senza banalizzare i problemi, che ogni questione va comunque riportata ai suoi elementi essenziali per trovarne una possibile soluzione.

Il primo elemento è dunque un debito di 2.000 miliardi. In realtà basterebbe abbatterlo della metà per ottenere un rapporto debito/PIL che sarebbe vicino a quello della Germania e poco superiore a quello delle nazioni più virtuose come l’Olanda.
Quindi il primo dato del problema è mille miliardi di euro da trovare.
Se pensiamo che la ricchezza delle famiglie italiane assomma a dieci volte tanto, viene da riflettere che non sembra una questione così irrisolvibile.
Semplificando un po’: con il 10% della ricchezza degli italiani diamo risposta a gran parte dei problemi terribili che ci attanagliano.
Si otterrebbero due importanti effetti positivi.

Da una parte si avrebbe il tempo per cominciare ad affrontare seriamente i nodi irrisolti del Paese, come la criminalità organizzata, l’evasione fiscale, la corruzione, la scarsa produttività, ecc., ad una condizione però, cioè l’impegno di quelle che possiamo definire “le grandi anime”(rubando il soprannome dato a Ghandi). Mi riferisco a quei personaggi dalle qualità elevatissime che devono emergere dall’anonimato in cui si relegano volontariamente perché non desiderose di notorietà e preferiscono una sorte da Cincinnato piuttosto che mettersi a competere per quella lordura che spesso è la politica e la cosa pubblica.

Costoro, adesso, come in tutti i momenti cruciali della storia (ad esempio dopo la seconda guerra mondiale) hanno la responsabilità morale di impegnarsi in prima persona, prendere per mano la nazione e condurla fuori dalla drammatica fase che attraversa.

Il secondo effetto positivo sarebbe la fine della tassazione spietata, dei tagli ai servizi, la riduzione delle somme impegnate per pagare gli interessi del debito pubblico e la destinazione dei risparmi a dare impulso all’economia, in un circolo virtuoso di ripresa del ciclo economico, maggiori entrate e conseguenti disponibilità finanziarie
Tutto risolto dunque?
Purtroppo no, perché la grande maggioranza delle famiglie italiane è stremata ed assolutamente non in grado di rinunciare al 10% della propria ricchezza (ammesso che ce l’abbia ancora).
Qui entra in gioco quel rapporto 10/50 al quale accennavamo in apertura. Si tratta dell’altro dato fornito recentemente dalla Banca d’Italia, in base al quale il 10% delle famiglie dispone di quasi la metà della ricchezza del Paese.
Intanto due riflessioni.
La prima consiste nella evidenza che la situazione è assai difficile, potremmo dire disperata se non fosse che la disperazione non serve per uscire dai problemi. Comunque non bastano pannicelli caldi ma occorrono rimedi radicali.
La seconda è che dalla crisi se ne esce tutti uniti (almeno le persone di buona volontà) o non se ne esce affatto.
Per questo qualunque ulteriore soluzione deve trovare, fin quando è possibile, la collaborazione di tutti e non l’imposizione di alcuni.

Una soluzione è quella di chiedere alla quota di famiglie italiane che dispone del 50% e più della ricchezza nazionale, di sottoscrivere in breve tempo titoli di Stato remunerati ad un tasso di interesse pari all’inflazione, che verrà corrisposto solo alla scadenza.
I sottoscrittori di questi titoli di salvezza nazionale non subiranno nel tempo alcun danno, vedendosi restituite lo somme versate al medesimo valore iniziale.

Allo stesso tempo lo Stato potrà dimezzare la necessità di rivolgersi al mercato per sostenere il debito pubblico, svincolarsi dal nodo scorsoio dello spread imposto in base a valutazioni che spesso astraggono dall’economia reale e decidere se e quando offrire titoli sul libero mercato in base alle condizioni più favorevoli che si presenteranno.

Dopo cinque anni si comincerà ad estrarre a sorte i primi rimborsi che saranno completati nei tempi sopportabili per le finanze pubbliche. Dunque un rimborso graduale che renderà possibile l’aggiustamento dei conti ad uno Stato in parte risanato e quindi capace di un maggior impegno finanziario.
In fondo già adesso siamo in grado di ottenere l’avanzo primario, ovvero l’attivo al netto degli interessi da pagare per il debito.

Coloro invece che hanno contribuito alla salvezza nazionale con il loro consistente apporto economico non possono essere, probabilmente, ringraziati con il semplice attestato di benemerenza per aver salvato l’Italia. Anche se nel Paese che immaginiamo questo sarebbe il solo motivo gratificante.
Ma conoscendo l’animo delle persone è necessario che la gratitudine dello Stato si esprima anche in modo concreto, attenuando cioè le proprie pretese sanzionatorie, ogni volta che ciò sia possibile senza gravi danni per l’ordine pubblico.
Penso, ad esempio, ai casi nei quali chi ha sottoscritto il debito per la salvezza nazionale sia poi scoperto evasore fiscale. Allora lo Stato, memore dell’aiuto ricevuto, deve mostrarsi clemente verso l’evasore. Non ricorrendo naturalmente al condono fiscale ma piuttosto all’annullamento (o la sensibile riduzione) di ogni sanzione aggiuntiva rispetto al recupero delle somme evase, aggiornate semplicemente al valore dell’inflazione intercorsa. Naturalmente la “gratitudine” sarebbe limitata agli importi che l’evasore ha destinato ai titoli per la salvezza pubblica.
La “comprensione” dello Stato può essere estesa ad ogni altro caso di sanzione che non crei allarme sociale, con il limite che la res publica non ci debba rimettere un euro.

In tal modo la spinta ad impegnarsi economicamente per aiutare la nazione sarebbe corroborata da una forte e concreta convenienza personale. Una specie di ravvedimento operoso per quanti non abbiamo la coscienza tranquilla.
Certo, di fronte alla proterva refrattarietà ad ogni invito per la spontanea collaborazione, l’extrema ratio rimarrebbe sempre l’imposizione (sotto forma di prestito forzoso e non di patrimoniale), a carico dei più abbienti perché comunque una soluzione va trovata, pena il disastro per tutti.

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