Mare o montagna? Facciamo montagna…
Svetta alta la montagna. Appare come il punto d’incontro tra la terra e il cielo. E in tutte le civiltà e culture c’è una montagna sacra. E’ tutto d’oro, per la tradizione indù, il monte Meru, posto all’estremo Nord; il monte Qaf, nel mondo islamico, è invece di smeraldo ed è la madre di tutte le montagne. E’ sacro il Fuji-Yama in Giappone. E l’Olimpo, nell’antica Grecia, era la dimora degli dei.

Stretto, quindi, il legame tra la divinità e la montagna, che domina la terra circostante. Il monte indiano Kailasa è la residenza di Shiva. Iahvè si rivela a Mosè in cima ad una montagna: “Il monte Sinai era tutto fumante, perché Iahvè vi era sceso in mezzo al fuoco; e Iahvè chiamò Mosè in cima alla montagna, e Mosé salì”. E là abbiamo la consegna delle Tavole della Legge. Gesù, poi, fa il discorso “delle beatitudini” su una montagna; la sua trasfigurazione avviene su una montagna; e muore sul monte Calvario.

Alta, verticale, elevata, vicina al cielo, la montagna partecipa del simbolismo della trascendenza e dell’ascensione. Ecco, ascensione: l’ascesa è sempre un’ascesi. Salita al monte Carmelo è il titolo di un’opera di San Giovanni della Croce, il grande mistico della fine del ‘500. I pellegrinaggi sulle montagne sacre simboleggiano la rinuncia ai desideri terreni, il raggiungimento degli stati più elevati dell’essere. La scalata è sempre un sacrificio (un render sacro). E’ sulla cima delle montagne che sacrificavano gli imperatori della Cina; ed è sul monte Moria che Abramo avrebbe   sacrificato Isacco se l’angelo del Signore non gli avesse fermato la mano. Il simbolismo della salita al cielo viene indicato, peraltro, anche attraverso montagne “artificiali”. Tali sono le ziggurat mesopotamiche, le piramidi a gradoni precolombiane, le piramidi egizie, i cairn celtici. Tutti “monumenti” che richiamano l’ascensione (come le cattedrali gotiche, del resto; e gli stupa buddisti).

Ma, detto questo, che fare? Andare in montagna, ovviamente. Il che, altrettanto ovviamente, non vuol certo dire “farsi” una “settimana bianca” mescolando sport invernali e mondanità. Andare sì, in montagna, con la neve e senza, e salire. Quanto si può. Non tutti – è chiaro – possono scalare l’Everest. Ma chi può la pratichi la scalata, sia in solitudine che in cordata (bene per la formazione di uno spirito di gruppo). Si tratta di un’attività che, decisamente, forma il carattere e può permettere un salto di qualità interiore.

Salire, scalare, in effetti, è faticoso e richiede una lunga e accurata preparazione; altrimenti la vetta non verrà “conquistata”. E questo vale sia per le scalate materiali che per le scalate metaforiche, cioè per le meditazioni, per le pratiche di realizzazione spirituale. Al di là delle scalate, anche una più semplice ferrata può ben essere utile a superare molte paure. E, in ogni caso, la contemplazione delle vette e dalle vette, richiamando alla mente quanto abbiamo detto sopra sul simbolismo ascensionale, può far scattare qualcosa dentro di noi.

Infine – e non prendetelo per uno scherzo – avete mai pensato alle montagne russe del Luna Park? Anche una corsa sulle montagne russe, compatibilmente col proprio stato di salute e presa col giusto spirito, potrebbe costituire una prova iniziatica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *