Il Museo della Via Ostiense sino al 30 aprile ospita la mostra Scritto nelle ossa. Vivere, ammalarsi e curarsi a Roma in età imperiale. L’evento è curato da Paola Catalano, Gino Fornaciari, Valentina Gazzaniga, Andrea Piccioli e Olga Rickards, rappresentanti rispettivamente il servizio di Antropologia della Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Roma, la divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, l’Unità e museo di Storia della Medicina dell’Università Sapienza, la Società Italiana di ortopedia e traumatologia e il Dipartimento di Biologia dell’Università Tor Vergata.
Gli studi bioarcheologici e l’analisi di documenti storici ci permettono di ricostruire lo stile di vita e le condizioni di salute delle popolazioni antiche, permettendoci inoltre di comprendere le interazioni uomo-ambiente nel corso del tempo. Il Servizio di Antropologia, attraverso l’attività di tutela territoriale svolta dalla Soprintendenza, negli anni ha raccolto una grande quantità di dati utilizzabili per ricostruire la storia biologica della società romana di età imperiale. La mostra è il risultato dello studio interdisciplinare eseguito su campioni antropologici provenienti da sei sepolcreti di età imperiale, rinvenuti durante lavori di archeologia preventiva e dislocati in diverse zone del Comune di Roma: il sito di Quarto Cappello del Prete, l’insieme funerario di Osteria del curato, il sepolcreto di Via Padre Semeria, le tre necropoli Collatina, di Casal Bertone e di Castel Malnome. Sono stati analizzati 1361 individui. Il campione esaminato si riferisce a sepolture di cui è stato possibile riconoscere sesso e età, dal momento che questi due parametri biologici sono di assoluta importanza sia per l’interpretazione dei profili individuali che per la loro collocazione nella struttura sociale. E’ stato così possibile stabilire una relazione tra condizioni di vita, malattie e terapie specifiche delle comunità di riferimento. Estremamente interessante è il confronto tra le antiche terapie emerse e quelle applicate oggi, secondo le tecniche più moderne e innovative. Il percorso espositivo si articola in tre sezioni: nella prima è proiettato un filmato in cui sono spiegate le diverse metodologie usate per studiare i resti scheletrici, in riferimento alle informazioni che si vogliono ottenere; la seconda sezione è dedicata alla Paleodemografia; la terza è incentrata sulla Paleopatologia e sulle tecniche curative moderne.
Le ossa contengono informazioni fondamentali per lo studio delle popolazioni antiche. Per quanto riguarda l’età alla morte, dal campione in esame è emerso che una discreta parte di individui è deceduta nell’intervallo 0-6 anni, i decessi diminuiscono nella classe 7-12 anni per aumentare in quella dei 30-49 anni, soglia oltre la quale difficilmente si sopravviveva. L’aspettativa di vita era in media 27 anni. L’osteometria, ossia la misura degli elementi scheletrici, ha svelato come i crani maschili fossero di forma allungata, mentre quelli femminili di forma intermedia. L’altezza media di un uomo era 1.67 cm, mentre le donne si fermavano a 1.56 cm. Si tenga presente che lo scheletro si sviluppa nel corso della vita di un individuo attraverso un processo di distruzione e ricostruzione, di cui fanno parte alimentazione, lavoro svolto, traumi, malattie, fattori ambientali. Ognuno di questi fattori lascia sullo scheletro una traccia che può essere riconosciuta e studiata. I marcatori di stress ad esempio sono risposte a sollecitazioni meccaniche. Muscoli e articolazioni infatti, durante lo svolgimento di azioni quotidiane, subiscono microtraumi che producono rimodellamenti ossei (alterazioni) che possono aiutarci a capire il tipo di lavoro svolto. Le patologie dentarie, quali carie, ascessi e perdita di denti, sono indicatori fondamentali sullo stato di salute e sulle abitudini alimentari. Il campione esaminato ha evidenziato come la carie fosse il problema dentario maggiormente diffuso e ha accertato l’esistenza di protesi dentarie, confermando così quando tramandatoci dalle fonti antiche. Marziale parla dell’uso di dentiere mentre Celso indica gli ingredienti per confezionare il “dentifricium”, un miscuglio di gusci d’uova, ossa tritate e conchiglie marine. Attraverso l’analisi degli isotopi di azoto e carbonio contenuti nella frazione organica dell’osso è possibile addirittura ricostruire il tipo di alimentazione seguita (vegetariana, mista o carnivora).
La medicina e i ferri del mestiereL’esame dei resti umani permette altresì di studiare le malattie che affliggevano i nostri lontani antenati. I risultati sono molto interessanti sia dal punto di vista antropologico, in quanto possono emergere elementi utili per comprendere la società, sia dal punto di vista medico, proprio per lo studio delle modalità di evoluzione di determinate malattie. Spesso sono leggibili anche i metodi di guarigione usati, elemento questo che evidenzia il grado di assistenza medica e la cooperazione sociale all’interno della comunità. Sui resti scheletrici sono emerse lesioni traumatiche come le fratture, patologie articolari come l’osteoartrosi, la spondilite anchilosante e l’artrite reumatoide, malattie infettive, malattie metaboliche, malattie congenite, come anomalie di sviluppo o deformazioni. Sono state riscontrate anche malattie tumorali. Nelle fonti antiche i termini cancer e karkinos non indicano sempre quadri carcinomatosi, spesso infatti indicano solo ulcere. Spesso però assumono un significato tanto negativo che il medico si astiene dall’intervento per non correre il rischio di peggiorare la situazione. Il termine cancer indica una malattia che come un granchio si ancora alla carne e si sposta all’interno del corpo con le chele, trasferendo la malattia in zone lontane dal punto di partenza (metastasi viene dal verbo metaiemi, spostarsi). La Collezione ippocratica, le opere di Celso e di Galeno sono una fonte inesauribile di sapere sulla medicina antica: da loro apprendiamo che gli antichi sapevano curare le fratture, erano in grado di riposizionare muscoli, nervi e tendini; utilizzavano specifiche tecniche di bendaggio; praticavano medicazioni con cataplasma; lavavano le ferite con vino, aceto o olio rosato; usavano bisturi, raschiatoi, cucchiai chirurgici, scalpelli e addirittura un tipo di trapano (il modiolo), composto da due bastoni, un filo e una serie di punte metalliche rimovibili.