Con l’avvicinarsi della conferenza internazionale proposta da Stati Uniti e Russia sulla Siria, che si dovrebbe tenere il mese prossimo, denominata “Ginevra 2”, aumentano sempre di più i pericoli per una possibile guerra in Medio Oriente contro Israele.

Subito dopo il raid israeliano contro alcune postazioni militari fuori Damasco del 4 maggio scorso, il presidente siriano Bashar al Assad ha dato il via libera alle fazioni palestinesi presenti sul suo territorio per il libero utilizzo della provincia del Golan, occupata da Israele nel 1967, per l’avvio di eventuali attacchi contro lo stato ebraico. Sembra sia stata questa l’unica reazione all’attacco aereo israeliano, anche se gli esponenti del regime hanno più volte assicurato che in caso di un nuovo raid non mancheranno certamente le reazioni contro Israele. Da alcuni giorni infatti alcune unità di combattenti palestinesi sono dislocate nelle alture del Golan occupate da Israele. Lo ha annunciato il Fronte popolare per la liberazione della Palestina-Comando generale (Fplp-Gm), un’organizzazione palestinese che dopo 40 anni di calma sulla frontiera siro-israeliana oggi minaccia di riprendere la lotta armata contro lo stato ebraico.
 
Quello del Golan è infatti un punto sul quale l’Iran si sta concentrando per cambiare le sorti del conflitto. Fonti bene informate di Teheran hanno rivelato inoltre che le autorità iraniane sarebbero riuscite a convincere Assad a dare alle milizie Hezbollah un ruolo più importante nella guerra in corso, in particolare se deciderà di aprire il fronte delle alture che la dividono da Israele per avviare un conflitto su scala regionale. la strategia di Teheran consiste nel fatto di mettere Israele e anche Stati Uniti e Russia davanti alle loro responsabilità, in particolare nel caso in cui dovesse davvero cadere il regime di Assad.
 
Una ipotesi sarebbe quella di aprire il fronte del Jihad dalle alture del Golan “fronte verso il quale far confluire tutti i combattenti arabi e musulmani che vogliono effettivamente combattere contro Israele”. Quella zona diventerebbe quindi la prima linea della lotta di tutti i gruppi armati mediorientali contro lo stato ebraico, riaprendo lo storico conflitto arabo-israeliano e permettendo forse al regime di Damasco di riprendere fiato rispetto allo scontro interno in corso nel paese. In questo quadro va letto l’ammonimento lanciato dal ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi, alla Giordania il 7 maggio scorso. In occasione della sua visita ad Amman, Salehi ha avvertito il monarca Abdullah II dal pericolo che corre il suo paese, nel caso in cui si facesse coinvolgere da Stati Uniti e Israele nel conflitto siriano.
 
Non a caso il 14 maggio il premier israeliano Benyamin Netanyahu si è recato in Russia per un incontro urgente con il presidente Vladimir Putin. L’obiettivo era quello di tentare di bloccare in extremis la fornitura alla Siria di batterie missilistiche S300. Una volta operative, secondo Israele, quelle batterie rappresenterebbero una minaccia costante per le attività dell’ aviazione israeliana anche all’interno del proprio spazio aereo. La visita di Netanyahu è stata concordata la settimana precedente durante una telefonata del premier con il presidente russo. La stampa locale ritiene che le probabilità di successo di Netanyahu sugli S300 siano scarse.
 
Questo perché una fonte militare del regime siriano sostiene che il suo esercito “ha già ottenuto dalla Russia i sistemi di difesa anti missile S-300”. Secondo quanto riporta il sito egiziano di intelligence “Military Secret”, la fonte militare sostiene che “il presidente russo Vladimir Putin riferirà al premier israeliano Benjamin Netanyahu che la questione è chiusa e che il sistema di difesa è già in Siria”. Oggi infatti Netanyahu sarà a Mosca per incontrare il presidente russo con cui parlerà della situazione in Medio Oriente, principalmente in Siria, come ha reso noto il Cremlino. Nei giorni scorsi fonti del governo israeliano avevano anticipato che la missione di Netanyahu a Mosca era finalizzata a convincere la Russia a non vendere i sistemi di difesa anti missile S-300 al regime di Assad.
 
Intanto Teheran si prepara allo scontro finale reclutando diecimila combattenti che sono pronti a partire dall’Iran per la Siria, con la scusa di difendere i luoghi santi sciiti in territorio siriano e sostenere il regime di Assad. L’agenzia di stampa semi-ufficiale iraniana “Fars News”, vicina al corpo scelto dei Guardiani della rivoluzione islamica, ha pubblicato sul suo sito internet le immagini di un raduno di migliaia di “volontari” che si starebbero preparando a recarsi in Siria per difendere i mausolei sciiti del paese arabo. Il raduno, secondo la “Fars News”, è avvenuto martedì sera nello stadio di calcio Shirudi della capitale iraniana Teheran. L’agenzia aggiunge che i “volontari” si ripromettono anche di andare nelle alture del Golan occupate da Israele.
 
Anche se non dovesse arrivare l’ordine di attaccare Israele dal fronte del Golan, le autorità iraniane hanno deciso comunque di aumentare il oro sostegno al regime di Assad per cambiare i rapporti di forza in campo. Secondo quanto riferiscono fonti di Teheran, citate dal giornale arabo “al Hayat”, l’obiettivo degli iraniani è quello di arrivare alla Conferenza denominata “Ginevra 2”, che potrebbe essere decisiva per il futuro della Siria, con un netto vantaggio delle truppe governative. Per questo si è rafforzato il coordinamento tra i Pasdaran iraniani presenti in Siria con le forze dell’esercito regolare siriano, le milizie sciite libanesi Hezbollah e quelle irachene.
 
Il reclutamento in corso si sta allargando sempre di più a tutte le regioni sciite del mondo. Ci sarebbero anche combattenti provenienti dal Bahrein e dal Pakistan in Siria tra le fila delle milizie libanesi di Hezbollah. E’ quanto ha rivelato la corrente salafita giordana, che invece sostiene il Fronte di Salvezza siriano, formazione armata islamica vicina ad al Qaeda. Il portavoce del gruppo giordano, Mohammed al Shalabi, ha spiegato al quotidiano “al Quds al-Arabi” che “è stata appurata la presenza di combattenti del Bahrein e del Pakistan e di altri paesi arabi del Golfo tra le fila di Hezbollah per combattere contro i ribelli dell’Esercito siriano libero. Si tratta di persone entrate in Siria dal Libano grazie all’aiuto dei dirigenti di Hezbollah”. A controllare il villaggio di Khurba Ghazala, punto strategico verso il confine giordano riconquistato dal regime di Assad la scorsa settimana, ci sarebbero proprio le milizie di Hezbollah.

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