17 DICEMBRE 2008 – “La prospettiva ultima è quella del saccheggio sistematico delle risorse pubbliche, spesso già insufficienti a rispondere alla drammatica situazione in cui versano Napoli e la sua provincia”. Questo, in sintesi, l’obiettivo della “banda del global service” nelle parole dei magistrati della Procura di Napoli che hanno chiesto e ottenuto 11 ordinanze di custodia cautelare e hanno inviato al Parlamento la richiesta per utilizzare le intercettazioni “incriminanti” nei confronti di due deputati, uno della maggioranza, l’altro dell’opposizione. Un affare da 400 milioni di euro, mai partito soltanto perché – dicono i magistrati – il 31 gennaio scorso una fuga di notizie pilotata mise gli indagati in allarme – rappresenta il tavolo della corruzione attorno al quale l’imprenditore Alfredo Romeo, già grande corruttore della tangentopoli napoletana anni Novanta, ha riunito alcuni dei protagonisti del circo Barnum della politica alla pummarola che governa Napoli e la Campania da oltre un decennio. Per se stesso Romeo aveva riservato il ruolo di domatore: sarebbe stato lui a capo dell’associazione a delinquere contestata dai magistrati.

Al centro dell’inchiesta la delibera sul cosiddetto “global service” un appalto per la manutenzione delle strade di Napoli e di altri beni pubblici da affidare all’imprenditore Alfredo Romeo. L’obiettivo era quello di avere un unico gestore (come avvenuto già in altre città) per una serie consistente di lavori pubblici e manutenzioni di competenza del Comune. Il “global service”, che secondo i pm si è fermato per la fuga di notizie di gennaio, in realtà è stato bloccato perché mancava la copertura finanziaria.
La delibera però, dicono i pm sulla base delle indagini e delle intercettazioni telefoniche, è stata confezionata su misura per Romeo. Ecco perché i reati contestati (associazione per delinquere, corruzione, concussione, abuso d’ufficio, truffa) “stanno in piedi” anche se dell’appalto non se ne è fatto più nulla: quei reati, spiegano i magistrati negli atti, sono agganciati al procedimento di formazione della delibera, non al fatto che poi l’appalto sia partito e o meno.

L’inchiesta coinvolge anche i parlamentari Italo Bocchino (Pdl) e Renzo Lusetti (Pd): nei loro confronti vengono ipotizzati i reati di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta e il gip ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni: secondo l’accusa sarebbero intervenuti a favore di Romeo per favorire i suoi appalti. Lusetti, inoltre, avrebbe tentato di “aggiustare” un procedimento al Tar e al Consiglio di Stato che l’imprenditore aveva avviato in passato contro una delibera di revoca di alcuni appalti. Agli arresti domiciliari anche il colonnello della Guardia di Finanza Vincenzo Mazzucco, l’ufficiale che ha lavorato per alcuni mesi fianco a fianco con il procuratore aggiunto Franco Roberti coordinatore dell’inchiesta e che, secondo gli inquirenti, era la “talpa” che informava Romeo sugli sviluppi dell’indagine. La procura mette inoltre l’accento sul ruolo del colonnello della Finanza Vincenzo Mazzucco, all’epoca in servizio alla Dia di Napoli, organo investigativo definito ”cuore pulsante dell’indagine”. L’ufficiale avrebbe “tentato di incidere maldestramente sull’azione degli organi inquirenti, attraverso clamorose condotte di vero e proprio depistaggio”, scrivono i magistrati. Al colonnello si sarebbero rivolti Romeo e l’ex assessore Giuseppe Gambale quando nel gennaio scorso ‘sono venuti a conoscenza dell’indagine per effetto di illecite rivelazioni di organi investigativi.
Premiata ditta Favori & Tangenti
Nella pista del circo napoletano un posto c’era per tutti. Da un magistrato che raccomandava l’imprenditore ai suoi colleghi per chiudere un processo per abusi edilizi di Romeo & signora, a Paolo Cirino Pomicino, ‘o ministro di un tempo, che si mette a disposizione dell’amico Romeo promettendo interventi a suo favore e “minacciando” interventi contro la magistratura con la pubblicazione di un nuovo libro. E Romeo di rimbalzo, ricorda come molti magistrati gli siano anche debitori di favori.
“Tangenti di denaro ma anche altri benefici come lo sviluppo di carriere politiche per taluni assessori rampanti come passare dalle istituzioni locali a quelle nazionali attraverso rapporti con parlamentari nazionali”. Sarebbero queste le contropartite che Alfredo Romeo garantiva ai suoi interlocutori istituzionali napoletani in cambio di una corsia preferenziale per la concessione di appalti.
L’affare globa service corre sul filo del telefono dell’imprenditore. Tra le altri conversazioni, quelle con Mario Mautone, ex provveditore alle Opere Pubbliche di Napoli.
E poi numerose telefonate che Romeo ha con l’ex assessore al patrimonio del Comune di Napoli Giorgio Nugnes, suicidatosi lo scorso 29 novembre e coinvolto nei disordini verificatisi a Pianura durante le manifestazioni contro la discarica.
Romeo finisce anche per ammettere apertamente, dicono i pm, che se l’appalto non fosse stato pilotato lui nemmeno avrebbe partecipato: “No, se non fosse così – dice a Nugnes – io non posso partecipare, hai capito?”.
Nel corso delle conversazioni con Nugnes Romeo voleva garanzie che “la delibera poi approvata dall’ amministrazione comunale di Napoli rispecchiasse fedelmente le caratteristiche delle sue imprese al fine poi di consentire alle medesime imprese l’aggiudicazione finale dell’appalto”.
Romeo chiama, Nugnes risponde: “Ma figurati Alfredo, io non tengo proprio nessun problema…”, dice l’assessore. E i magistrati così annotano: “a fronte delle prebende che Romeo è in condizione di distribuire (in termini di posti di lavoro, di incarichi e consulenze ed in termini di denaro sonante) piegano la loro funzione ed i loro doveri assicurando l’aggiudicazione di appalti di opere e di servizi pubblici”. E’ il vecchio e collaudato sistema del bando di gara “blindato”, quello dove formalmente tutti possono partecipare ma alla fine i requisiti richiesti portano uno solo, già individuato, al traguardo. E infatti, quando la delibera viene approvata secondo gli accordi, Nugnes esulta con limprenditore: “Eh, guaglio’… Si’ nu grande… Tieni nu grande amico assessore!”.
Il sistema Romeo da Napoli al Vaticano
Secondo la Procura di Napoli Alfredo Romeo avrebbe fatto ricorso “al medesimo indirizzo operativo finanche per gli appalti che sarebbero stati banditi prossimamente dallo Stato Vaticano”.
Un sistema, quello creato dall’imprenditore partenopeo, “di estrema semplicità – così scrivono i magistrati – anche se vasto e articolato in ragione degli enormi interessi economici coinvolti. I funzionari pubblici non esitano, non senza una non comune dose di impudenza, ad ammantare la loro funzione dietro nobili e altisonanti termini quali legalità o trasparenza, indirizzando peraltro la loro azione verso l’interesse esclusivo dell’imprenditore”.
E così Romeo dettava a funzionari amici le bozze delle delibere che sarebbero finite sui tavoli di assessori altrettanto amici.
Nell’inchiesta sono infatti indagati anche impiegati della Provincia di Napoli oltre che del Comune.
I favori in nome della legalità
L’ex assessore Giuseppe Gambale, politicamente nato con la Rete di Leoluca Orlando, successivamente sempre in prima linea per la legalità, la trasparenza e l’antimafia, secondo i pm in cambio del suo appoggio a Romeo avrebbe anche… fatto del bene. L’imprenditore infatti ha versato denaro, su richiesta di Gambale, all’associazione ”A voce d’ ‘e criature’ (La voce dei bambini), fondata dall’ex parroco di Forcella don Luigi Merola (che naturalmente con l’indagine non c’entra nulla). A Gambale il gip contesta diversi episodi: avrebbe fatto assumere da Romeo alcune persone e avrebbe acquistato un immobile gestito dalla società dell’imprenditorie. Romeo avrebbe poi anche dovuto “sponsorezzare” Gambale in “ambienti politici nazionali” per fargli ottenere qualche buon incarico.
Le accuse ai parlamentari
I deputati di An Italo Bocchino e del Pd Renzo Lusetti sono accusati di essersi “dati da fare” per assicurare che gli affari di Romeo andassero in porto. In una conversazione tra l’imprenditore e Bocchino (è quest’ultimo a telefonare), l’esponente di An dopo aver comunicato che il gruppo consiliare di An aveva ritirato gli emendamenti alla delibera proposta dalla maggioranza, così dice: “Quindi ormai…siamo una cosa…quindi…consolidata, un sodalizio, una cosa solida…una fusione di due gruppi”. Espressioni che per i pm dimostrano l’esistenza di “una struttura organizzata unitaria in una ottica di contiguità e reciprocità di interessi”.
L’amico magistrato
Tra gli amici del circo Romeo anche il presidente di sezione del tribunale di Napoli Bruno Schisano, recentemente trasferito d’ufficio dal Csm alla Corte d’appello di Campobasso proprio per la sua “amicizia pericolosa”. Schisano è imputato a Roma di concorso in tentato abuso d’ufficio con Alfredo Romeo e sua moglie, Maria Vittoria Parisio Perrotti. Il giudice avrebbe cercato di intervenire a favore di Romeo e signora in un processo a Napoli dove i due erano imputati di abusi edilizi per aver di fatto “privatizzato” una spiaggia demaniale che si trova davanti alla loro villa di Posillipo. La prima udienza del processo a Schisano è fissata il 19 dicembre alla quarta sezione penale del tribunale.
Bloccata la marcia su Roma
Gravi inadempimenti e inadeguata programmazione degli interventi. Per questo motivo il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha deciso un mese fa di revocare il maxi appalto alla Romeo Gestioni Rti, raggruppamento temporaneo di imprese che fa capo ad Alfredo Romeo, per la manutenzione delle strade romane. Nell’ordinanza del 14 novembre scorso, a seguito delle precipitazioni che spinsero il presidente della Regione Lazio a proclamare lo stato di calamità naturale, si osserva che “in occasione dell’evento calamitoso sono emersi gravi inadempimenti della società che non avendo provveduto alle attività preventive di manutenzione necessarie a garantire il deflusso delle acque dalle caditoie …ha aggravato il dissesto stradale e ingenerato condizioni di elevatissima pericolosità”. Gli uffici dell’assessore ai lavori pubblici Fabrizio Ghera iniziano così a verificare l’effettiva operatività ed efficacia del maxi appalto, stipulato nel dicembre del 2006 durante la giunta Veltroni, e ne danno un giudizio negativo: in quasi due anni dall’avvio è stata rifatta solo il 10 per cento della pavimentazione superficiale delle strade (circa un milione e 300 mila metri quadri nonostante in sede di gara la Romeo avesse preso l’impegno di intervenire nei primi tre anni su 4 milioni di metri quadri), è stata ripristinata solo il 50 per cento della segnaletica stradale a fronte dell’impegno di un rifacimento dell’intera segnaletica ogni sei mesi e meno del 2 per cento delle caditoie stradali sono state disostruite. Ad oggi i canoni corrisposti ammontano a 45 milioni ma per la manutenzione straordinaria l’amministrazione aveva messo a disposizione della Romeo Gestioni altri 285 milioni di euro. Poi revocati.

ALLA FINE DI SETTEMBRE 2014 LA CASSAZIONE DEPOSITA LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA CHE HA ANNULLATO SENZA RINVIO TUTTE LE CONDANNE INFLITTE NEI GRADI DI GIUDIZIO PRECEDENTI.
IL COLLEGA GIANLUCA ABATE DEL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO, COSI’ SCRIVE RIPORTANDO LA NOTIZIA:

Quella raccontata dalla Cassazione è la storia di un’inchiesta sbagliata, di un «vuoto probatorio», di «deduzioni generiche perché enunciate ma non dimostrate», di errori tecnici nella conduzione dell’indagine, di «azioni penali mai esercitate», di un’impresa che chiede informazioni sull’appalto «perché l’attività economica si svolge cercando di acquisire vantaggi sulla concorrenza» e di pubblici amministratori che quelle informazioni le forniscono, «violando il dovere di imparzialità» ma non rivelando alcun segreto. È la storia del caso Global Service, l’inchiesta che travolse il Comune di Napoli, spinse al suicidio l’ex assessore Giorgio Nugnes, portò agli arresti di altri quattro ex assessori della giunta all’epoca guidata da Rosa Russo Iervolino (Giuseppe Gambale, Enrico Cardillo, Ferdinando Di Mezza e Felice Laudadio) e mandò in carcere anche l’imprenditore Alfredo Romeo e l’ex Provveditore alle opere pubbliche Mario Mautone. La Cassazione li ha assolti tutti in via definitiva perché «il fatto non sussiste». E le motivazioni di quella sentenza — depositate in cancelleria il 29 settembre scorso — raccontano la storia del terremoto giudiziario che cambiò la storia politica di Napoli.

INDAGINE DELL’ANTIMAFIA – L’avvio dell’inchiesta, innanzitutto. L’allora procuratore di Napoli, Giovandomenico Lepore, ha sempre sostenuto che assegnarla al pool antimafia era stata una «necessità», dal momento che l’indagine nasceva da un’intercettazione nell’ambito di un altro processo. E, per amor di verità, dopo le sentenze ha anche sostenuto che con il senno di poi l’avrebbe affidata al pool antitangenti. A leggere le 43 pagine di motivazioni dei giudici sella sesta sezione penale della Cassazione — presidente Nicola Milo, consigliere estensore Anna Petruzzellis — si scopre però che lasciare quel fascicolo a pm abituati a indagare (bene) sulla camorra non era un atto così dovuto: «La sentenza di primo grado, dando conto che lo spunto investigativo riguardava diverso reato e diversa persona, assume che sia possibile ipotizzare un collegamento tra il procedimento avente ad oggetto il supposto (sebbene poi non dimostrato) coinvolgimento di Alfredo Romeo nella vendita di aree agricole a Cirino Pomicino e quello relativo alla perpetrazione di illeciti contro la pubblica amministrazione». Una ricostruzione che «in realtà non risulta ancorata a specifici elementi di fatto», perché è vero che «un’intercettazione per fatto diverso può consentire l’acquisizione di una notizia di reato», ma è vero anche che nel caso in esame c’è stata una «evidente dilatazione dei poteri di controllo intercettativo». Insomma, «non appare determinante che dinanzi all’autorità di Santa Maria Capua Vetere si procedesse nei confronti di Romeo per il reato di turbativa d’asta per realizzare la connessione con l’analogo reato per cui successivamente si è proceduto a Napoli».

IL VUOTO PROBATORIO – Non ci fu, a Napoli, un’associazione a delinquere composta da Alfredo Romeo, Paola Grittani (sua dipendente) e Guido Russo (docente universitario e consulente). La Cassazione, su questo punto, conferma le sentenze già emesse in primo e secondo grado. E spiega: «Nulla viene individuato, si fa riferimento alle singole attività illecite contestate ma non si definisce lo specifico ruolo attribuito a Grittani e Russo nella realizzazione dell’azione». Era necessaria «la ricerca di collegamenti con i pubblici ufficiali che in maniera diretta o indiretta avrebbero dovuto favorirne l’azione», e «solo la dimostrazione di una programmatica azione di approccio e acquisizione del consenso dei componenti di tale categoria avrebbe reso possibile configurare il reato». Al contrario, «la ricostruzione sul punto è relegata a mera manifestazione di intenti». È, riassunto in due parole, un «vuoto probatorio». L’errore — prima dei pm e poi della Procura generale — sarebbe stato in particolare quello di «ignorare che qualsiasi attività economica, anche ove non connotata da finalità illecita, necessariamente si svolge cercando di acquisire vantaggi sulla concorrenza». Insomma, quel «sistema Romeo» ipotizzato dai pm, quell’associazione a delinquere che avrebbe condizionato le decisioni della giunta comunale di Napoli, semplicemente non esisteva.

IL RUOLO DEGLI ASSESSORI – Se l’impresa ha fatto l’impresa, il Comune come ha agito? Ha davvero avvantaggiato Alfredo Romeo fornendogli notizie sulla procedura coperte da segreto? «No», stando ai giudici della Cassazione. Che, in questo caso, non risparmiano però critiche al Comune. «È una condotta sicuramente non corretta sul piano istituzionale, ma è impropria l’equiparazione tra violazione dell’obbligo di imparzialità e condotta criminosa contestata». Il primo riferimento è al caso di Nugnes (l’assessore che si tolse la vita), ma i giudici della Suprema Corte citano anche «le altre conversazioni che vedono quali interlocutori Laudadio, Di Mezza, Russo e Grittani, nelle quali a Romeo a ai suoi collaboratori vengono offerti, passo per passo, gli sviluppi della decisione amministrativa che interessavano l’imprenditore in vista dei suoi affari futuri». Un’azione «sicuramente compiuta violando il dovere di imparzialità della pubblica amministrazione», ma che «non trasmoda nella violazione del segreto». Tutt’al più — chiosano i giudici — «avrebbe potuto integrare il reato di abuso d’ufficio, ove vi fosse la prova dell’ingiusto vantaggio patrimoniale procurato». E discorso analogo «si può fare per l’ipotesi di rivelazione di segreto contestata a Romeo e Gambale». La Cassazione poi, in riferimento ai diversi capi d’imputazione, contesta anche «genericità dell’accusa» e «mancata individuazione di specifici atti».

L’ACCUSA SBAGLIATA – I giudici criticano la Procura di Napoli anche in relazione all’accusa di corruzione contestata a Mautone (e poi annullata dalla Cassazione). L’episodio fa riferimento a un parere su un prezzario espresso dall’ex Provveditore alle opere pubbliche che provocò «il disappunto di Romeo» e che fu modificato «con un prezzario opposto» e più favorevole. «La strumentalità del provvedimento è conclamata (…) e dagli atti emerge la correlazione diretta Romeo-Mautone. La corruzione però è reato che deve essere consumato, quale concorrente necessario, dal titolare del potere ad emettere l’atto», potere «che nel caso di specie non aveva Mautone, perché a quell’epoca svolgeva attività diversa. Se dunque l’atto era stato materialmente redatto da Mautone e reso giuridicamente rilevante con la firma apposta dalla longa manus Russo (…) l’affermazione di responsabilità avrebbe potuto giustificarsi solo nell’ipotesi di contestazione del reato nei confronti, oltre che di Mautone, degli autori materiali dell’atto, in particolare di Russo». E invece, chiosa la Cassazione, «l’azione penale non è mai stata esercitata» .

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