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“L’Italia che avanza” è lo slogan di Atreju, festa nazionale della giovane Italia, o dei giovani della destra italiana nostalgici del fascio e raccolti sotto l’egida di Berlusconi.

Nel corso della festa i politici della maggioranza vengono a commentare le conseguenze del loro malgoverno esprimendo meraviglia e preoccupazione. Di chi sarà la colpa? E’ la domanda sempre sottintesa.

Sagome di personaggi popolari dai quali sono stati estrapolate le frasi più in sintonia con l’ Atreju –pensiero sono sparpagliate qua e là negli spazi di questa festa dell’assurdo: “La scienza è incapace di dare la spiegazione della vita; solo la fede ci può fornire il senso dell’esistenza” (Guglielmo Marconi); “Ritti sulla cima del mondo , noi scagliamo una volta ancora la nostra sfida alle stelle” (Filippo Tommaso Martinetti); “L’universo è la mia casa, la voce sommessa di questo mare infinito mi invoca e mi invita a vivere senza catene”, Capitan Harlock.

“Più meritocrazia meno privilegi”, e poi parole come “sfida”, “novità”, “modernità”. Non manca una galleria fotografica di personaggi dal titolo “gli antitaliani” da considerare i nemici dell’identità italiana. Da Andreotti a Carla Bruni. Rigorosamente senza nessun nesso gli uni con gli altri. Un solo amalgama.

In questo contesto, alle spalle del Colosseo, ora di gestione del calzolaio Della Valle, si è parlato della cultura, con l’ambizioso titolo mutuato da Dostojeski “La bellezza salverà il mondo”.

Ma prima dell’intervento di Marcello Veneziani aveva dato testimonianza della “bellezza” il ministro Sacconi. Infervorato a denigrare lavoratori, sindacati, e sciopero generale in compagnia di Bonanni, per rendere meglio il suo disprezzo il Ministro ha dato una raccontato una storiella emblematica del clima culturale del paese. Il tema era: suore stuprate contente di esserlo. Variante ecclesiastica del vis grata puellae, che prevedeva la violenza alle donne avvenuta con il loro consenso. Una testimonianza medievale inserita in lunghi sproloqui sulla modernità.

E proprio il tema della modernità è proseguito nelle riflessioni di Marcello Veneziani. L’intellettuale di centro destra ha saputo parlare per un’ora di cultura e sul cosa fare in Italia, dando per scontato che la gestione di beni pubblici da parte di privati, fosse un dato di grande arguzia economica, e soprattutto menzionando la televisione, unica espressione culturale del centro destra, come residuale rispetto al tema centrale: cioè come rendere produttiva la cultura, e perché ad oggi non si è mai riusciti. In altre parole: come finire di saccheggiare l’Italia usando gli stessi criteri della tv commerciale.

Osservava tempo fa Miguel Mora corrispondente di El Pais :
“La politica culturale italiana, il Paese del Grand Tour, del Rinascimento e dell’Impero Romano, di Piero della Francesca e di Verdi, di Dante e di Pasolini, si è trasformata poco a poco in una specie di tesoro in decomposizione. Tre crolli a Pompei, l’annuncio di un’amnistia sui beni archeologici trafugati, i tagli alle fondazioni liriche, il grave deterioramento del Ponte di Rialto a Venezia, la chiusura di teatri e biblioteche; le manifestazioni e gli scioperi di artisti e lavoratori in tutto il Paese; il rischio di chiusura per l’Istituto Luce, la filmoteca storica di Cinecittà; l’assunzione di alcuni mafiosi scarcerati come custodi del Museo Abatellis di Palermo; lo scandalo di corruzione nella Protezione Civile che si incaricava di organizzare grandi eventi culturali (e religiosi) e di gestire, in condizioni opache e di emergenza, siti archeologici, teatri e musei come la Galleria degli Uffizi di Firenze”.

E’ questo il contesto culturale italiano consegnato dalla politica del centro destra.

Per il disorganico Veneziani i problemi sono altrove. Di sicuro è colpa della burocrazia, di brutti spettacoli, della politica assistenzialista, e ovviamente, degli esuberi dei lavoratori nei teatri.

Non avendo ritenuto utile precisare cosa intendesse per cultura o per popolo che evocava di continuo, si poteva dedurre che per cultura intendesse cinema, teatro, libri, poesie e arte in genere. Mentre per popolo, genericamente, i fruitori. Senza che tra la prima e questi ci fosse una qualche responsabilità da parte della politica. Osservava: “prima di tutto si deve amare la cultura”.

Lo spettatore del Grande Fratello, che è in genere l’elettore di riferimento o almeno di riferimento valoriale del centro destra, perché dovrebbe amare Dante? Chi gliene ha mai parlato? A cosa serve Dante? Si chiederebbe. Del resto, tra gli applausi, il presentatore della serata osservava: “l’Italia è il paese in cui si finanzia il Caimano e l’America invece incassa milioni di euro col Gladiatore”.

A cosa servono la coscienza e la denuncia quando ci potrebbe essere un eroismo di plastica che porta guadagno?

Insisteva Veneziani che la cultura vera è quella che parla al popolo e che viene capita dal popolo. E appunto, talmente è stata seguita questa linea, non per amore del popolo ma per controllo di questo, che da anni non si concepisce un programma o una rappresentazione teatrale senza che si pensi al pubblico televisivo, e all’omologazione culturale.

E se il mancato sfruttamento del patrimonio culturale sono conseguenza di una cultura assistenzialista, non si capisce perché mai un privato dovrebbe gestire un teatro, rappresentare qualcosa di elaborato e complesso rischiando che gli spettatori non accorrano in massa. “La cultura deve piacere a tutti” diceva Veneziani. Infatti è facile trovare Nathalie Caldonazzo o Manuela Arcuri in qualche rappresentazione di Shakespeare.
E’ la gestione pubblica che dovrebbe appunto preservare la cittadinanza da simili continue profanazioni.

La cancellazione dell’identità italiana sta dunque avvenendo precisamente a seguito di questo tipo mentalità, considerata nel piccolo ma significativo dibattito sulla cultura di Atreju, qualcosa da recuperare grazie alla cultura pubblica consegnata ai privati. Esattamente come è incredibilmente avvenuto con il Colosseo e il marchio Della Valle. Anche in questo caso, si è dedotto che identità per la destra è una serie di simboli e tradizioni che escludono aperture. Cioè l’esatto contrario dell’identità italiana che si è formata con stratificazioni e contaminazioni. Si deduce che questa identità italiana è chiamata anche “amor patrio” , cioè un crocifisso nelle aule, cui “andrebbe aggiunto il tricolore”.
Tuttavia il passaggio che ha fatto sicuramente applaudire di più, e che sintetizza uno degli aspetti più salienti del berlusconismo è il feroce complesso di inferiorità nei confronti della sinistra.

“ E’ colpa dell’egemonia culturale della sinistra”.

Una classe politica che possiede il 70% dell’industria culturale del paese, non è stata in grado in tanti anni di potere e di gestione della cosa pubblica di produrre un pensiero, una novità che non fosse un interminabile continuo angosciante intrattenimento. Un elettorato che ha intellettuali di riferimento, che dovrebbero sbrogliare la complessità delle matasse della modernità, dei pastrocchioni come Veneziani incapace di annodare una sola causa ai suoi effetti.

 

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