5 ottobre, muore Steve Jobs. Milioni di persone nel mondo hanno espresso il loro cordoglio per la sua scomparsa in tutte le forme, telematiche e reali. Moltissimi tra questi, certamente, non hanno la minima idea delle differenze sostanziali tra un PC ed un Mac. Perché dunque tanto affetto e stima? Perché tanto clamore?

Io credo che ciascuno, a modo proprio, ed in misura diversa, abbia proiettato in Jobs una parte di sé. In un mondo, tutto sommato mediocre e stagnante per molti aspetti, in cui raramente assistiamo ad una decisiva spinta verso il futuro, Steve Jobs era una sorta di guru. Ispirazionale è il giusto termine.

Self-made-man che dal garage di casa, con le proprie intuizioni, arriva ad essere amministratore delegato di una delle prime aziende al mondo per fatturato ed influenza. Sembra sempre sapere quale sia la decisione giusta da prendere, il modo corretto di comunicare nella forma e nel contenuto, un carismatico leader dalle cui labbra tutti pendono.

Confrontate questa visione di uomo, o di donna, con quella che milioni di persone hanno nei confronti di se stessi . Preoccupati per il proprio domani, affannati a cercare un proprio percorso o delle motivazioni solide, frustrati, spesso, da un lavoro che non offre sbocchi o soddisfazioni. In una parola: incerti.

A tutte queste persone Jobs ha lanciato un messaggio preciso, in particolare in occasione del suo famoso discorso tenuto alla Stanford University. Mi permetto di parafrasarlo: io non sono nato geniale e sicuro di me. Gran parte della mia vita è stata costellata di difficoltà, di paura del domani. A vent’anni non sapevo cosa avrei fatto a trenta, e a trenta cosa sarebbe successo quando fossi arrivato a quaranta. Sono stati necessari disciplina e intelligenza per ottenere obiettivi. E molta, molta fede. Fede in me stesso e fede nel fatto che tutto, anche le avversità, avrebbero trovato una collocazione nella mia vita, portandomi infine ad un risultato.

L’equazione per i “comuni mortali”: oggi vivo nell’incertezza, ma c’è una speranza. Qualcuno è riuscito. Chissà che anche io…

Certamente Jobs non è stato il primo, né il più autorevole, ad aver diffuso un messaggio di questo tipo. La sua posizione di rilievo nel mondo informatico, in un mondo informatizzato, naturalmente gli ha conferito un palcoscenico di rilievo da cui parlare, ad un pubblico estremamente attento, oltretutto. Ma questo rientra nell’ambito della fortuna: essere l’uomo giusto, nel momento giusto al posto giusto. La lotteria del destino ha estratto Steve Jobs.

Non dimentichiamo, di certo, che era un imprenditore, un miliardario, un sergente di ferro nella sua azienda. Si dice licenziasse con estrema facilità davanti ad obiettivi , spesso estremamente ostici, che non fossero stati raggiunti. Molte della tecnologia dei suoi strumenti era frutto di un “furto d’idee” che lui prendeva e ripensava in ottica Apple. Non certo l’identikit di un guru indiano che dispensa saggezza.

Tuttavia l’invenzione del Mac, dell’IPod, IPhone, IPad e così via, sono certamente prodotti commerciali che Apple, sotto la capace guida di Jobs, ha potuto realizzare, sconvolgendo il mercato, innamorando o ipnotizzando milioni di consumatori, divenendo così un’azienda leader. Ma, in fondo, sono solo oggetti, che in un futuro vicinissimo saranno surclassati da altri oggetti più avanzati. Fino a quando, i nipoti dei nostri nipoti, li studieranno sui libri di storia, come risibili macchine d’antiquariato.

Ciò che rimarrà per sempre è il sogno di poter concretizzare oggi ciò che aspettavamo avvenisse solo domani. Ammettiamolo: Steve Jobs era tra quelli che vivono un giorno avanti.

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