L’incremento dell’evasione fiscale degli ultimi anni deriva in modo non marginale dall’abrogazione della comunicazione telematica degli elenchi clienti e fornitori da parte dei titolari di partita Iva, che ha privato l’amministrazione finanziaria di uno strumento importante, se non addirittura decisivo, per smascherare, in modo semplice e sistematico, molte diffuse forme di evasione fiscale di massa.
La statistica ci dice che la sua introduzione nel 2006 da parte del governo Prodi determinò nel biennio 2006 -2007 (1) un’improvvisa e benefica impennata dei redditi dichiarati dagli imprenditori e dai professionisti e di conseguenza del gettito erariale.

Semplificazioni berlusconiane (con sorprese)
L’abrogazione dell’elenco clienti e fornitori, la cui cancellazione è stata una delle promesse elettorali del centro destra nelle ultime elezioni politiche, è stata fatta passare come una meritoria opera di semplificazione del governo Berlusconi. In realtà la predisposizione e la comunicazione di tali elenchi non rappresenta un particolare aggravio per l’impresa, poiché l’implementazione di essi può avvenire in modo automatico all’atto della emissione e/o registrazione della fattura. Oggi un imprenditore o un professionista può tranquillamente rilasciare al cliente una fattura, ad esempio di 500 euro, senza registrarla in contabilità oppure registrandola per soli 50 euro, senza che il fisco se ne possa accorgere. Questo accade perché i due dati non sono tracciati telematicamente e non si incrociano, come accade, invece, per le retribuzioni dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, che si incrociano con i dati dichiarati dal datore di lavoro o dall’ente previdenziale nella dichiarazione che presentano quali sostituti d’imposta (modello 770). Con la conseguenza che il fornitore può omettere di dichiarare ai fini Irpef ed Iva una parte dei ricavi fatturati e mettersi in tasca l’imposta sul valore aggiunto incassata dal cliente senza versarla all’erario. Nel caso dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) incassata e non versata, è evidente che il suo comportamento costituisce una vera e propria truffa ai danni dell’erario e degli altri cittadini.

Gli affari con le tazzine di caffè
La mancanza, nel sistema dei controlli fiscali, dell’elenco clienti e fornitori permette il perpetuarsi di un altro tipico comportamento evasivo, che non presenta particolari rischi per il commerciante. Per esempio un Bar, che intende occultare una parte dei ricavi, ha interesse a non rilasciare lo scontrino soprattutto nel periodo di massima affluenza, quando cioè le vendite e le somministrazioni si centuplicano, ma, allo stesso tempo, ha la necessità di rendere coerente il numero dei beni acquistati con regolare fattura (per somministrare caffè, aperitivi, gelati artigianali, etc.) con il numero dei beni venduti e delle prestazioni effettuate risultanti dagli scontrini di cassa, ovviamente nettamente inferiore alle vendite effettivi. Pensiamo ad esempio alle tazzine di caffè servite.
Se con un chilo di caffè si preparano circa 140 dosi di caffè e sono stati acquistati con regolare fattura e utilizzati 20 kg di caffè, i caffè somministrati ammontano a circa 28.000, pari a circa 22.440 euro di ricavi. Ma se dagli scontrini rilasciati ne risultano registrati solo la metà, cioè 14.000 pari a 11.220 euro, come fare per occultare l’evasione? Il nostro imprenditore non fa altro che registrare solo la metà delle fatture di acquisto di quel prodotto, così da rendere coerente, in caso di controllo fiscale e ai fini degli studi di settore, il quantitativo di merce acquistata con quella che risulta ufficialmente venduta. In mancanza dell’incrocio automatico tra l’importo di caffè acquistato e fatturato dalla torrefazione e quello annotato nel registro degli acquisti dal bar, l’evasione risulta sconosciuta al fisco. Anche nel caso di successivo controllo fiscale è improbabile che l’evasione venga scoperta perché richiederebbe, cosa non ordinaria, un indagine particolarmente lunga e approfondita che comporta l’invio di questionari ai fornitori per l’incrocio dei dati. In presenza della trasmissione telematica dell’elenco clienti e fornitori tutto ciò non accadrebbe, all’ispettore sarebbe sufficiente fare un semplice click sul p.c. per avere l’incrocio dei dati e rilevare tutte le eventuali discordanze. Infatti, l’elenco clienti e fornitori consente l’incrocio sistematico dei dati presenti nell’elenco fornitori dell’acquirente con quelli dell’elenco clienti del venditore, l’eventuale evasione (mancata o parziale registrazione dell’acquisto o della vendita) verrebbe intercettata automaticamente dall’Anagrafe tributaria. Questo vale anche per i consumatori finali. L’inclusione nell’elenco clienti di tutti i codici fiscali dei consumatori finali nei confronti dei quali fossero state emesse fatture, consentirebbe all’Agenzia delle Entrate di avere a disposizione, ulteriori dati utili a conoscere il tenore di vita del contribuente per valutarne la rilevanza ai fini del cosiddetto “redditometro”. Va ricordato che l’elenco clienti e fornitori alimentava anche il software Clifo, che ha consentito all’Agenzia delle Entrate, di intercettare tempestivamente moltissime frodi Iva cosiddette “frodi carosello” perpetrate negli anni 2006/2007.

Spesometro? No, grazie
Dopo tre anni dall’abrogazione degli elenchi, la necessità di mettere un freno al proliferare di frodi Iva ha indotto il governo Berlusconi a ricredersi, ma anziché ripristinare l’elenco clienti e fornitori, ha preferito introdurre l’obbligo di comunicare, entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello di riferimento, l’ elenco delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese o ricevute, per importi pari o superiori a 3.000 euro, meglio conosciuto dai media come “spesometro”. La soglia è stata elevata a 3.600 euro, comprensiva dell’IVA, per le operazioni non soggette a fatturazione (l’art. 21 del dl. 78/10), escludendo la comunicazione quando il pagamento avviene con strumenti di pagamento tracciati, nel presupposto, del tutto infondato, che tali pagamenti possano essere agevolmente conosciuti dal fisco. La comunicazione, come si legge nella relazione tecnica di accompagnamento al provvedimento, è stata pensata essenzialmente in funzione antifrode Iva (per contrastare le operazioni inesistenti o fittizia) e solo in parte ai fini del redditometro. Di certo non può funzionare come strumento di contrasto ai fenomeni di evasione di massa. Presenta evidenti limiti e criticità e non sostituisce l’elenco clienti e fornitori . Difatti intercetta solo una minima parte delle operazioni poste in essere, perché tiene fuori tutti le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di importo inferiore a 3.000 euro, che sono quantitativamente il numero maggiore, e detta soglia è facilmente aggirabile, ad esempio attraverso il frazionamento dei pagamenti o delle forniture. Il nuovo obbligo, inoltre, comporta nuovi costi gestionali e un maggior aggravio di adempimenti per le imprese, sensibilmente maggiori di quelli che servirebbero per la reintroduzione dell’elenco dei clienti e fornitori, perché il cosiddetto spesometro richiede un estrapolazione parziale e mirata solo di alcune operazioni in entrata e in uscita. In conclusione sarebbe il caso di mettere in naftalina lo spesometro e i complicati e costosi adempimenti ad esso correlati e di reintrodurre l’elenco clienti e fornitori, che non è solo un ottimo strumento ai fini del controllo fiscale, ma costituisce un efficace disincentivo a non dichiarare i ricavi o i compensi, sapendo di essere segnalati al fisco dai propri clienti – fornitori, e assicura molti più elementi utili per conoscere il tenore di vita del contribuente ai fini del “redditometro”, tenuto conto che intercetta anche gli acquisti inferiori alla soglia di 3.600 euro.

1) Si veda su questo sito L.Violetti, “Irpef, l’82% su lavoro dipendente e pensioni, in 6 anni + 2%”, pubblicato il 3.12.2011

in collaborazione con www.fiscoequo.it

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